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Recensione

Dead State

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Avatar di Specialized

a cura di Specialized

Pubblicato il 19/12/2014 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Ci sono voluti quasi due anni e mezzo perché Dead State vedesse finalmente la luce all’indomani della campagna di successo su Kickstarter. Oltre 330.000 i dollari raccolti da DoubleBear Productions (team con alcuni ex componenti di Black Isle Studios, Troika Games e Obsidian Entertainment) e, come si può capire dal curriculum degli sviluppatori, siamo di fronte a un GdR vecchia scuola con tanto di combattimenti a turni e visuale isometrica che non possono non ricordare tutto il filone generato da Fallout. Dead State è da poco uscito dalla fase Early Access di Steam ed è disponibile in versione finalmente completa a 27,99 euro, anche se come vedremo c’è ancora spazio per un bel po’ di fix e aggiornamenti. Già così però il gioco, contando le recenti debacle di tante produzioni tripla A, si presenta in una forma del tutto accettabile, con l’unica (e forse prevedibile) delusione per l’assenza dei sottotitoli in italiano.
L’arte di sopravvivere 
Ma esattamente cos’è Dead State? DouleBear Productions ha attinto a piene mani dall’ormai logoro scenario di un’epidemia di zombi, di fronte alla quale il nostro alter ego, creato all’inizio del gioco con un editor piuttosto basilare, si trova costretto a sopravvivere. Dopo un incidente aereo ci ritroviamo all’interno di una scuola di un paesino sperduto del Texas. Assieme a noi altri sopravvissuti all’epidemia che hanno trovato in quel luogo un rifugio sicuro sia dagli zombi, sia dalle solite bande di razziatori che infestano le strade del luogo. Lo scopo di Dead State, oltre a sopravvivere, consiste nel mantenere in vita quante più persone possibili andando in giro per la mappa di gioco per cercare provviste, medicine, carburante, parti di ricambio e tutto ciò che possa servire a mantenere sicura la scuola e a sfamare e curare i sopravvissuti. Il gioco si divide in due parti distinte. Da un lato abbiamo tutta la parte all’interno del rifugio, dove dobbiamo parlare con i sopravvissuti, accettare le loro missioni e instaurare un rapporto umano con le persone che ci circondano sfruttando un classico sistema di dialoghi. Dall’altro c’è il versante più action ed esplorativo con i combattimenti a turni che rispettano fedelmente la tradizione del genere. Non mancano infatti i classici punti azione da spendere per ogni turno (fin troppo pochi a dire il vero), le percentuali più o meno elevate di attacco e la possibilità di fuggire se ce la stiamo vedendo brutta. 
Difficile con moderazione
Anche perché (e un po’ ce lo aspettavamo) morire o rimanere contagiati è davvero questione di poco, senza contare la curva di apprendimento iniziale molto ripida, che nelle prime due-tre ore di gioco ci ha messi di fronte a un numero esagerato di compagni morti o rimasti infetti. Dead State non è però un titolo frustrante. Certo, la legnosità degli scontri si vede lontano un miglio e certi attacchi mancati a uno zombi a 30 cm di distanza fanno un po’ ridere, ma a equilibrare questi scompensi ci pensa la buona quantità di risorse disponibili nel mondo di gioco. Per trovare cibo, medicine e armi, non bisogna fare infatti i salti mortali, ma solo esplorare gli edifici e portare con sé i compagni più adatti allo scopo. È difficile insomma rimanere senza risorse o ritrovarsi di fronte a nemici umani o a zombi senza una preparazione adeguata. Il fatto poi che l’aumento di esperienza non dipenda tanto dalla vittoria negli scontri, bensì dal successo delle missioni, non costringe a fare un combattimento dietro l’altro e molto spesso l’opzione della fuga è quella più vantaggiosa e non penalizza per nulla il nostro “status”.        
    
Non è ancora tutto perfetto
Insomma, c’è molta old-school in Dead State, ma questa scelta non va vista in senso limitante, anche perché non ci sono solo i combattimenti. Dobbiamo vedercela infatti anche con scelte morali per nulla banali (andare alla ricerca di antibiotici per un amico infetto o non rischiare le vite di altri sopravvissuti?) o decidere se accogliere nuovi sopravvissuti nel gruppo, quando sappiamo bene che ciò significa anche dover recuperare più risorse per il loro sostentamento. Nel complesso Dead State cerca di mediare (e in parte ci riesce) tra il recente e fortunato filone zombi-survival, il Gioco di Ruolo a turni, l’esplorazione e le relazioni personali, affidandosi a meccaniche di gioco forse risapute e poco originali ma sempre capaci di appassionare e divertire il giocatore più esperto e paziente. L’atmosfera apocalittica è resa abbastanza bene e anche se la grafica lascia un po’ a desiderare nel character design, ci si può accontentare visto il risicato budget a disposizione degli sviluppatori. Purtroppo, come scrivevamo poco sopra, c’è ancora spazio per futuri aggiornamenti e fix, soprattutto per sistemare la gestione della telecamera un po’ ballerina, i crash del gioco che ancora persistono, i bug nei movimenti durante gli scontri e altri piccoli difetti, che comunque non impediscono di godersi già ora un’esperienza di gioco molto più stabile di molti altri titoli appena usciti dalla fase di Early Access.     

– Solido mix tra GdR e survival

– Meccaniche di gioco rodate

– Scelte morali

– Poco di nuovo sotto il sole

– Ancora qualche bug da sistemare

– Combattimenti a turni un po’ legnosi

7.0

Bisogna ammettere che dopo un’attesa così lunga speravamo in qualcosa di più da Dead State, più che altro come originalità, varietà delle situazioni e sistema di combattimento. Aggiungiamoci poi uno stato del gioco ancora un po’ buggato (ma nulla di veramente grave) ed ecco che affiora un po’ di delusione da questa esperienza survival-ruolisitca di DoubleBear Productions. Eppure il gioco riesce a intrigare per i suoi aspetti morali, per il piacere dell’esplorazione e per il riuscito equilibrio tra alcune “difficoltà” di stampo old-school e un mondo apocalittico per nulla avaro di risorse, che aiuta non poco a superare la frustrazione delle primissime ore di gioco.

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