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Pro
- Ritorno di una serie storica.
- Meccaniche semplici ma funzionali.
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Contro
- Non aggiunge nulla rispetto al passato.
- Tecnicamente non il massimo.
Il Verdetto di SpazioGames
C’è qualcosa di profondamente affascinante quando un videogioco apparentemente leggero, pensato per tutti, torna a bussare alla porta in una generazione come quella attuale. Everybody’s Golf Hot Shots non è soltanto un revival di una serie storica che, da sempre, si è posta come il lato colorato e accessibile di uno sport che nel mondo reale rimane spesso elitario e distante.
È anche un ritorno in scena che obbliga a porsi una domanda inevitabile: ha ancora senso oggi proporre un golf scanzonato, caricaturale, infarcito di avatar sorridenti e palline che sembrano quasi disegnate da un cartone animato giapponese, in un’industria dominata da realismo esasperato e simulazioni sempre più minuziose?
La risposta, sorprendentemente, è sì. Eppure non è un sì privo di riserve, anzi. Hot Shots è il classico gioco che ti abbraccia con la sua immediatezza e ti ricorda quanto può essere rassicurante trovare ancora spazio per la leggerezza.
Ma allo stesso tempo ti lascia il retrogusto amaro di un progetto che avrebbe potuto osare di più, di un titolo che sembra quasi ancorato a un’idea di videogioco da metà anni 2000, quando bastava un po’ di estetica kawaii e un sistema di swing semplificato per far scattare la magia.
Il golf in miniatura
Eppure, se c’è una cosa che ha sempre distinto Everybody’s Golf dalle sue controparti, è la capacità di unire due elementi apparentemente inconciliabili: la leggerezza e la meritocrazia. La serie deve gran parte della sua popolarità al fatto che, dietro l’aspetto scanzonato, si nasconde un sistema di personalizzazione della partita e dei colpi che lascia ben poco al caso. In Hot Shots per PS5 questo equilibrio si ripropone con sorprendente fedeltà.
Possiamo selezionare le mazze più adatte al nostro stile, tracciare la traiettoria del tiro, decidere il punto esatto della pallina da colpire per ottenere effetti particolari, e persino sfruttare colpi speciali capaci di ribaltare un match all’ultimo secondo. È un paradosso solo apparente: semplicità di approccio, profondità nelle sfumature. In altre parole, un gameplay che si offre al neofita senza spaventarlo, ma che allo stesso tempo premia chi decide di investire tempo e pazienza per padroneggiarne ogni dettaglio.
Il problema, semmai, è che tutto questo rischia di diventare ripetitivo. Perché alla fine stiamo pur sempre parlando di golf, e il rischio monotonia è dietro l’angolo. Clap Hanz prova ad aggirarlo inserendo qualche elemento più vivace, un tocco cartoon per rendere dinamiche le sfide e alleggerire l’esperienza. Ma non ci troviamo di fronte a un Mario Golf, che trovate anche su Amazon, e questo è bene sottolinearlo.
Non aspettatevi trasformazioni assurde o attacchi magici a ogni buca: qui l’approccio è decisamente più “realista”, con un’attenzione sincera agli elementi che fanno la differenza in una partita vera. Il vento che cambia direzione, la pioggia che rallenta la corsa della pallina, il terreno che nasconde insidie invisibili al primo sguardo: sono tutti dettagli che spingono a ragionare, a prendersi quel tempo di attesa che contraddistingue lo sport reale.
Il gioco non rinuncia, tuttavia, a un po’ di sperimentazione. C’è infatti una gamma di modalità che permette di vivere il golf anche in maniera più frenetica, con partite che strizzano l’occhio proprio alla concorrenza più fantasiosa. Esiste persino una modalità “alla Mario Golf”, con magie e attacchi speciali che spezzano la monotonia e trasformano il campo in un piccolo circo sportivo.
Ma veniamo al lato tecnico ed estetico, perché è qui che le crepe iniziano a farsi più evidenti. È innegabile che l’impatto visivo su PS5 sia superiore al passato: i campi sono più dettagliati, i cieli più vivi, l’HDR lavora bene nel dare profondità cromatica alle ambientazioni.
Eppure basta poco per rendersi conto che questo è un trucco cosmetico che non nasconde del tutto i limiti strutturali. La schermata di gioco, ad esempio, è un caos visivo: icone minuscole che affollano lo schermo, indicatori piazzati senza una logica estetica, un’interfaccia che sembra rimasta ferma a due generazioni fa. Non aiuta la regia delle cutscene, poche, povere e incapaci di dare respiro ai momenti salienti.
Le animazioni, poi, appaiono legnose, prive di quella fluidità che oggi ci si aspetterebbe da un titolo di punta di un franchise affermato. Durante le nostre partite ci siamo imbattuti in bug grafici che non rendono giustizia al gameplay: caddy che si muovono in maniera casuale, telecamere che faticano a seguire il golfista, piccoli glitch che spezzano l’immersione.
Sono dettagli, certo, ma in un titolo del 2025 non possono essere liquidati con leggerezza. Perché se la base è solida e il gameplay resta divertente, il comparto tecnico appare invece troppo grezzo, come se lo sviluppo si fosse fermato a metà strada.
Dal punto di vista della direzione artistica, invece, emerge il solito paradosso: da un lato un uso intenso e gioioso del colore, che ben si adatta al tono leggero della serie; dall’altro la sensazione palpabile di un’anacronistica “anzianità”. Le schermate di caricamento, i messaggi di testo, persino il design dei menu sembrano usciti da un videogioco di dieci anni fa. Lo stesso roster dei personaggi soffre di una certa monotonia: design anime standardizzati, differenze quasi impercettibili tra un avatar e l’altro, poca ispirazione. È tutto carino, certo, ma raramente sorprendente.
E la colonna sonora è un compitino senza infamia e senza lode. Non troppo ripetitiva, per carità, ma nemmeno capace di imprimersi nella memoria. Un accompagnamento sonoro funzionale, ma privo di guizzi creativi. In un titolo che punta così tanto sulla leggerezza e sulla spensieratezza, un lavoro musicale più ispirato avrebbe potuto fare la differenza.
Alla fine, quindi, Everybody’s Golf Hot Shots su PS5 è un titolo che porta con sé tutte le virtù e tutte le fragilità della sua lunga storia. Da un lato il gameplay che premia l’abilità e la pianificazione, un sistema di personalizzazione che lascia spazio alla meritocrazia, una gamma di modalità che arricchiscono l’offerta e una leggerezza che oggi ha un valore quasi ribelle. Dall’altro un comparto tecnico che mostra il fianco, un’estetica rimasta ancorata al passato, bug e sbavature che pesano più del dovuto.
Una buca per la nostalgia
Il risultato è un gioco che diverte, intrattiene e in certi momenti persino sorprende, ma che non riesce a liberarsi dal fantasma della nostalgia. È come un vecchio amico che torna a trovarti dopo anni: ti fa piacere vederlo, ridi delle stesse battute di una volta, ma ti accorgi che non ha nuove storie da raccontarti. E allora ti chiedi se il problema sia tuo, che sei cambiato, o suo, che non ha voluto cambiare affatto.
Ha ancora senso riproporre saghe come Everybody’s Golf senza un vero passo avanti, confidando solo nella memoria affettiva e nella fedeltà dei fan? Oppure è arrivato il momento di avere il coraggio di rompere la formula, ricostruire, reinventare, rischiare di tradire lo spirito pur di tenerlo vivo?