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Recensione

Dad of Light, la recensione della serie Netflix su Final Fantasy

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Avatar di Gottlieb

a cura di Gottlieb

Pubblicato il 08/09/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7.5

Cercare di raccontare il valore di un videogioco è l’eterna missione di tutti noi che facciamo questo mestiere, da un lato perché ci ritroviamo spesso, nella quotidianità della nostra vita, ad affrontare discorsi riguardanti la pericolosità del medium, dall’altro perché siamo – dovremmo – inevitabilmente affezionati al videogioco. Ci ha provato Dad of Light, una soap opera di sette puntate, dalla durata di venti minuti l’una, distribuita su Netflix: la serie racconta le vicende di un figlio, appassionato di videogiochi, e di un padre, che attraversa un momento molto difficile della sua vita. Il fulcro della vicenda è Final Fantasy XIV, il capitolo attualmente più redditizio per Square-Enix oltre a essere quello più longevo, destinato a superare facilmente il successo riscontrato con Final Fantasy XI.

Il Guerriero della LuceAkio è un giovane ragazzo giapponese, connotazione fondamentale per contestualizzare tutto ciò che circonda la sua vita: il mondo nipponico, d’altronde, si distanza molto dal nostro, soprattutto nell’approccio al lavoro, ma soprattutto nel modo in cui ci si relaziona con le altre persone, in particolar modo con i propri familiari. Akio da piccolo, grazie al supporto del padre, aveva scoperto una passione per i videogiochi e nello specifico per Final Fantasy, il terzo capitolo della saga firmata da Hironobu Sakaguchi, che gli permise di indossare i panni del Guerriero della Luce. Crescendo Akio ha mantenuto questa passione, fino ad arrivare al più recente Final Fantasy XIV, diventato il suo principale hobby dopo il lavoro, occupandogli le serate feriali e gli interi weekend. Per il padre, invece, la strada è stata diversa: dopo aver lasciato il lavoro, per causa sconosciute alla famiglia, è diventato burbero e chiuso in se stesso, interrompendo ogni possibile contatto con il figlio, che per riavvicinarsi a lui decide, quindi, di regalargli un gioco: Final Fantasy XIV. L’obiettivo diventa quello di diventare amico di suo padre nel gioco e aiutarlo a ritrovare il divertimento e la gioia smarrita, mantenendo l’anonimato fino al momento opportuno.Alla base di Dad of Light c’è una profonda storia di legami e di unioni, quelle che un gioco online può e deve aiutare a creare: un MMORPG, d’altronde, porta proprio a questo e riesce, nel tempo, a creare dei legami che possono diventare forti anche nella realtà. Akio parte da questo principio: lui, che sul lavoro ha difficoltà a relazionarsi con i colleghi, è lo stereotipo del ragazzo giapponese puro e ingenuo, che non riesce nemmeno ad approcciare o a lasciarsi approcciare da una ragazza, e trova facilmente rifugio a Eorzea, un mondo che accoglie chiunque vi sia dietro a un avatar. Per Akio è più semplice ritrovarsi nella lobby di gioco con i suoi compagni di party piuttosto che accettare di trascorrere una serata al cinema con una impiegata della sua stessa azienda, oppure trascorrere qualche minuto della sua vita a bere una birra con suo padre: per lui tutto è più facile al di qua di uno schermo, controller alla mano e tastiera pronta per comunicare. Però attenzione: Dad of Light non vuole assolutamente trasmettere il messaggio che il videogioco renda asociali o spinga a restare chiusi in casa. Qui si sta offrendo un’alternativa a chi ha problemi a socializzare o semplicemente non vuole trascorrere le sue serate tra locali e passeggiate notturne alla ricerca di persone che possano dargli stimoli: Akio è davvero l’esempio di ciò che succede a un giovane d’oggi, che sceglie di cercare le sue amicizie su internet, dove le persone si lasciano rintracciare a seconda delle loro passioni e attitudini. 

EmpatizzareDad of Light chiaramente non è esente da difetti: innanzitutto la recitazione è giapponese, il che, purtroppo, a volte significa ritrovarsi dinanzi a un qualcosa di pesantemente goffo. Le espressioni facciali di Akio sono sovente ridicoli, così come le sue reazioni, che per quanto possano far parte dell’universo giapponese risultano davvero fuori luogo e contesto. Molto più sentita è l’interpretazione del padre, che con la sua austerità e la sua severità riesce a trasmettere il senso e il peso del capofamiglia giapponese. Alcuni problemi risiedono anche nella scrittura, perché sebbene l’unico reale interesse sia quello di scoprire se il rapporto tra il figlio e il padre si ricucirà grazie a Final Fantasy XIV, Dad of Light ci propina anche una storyline collegata al lavoro di Akio e alle sue problematiche con esso: le vicende professionali tengono lo spettatore impegnato per almeno la metà di ogni puntata, ma alla fine della settima non viene fornito nessun dettaglio aggiuntivo, né tale storyline viene risolta. La porta resta talmente aperta che ci sia domanda come sia possibile che non sia stata chiusa o attraversata. In ogni caso c’è da dire che la sua breve durata e la velocità con la quale Dad of Light passa dinanzi ai nostri occhi (un totale di sette puntate da venti minuti l’una) ci permettono di vivere intensamente tutto il rapporto di Akio con suo padre: ci affezioniamo alla figura austera, perché in lui rivediamo i nostri padri, quelli che molto probabilmente abbiamo provato ad avvicinare al nostro mondo invano, quelli che avremmo voluto accanto a noi nelle nostre passioni ma che invece ci hanno guardato da lontano, quelli con i quali saremmo voluti partire, una sera, per sconfiggere Ifrit. Questa è una storia per videogiocatori, per chi, nel volto di Akio rivede se stesso. Chi, invece, vuole arrivare alla visione di Dad of Light scevro da qualsiasi passione per il nostro medium preferito allora molto probabilmente si ritroverà dinanzi a una soap opera giapponese che non ha molto da trasmettere.In chiusura un piccolo appunto sulla localizzazione in italiano: la serie è recitata esclusivamente in giapponese, ma potrete seguire i sottotitoli nella nostra lingua, che però non sempre sono precisi. Non annoveriamo tutti gli errori del caso, ma nelle ultime battute della serie vi ritroverete “tank” tradotto in “carro armato”, andando completamente a stravolgere il senso della frase. Sono errori che non cambiano l’esperienza complessiva, ma che rendono imperfetto il lavoro svolto dai traduttori di Netflix.

– Un modo diverso di comunicare i videogiochi

– Una soap dalle venature drammatiche

– Uno specchio sul mondo giapponese

– Storyline lasciate aperte

– Recitazione troppo goffa

7.5

Dad of Light è un inno al videogioco, al giocare online, tutti insieme: è un enorme spot commerciale per Final Fantasy XIV, ma indora talmente bene la pillola che alla fine della serie vi verrà sicuramente voglia di provare l’esperienza di Akio e di suo padre. Sorvolando su alcuni aspetti di scrittura, con tutti i problemi già elencati in precedenza, e decidendo di abbracciare la storia per quello che è, Dad of Light riuscirà sicuramente a tenervi impegnati per due ore intense e piene di pathos, alla scoperta di come un videogioco possa ricreare dei rapporti perduti.

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