Recensione

Atelier Sophie: The Alchemist of the Mysterious Book

Avatar

a cura di Gottlieb

C’è un mondo da salvare, una minaccia da sventare: indossati i panni di un giovane, pronto ad affrontare il cammino dell’eroe, partiamo per quella che è la più grande sfida della nostra vita, che a braccia aperte accoglie combattimenti, dolori, amori e sentimenti sciolti da tenere a bada. Se il presupposto fosse questo sapremmo di trovarci dinanzi a una storia che solitamente si sposa bene con il genere jRPG, ma stavolta pur trovandoci in questa precisa tipologia di videogioco non abbiamo molto da condividere con l’archetipo di Christopher Vogler: non c’è nessun eroe da convincere a partire e da osservare vincere le forze nemiche. La saga di Atelier, infatti, ci ha abituato a ben altri standard, a ben altre avventure e ben altre interazioni con la nostra esperienza videoludica. E’ qualcosa di noto a chi ha già dimestichezza con i sedici precedenti episodi, ma un’informazione che servirà ai neofiti, perché Atelier Sophie: The Alchemist of the Mysterious Book è un ottimo starting point, capace di avvicinare al genere anche curiosi videogiocatori, interessati a tentare un assalto al crafting più profondo e radicato. Il diciassettesimo capitolo di una longeva saga videoludica sbarca, quindi, su PlayStation 4 con tanta speranza e voglia di fare, pur confermando il suo essere rivolto fondamentalmente a una nicchia, sicuramente forte, ma pur sempre limitata.

E’ il libro che mi manda
Dicevamo, per l’appunto, che non ci sono eroi chiamati a salvare il mondo, bensì un’introspezione della quotidianità della nostra protagonista, Sophie Neuenmuller. Una giovanissima alchimista chiamata a perfezionarsi in quella che è la sua arte e la sua capacità principale, con il supporto di un libro, ereditato dalla nonna. Il tomo di nome Platcha, però, ha due aspetti misteriosi da scoprire: il primo è il saper parlare e volare, mosso da una sorta di magia, il secondo è l’aver completamente rimosso tutte le sue conoscenze circa l’alchimia, nonostante la sua natura di supporto cartaceo. Affidandosi, quindi, al principio che Platone enunciò a Menone, per poter apprendere tutto ciò che bisogna sapere basterà ricordare: andando, così, a recuperare oggetti e creandone di nuovi, potenziando il nostro crafting, permetteremo al libro di recuperare la memoria di tutto ciò che è necessario sapere, e insieme a lui anche noi riusciremo a perfezionare le nostre abilità e affinare le nostre conoscenze. Nel mentre anche Kihren Bell avrà bisogno del nostro supporto, con tutti i cittadini che non potranno esimersi dal richiedere il nostro aiuto in quanto alchimista, invocando la produzione di cibo, medicinali e annessi. 
Una trama che, così come avvenuto per i precedenti capitoli, non racconta di nessuna catastrofe epica, né ci mette dinanzi a storie strappalacrime: la quotidianità di Sophie, un personaggio precisamente rispondente ai dettami nipponici, è al centro della nostra vicenda, così come il supporto degli altri personaggi, da Monika a Julio, fino a tutti gli altri che andranno a comporre il nostro party nel corso della nostra avventura.

Nell’antro della montagna
Atelier Sophie, come dicevamo poc’anzi, ci mette dinanzi a uno starting point molto funzionale: non c’è alcun prequel, non c’è alcun collegamento di trama con i precedenti capitoli, salvo un personaggio che fa da collante, inoltre il fatto di essere il primo su PlayStation 4 ci permette anche di apprezzare la resa tecnica rinnovata e maggiormente pulita, con un cel shading che esalta i modelli dei protagonisti, ma che mortifica l’ambiente circostante. Certo è che il gameplay, che si divide in fase di crafting e di battle system, rimane comunque molto limitato sia per il suo essere un jRPG sia per la pletora di attività che oggigiorno un videogioco può offrire, sia nello sviluppo del personaggio che nell’elaborazione di strategie di combattimento. Va da sé, però, che Atelier non è interessato a tali aspetti, pertanto si rende deficitaria in tali situazioni esclusivamente per rispettare quello che è il suo modus operandi. Il nostro party, che sarà composto inizialmente da soli tre personaggi, ma che poi andrà a impreziosirsi nel corso dell’avventura permettendoci di schierarne massimo quattro per volta, sarà gestito esclusivamente a turni durante la fase di combattimento: il sistema ricalca molto, per rimanere ancorati al jRPG, quelle che erano le meccaniche di Final Fantasy X, così come d’altronde avvenuto nei precedenti capitoli. La variazione è praticamente nulla in tale aspetto, perché avrete a vostra disposizione la successione degli attacchi sul lato sinistro dello schermo, così da potervi organizzare in modo da elaborare la strategia per assaltare i vostri avversari: da Atelier Escha e Logy non si registrano cambiamenti, salvo l’inserimento delle catene, che vi permetteranno di ottenere un attacco automatico – non selezionabile o personalizzabile – da uno dei vostri combattenti al riempimento di una barra, la cui variazione si basa sugli attacchi andati a segno contro gli avversari: se tre dei vostri avranno attaccato, allora l’azione bonus sarà un attacco più forte, ma se avete deciso di difendervi, allora il bonus sarà legato a una difesa più corposa. Il battle system non si esalta per varietà, tant’è che nelle prime ore di gioco, a causa degli MP non eccessivi, non riusciremo nemmeno a sfruttare in larga parte le skill dei vari personaggi, in ogni caso utili nei combattimenti più ostici. Diversamente quindi da quanto visto nei precedenti Atelier, che semplificavano molto l’attività di combattimento, stavolta con Sophie dovremo ragionare di più, dosando l’utilizzo degli oggetti e delle skill di ogni personaggio, cercando anche di curarci e, se proprio necessario, decidere quando fuggire da uno scontro. Tutti gli avversari sono visibili a schermo, così da poter essere evitati o anticipati nel combattimento, utilizzando il tasto quadrato che ci permette di avere, così, il primo colpo a nostra disposizione: non un espediente che modifichi tantissimo le sorti dello scontro o che sposti l’ago della bilancia, ma comunque un aspetto concettualmente da premiare.

Il potere del calderone
Poi, quando sarete a casa di Sophie dinanzi al calderone, potrete iniziare a lanciarvi nel crafting. Il sistema è più semplice di quanto si possa immaginare, diversamente da quello che potrebbe sembrare in un primo momento. Gli oggetti che potrete creare rappresenteranno la base da cui partire per avanzare nella vostra avventura: per poter, infatti, procedere all’oggetto successivo da creare, e quindi alla missione successiva, dovrete sconfiggere un determinato tipo di avversari, per un determinato numero di volte, così da riempire la barra progresso abbastanza da poter tornare dal libro e ottenere le istruzioni per la composizione del vostro oggetto. Tutto ciò che create potrà essere utilizzato in battaglia, quindi craftare in maniera dozzinale e approssimativa, esclusivamente per arrivare alla missione successiva, non vi converrà, soprattutto quando avrete bisogno di una Ice Bomb da lanciare contro un mostro infuocato, per esempio. A seconda della qualità dei vostri materiali e della precisione nell’inserire tutti questi nella tabella finale, che molto richiama lo stile di Tetris, potrete ottenere oggetti migliori e più performanti, sia in fase di cura che in fase d’attacco. Va da sé che l’intero titolo rende molto ciclica la vostra esperienza, perché una volta completato un oggetto sarete chiamati a raccogliere altri materiali per realizzarne un altro ancora: una gestione dell’incedere che presa a piccole dosi può funzionare, ma che reiterata in maniera continua in svariate ore di gameplay nell’arco di una sola giornata annoia abbastanza facilmente, soprattutto là dove le indicazioni che proverranno dal libro non saranno molto precise, costringendovi a vagare per le varie zone alla ricerca dei requisiti minimi da soddisfare. Le zone, in ogni caso, oltre a subire il ciclo notte-giorno o le variazioni climatiche che aggiungono il temporale e il nuvoloso, sono facilmente esplorabili grazie al loro essere molto contenute: pochissime, infatti, presentano alcuni ingressi per dungeon aggiuntivi, che in ogni caso si estinguono in pochissimi passi da percorrere e qualche oggetto aggiuntivo da raccogliere. Per quanto riguarda i cicli, invece, l’unica variante rappresenta esclusivamente la comparsa di alcuni mostri o altri, utili ai fini dell’ottenimento di alcuni oggetti o altri. Sconfiggere i mostri, però, non sarà utile soltanto ai fini dell’avanzare di livello, ma anche per le missioni secondarie, organizzate in maniera abbastanza confusionarie, soprattutto là dove alcune vi richiederanno di completare lo stesso obiettivo contemporaneamente, che sia l’uccisione di alcuni mostri o che si tratti di creare alcuni oggetti da mangiare. Positivo per voi che riuscirete a raccogliere una doppia ricompensa, ma denigratorio per il sistema di gioco, che non mostra grande impegno nelle sue proposte. Chiudiamo con un appunto collegato al trascorrere del tempo: così come negli ultimissimi capitoli, non è stato inserito alcun limite temporale che possa costringervi a velocizzare le vostre azioni e il tutto sarà basato su una settimana di cinque giorni (il weekend si riposa, chiaramente). L’avanzare del tempo semplicemente varia quelle che saranno le situazioni quotidiane in città, dai negozi aperti o chiusi, fino all’apertura di nuove attività, come il fabbro, dopo un certo numero di cicli lunari. Un aspetto che rende più vero e tangibile l’esperienza, ma che chiaramente non comporta alcun tipo di ansia o di preoccupazione, come invece avrebbe potuto fare un Lightning Returns: Final Fantasy XIII.

Atelier Designer
L’aspetto che confonde nell’analizzare l’art direction di Atelier Sophie risiede nel balbettante character design: mentre Julio sembrerà un personaggio appena arrivato da Final Fantasy, quindi da un jRPG che mira a palcoscenici leggermente più maturi, Oskar piomberà dal cielo steampunk, Monika esalterà lo stile vittoriano e la stessa Sophie avrà due outfit cui fare riferimento che alternano quasi la sua personalità, pur rimanendo la stessa persona per tutto l’arco dell’avventura. Un’indecisione di fondo che non è ben comprensibile e che un po’ cozza con quella che è la natura fantasy del titolo, per il resto bene omologato con aree molto forestali e boscose, alternate da interni molto fiabeschi, come d’altronde la Kirhen Bell che fa da fulcro delle vicende. Lo stesso parco avversari ha mostrato un tentennamento tale da voler quasi far intendere che il design vuole ottenere tutto e non farsi scappare nulla: si va dai punis che scimmiottano le creature di Dragon Quest fino a grifoni alati che richiamano molto di più il fantasy occidentale che quello orientale. Il tutto è dovuto all’aver deciso di affidarsi a due diversi designer, quasi agli antipodi nei loro stili: decisione abbastanza discutibile e che non si lascia apprezzare, perché la varietà può sicuramente essere un punto a favore, ma non quando diventa così schizofrenica. Per il resto, dicevamo anche poc’anzi, nella realizzazione tecnica abbiamo riscontrato una buona attenzione per i personaggi, ma una eccessiva approssimazione nella realizzazione dei fondali, spogli e mai troppo caratterizzati, oltre a essere completamente inermi. Ma d’altro canto non si poteva pretendere qualcosa di diverso, pertanto ci accontentiamo dello sbarco sulla current gen di Atelier e ne godiamo con i suoi colori accesi e con la maniacale attenzione riposta nel realizzare i nostri protagonisti, pur non esaltandosi per realizzazione. 

– Sparito il limite temporale

– Crafting agevole e graduale

– Ottimo starting point

– Battle system limitato

– Missioni secondarie ridondanti

– Crescita del personaggio nulla

– Character design indeciso

7.0

Atelier Sophie: The Alchemist of the Mysterious Book rappresenta un’ottima aggiunta a una delle saghe più longeve dell’attuale panorama videoludico, ma anche un perfetto starting point per chi volesse scoprire qualcosa di nuovo. Ci troviamo, ancora una volta, dinanzi a un jRPG che non modifica la propria formula, che insiste nell’offrire un prodotto lento, che non decolla mai, che vi mette dinanzi a una storia completamente diversa da quelle cui siamo abituati, e che esalta le proprie attenzioni al crafting. Come detto in apertura, si tratta di una saga che si riferisce a una precisa nicchia, interessata al genere, e che difficilmente si pone l’obiettivo di conquistare una pletora di videogiocatori. Con uno stile molto nipponico, con una narrazione pregna di dialoghi, Atelier Sophie rappresenta l’ottima definizione di jRPG atipico, con un battle system molto limitato, uno sviluppo del personaggio fin troppo lineare e un incedere troppo ripetitivo, che ne fa oscillare la valutazione, limitando il divertimento soltanto a chi realmente cerca qualcosa del genere: una cadenzata esperienza ai piedi di un calderone, pronti a creare un po’ di miele combinando degli oggetti appena trovati in una lenta passeggiata in un bosco.

Voto Recensione di Atelier Sophie: The Alchemist of the Mysterious Book - Recensione


7