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Recensione

Assassin's Creed Origins - La Maledizione dei Faraoni

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Avatar di Filippo "Xsin" Consalvo

a cura di Filippo "Xsin" Consalvo

Pubblicato il 20/03/2018 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Assassin’s Creed Origins è stato un titolo peculiare per Ubisoft, uno di quelli che segnano un punto di svolta e di sicuro la scommessa più importante degli ultimi anni per un brand che riveste un ruolo di primissimo piano per la software house francese ma anche per il mondo videoludico in generale.
Che la si apprezzi o meno, la saga degli Assassini ha raggiunto una fama notevole e con essa si è portata, negli ultimi capitoli, anche le critiche per un sistema che poco rinnovava di anno in anno. 
Origins è stato presentato come il titolo del riscatto, il prodotto di anni di impegno e il risultato di tutte le idee di cambiamento che Ubisoft ha ritenuto necessario apportare per trasformare il proprio gioco e dare ai fan ciò che si aspettavano, ma soprattutto come un open world vasto, ricco di elementi e curato nella sua ricostruzione di quell’immensa e affascinante civiltà che è stata l’Antico Egitto.
A concludere questo insieme di buoni presupposti c’è il setting narrativo, responsabile di raccontare la nascita dell’ordine che abbiamo conosciuto tramite Desmond Miles nella sua storica lotta contro i templari o, comunque, i potenti contrari al libero arbitrio. 
Non è una sorpresa quindi che Assassin’s Creed Origins vanti una qualità artistica eccellente persino per gli standard della saga, complice la sconfinata bellezza della cultura egizia e dei suoi miti, riti e divinità, con quella dose di misteri e meraviglie sopra l’ordinario che si sposano perfettamente con le rielaborazioni storiche a cui Ubisoft e i manufatti dell’Eden ci hanno abituato. 
Un terreno così fertile sul quale sembrava naturale potessero crescere delle espansioni vere e proprie, con l’aggiunta di mappe e parti importanti di storia che da un lato approfondissero le vicende di Bayek e dall’altra scavassero più a fondo nella relazione tra l’Egitto e la famosa mela, quest’ultima nuovamente protagonista ne La maledizione dei Faraoni, secondo DLC dedicato al medjay di Siwa.  
Dopo gli Occulti, primo contenuto aggiuntivo dedicato alla Fratellanza, Bayek raggiunge Tebe e la Valle dei Re, in preda ai razziatori di tombe che trafugano reliquie e oggetti di valore dai sepolcri dei faraoni e colpita da una maledizione che desta subito il sospetto del primo assassino.
Sin dai primi minuti il gioco, al quale si può accedere solo dal livello 45 (ottenendolo in-game o avanzandoci su un salvataggio alternativo), Tebe si mostra aggressiva, ricca di forti ben difesi e guardie in costante allerta. Ogni angolo della nuova mappa ispira voglia di esplorare e di scoprire, ma allo stesso tempo i pericoli sparsi ovunque la rendono ostica e letale, con la continua sensazione che l’ombra di un faraone o Anubis possano apparire da un momento all’altro a portare la desincronizzazione.
La difficoltà si adegua però dopo le prime ore, giusto il tempo di recuperare alcune armi esclusive del DLC e di capire come affrontare queste nuove minacce, così come non mancano nuove abilità aggiunte appositamente.
La struttura delle missioni lascia la deviazione intrapresa da Gli Occulti e torna sullo stile del gioco principale, con quel pattern che vede Bayek indagare su un obiettivo, trovarlo, eliminarlo per poi scoprire il reale responsabile e passare quindi a questa nuova ricerca, in un’indagine che lo porta ad avvicinarsi sempre di più al manufatto e ai responsabili della maledizione. 
Nuovi nemici, però, e con essi un modo tutto nuovo di combattere: questo secondo DLC si basa tutto sulla strategia, la preparazione e l’equipaggiamento, dove gli effetti aggiuntivi delle armi diventano essenziali per riuscire ad avere la meglio su avversari più grossi, forti, veloci e numerosi di noi. Siamo sicuri che ogni giocatore troverà il proprio approccio, ma la svolta su questo piano ci sembra evidente e anche piuttosto ricercata: se nel gioco principale non ci eravamo mai trovati ad avere bisogno di dardi e bombe, Curse of the Pharaohs ci ha fatto capire presto che non ne avremmo potuto fare a meno. 
L’aspetto determinante è la potenza di attacco dei nemici, molti dei quali sono in grado di ridurre in fin di vita un Bayek di livello 48-50 con attrezzatura eccellente in un sol colpo, dunque gli amanti dello stile aggressivo e combattivo vengono costretti a fare un passo indietro in virtù di un approccio più riflessivo, con attacchi brevi e rapidi ma più sicuri. Senza veleno o fiamme questi scontri sarebbero durati almeno il doppio e parliamo già di combattimenti da 10-15 minuti abbondanti, dove ogni minima disattenzione può determinare la sconfitta. 
Ma questo DLC non è solo uno stile narrativo ripreso dal gioco principale e un combat system che obbliga ad avere un approccio più vario e preparato, è molto di più e lo dimostra di sicuro nella nuova mappa tutta da ammirare: Curse of the Pharaohs è artisticamente sbalorditivo, mette in campo delle ambientazioni estasianti e una palette di colori onirica, gioca con le tradizioni egizie e catapulta il giocatore in un’esperienza fuori dal comune. 
Una bellezza ancora più godibile nei panni di Senu, che mette in evidenza una disposizione studiata per essere ammirata dal volo dell’aquila di Bayek, proprio per sbalordire lo spettatore e catturarne sguardo e interesse. 
Per molti potrebbe trattarsi di un aspetto secondario o superfluo, ma secondo noi rappresenta un punto di forza talmente potente da risultare determinante nella giustificazione del prezzo del DLC, disponibile per PC, PS4 e Xbox One dal 13 marzo 2018 al costo di 19,99€.
L’aspetto narrativo invece non raggiunge mai livelli d’eccellenza, ma la storia che lega le indagini di Bayek regge e tenta anche di raccontarsi con pathos e qualche timido tentativo di plot twist, lasciandoci più volte credere di essere giunti alla fine per poi continuare in una direzione fino ad allora ignota. Grazie a questo escamotage, alla difficoltà e a una mappa davvero ampia e ricca, Curse of the Pharaohs è in grado di regalare circa 12 ore di intrattenimento per concludere le missioni principali e qualcuna secondaria, ma la completa esplorazione di tutti i luoghi e segreti può portare questo numero anche a 18-20 ore, oro per i fan che hanno amato particolarmente la storia del titolo principale e i segreti che l’Antico Egitto nasconde.




Artisticamente eccezionale

Difficoltà ribilanciata

Più strategia e preparazione

Esperienza simile al gioco principale

Un po’ troppi riferimenti alla religione egizia

8.0

Assassin’s Creed Origins è un titolo non perfetto ma ci sentiamo di dire ben realizzato, tra i migliori dell’intera saga e pieno di dettagli e meccaniche che dimostrano tutto l’impegno profuso da Ubisoft per ridare ai fan le emozioni che hanno reso questo brand speciale.

Curse of the Pharaohs cerca di mantenere lo stesso stile e quell’essenza che ne ha caratterizzato il successo, apportando però diverse migliorie e bilanciamenti qua e là che arricchiscono e rendono più godibile l’esperienza di gioco, fondata comunque in maniera evidente quanto inevitabile sulla resa visiva e artistica, con ambientazioni, nemici, oggetti e dettagli di altissimo livello persino per gli standard Ubisoft.
Le missioni non brillano per originalità o pathos, eredità del gioco principale questa, ma questo DLC funziona e mette sul piatto tanta carne che i fan della saga gusteranno con piacere, anche grazie ad una longevità degna di alcuni giochi completi. In parole povere, La Maledizione dei Faraoni è una piccola perla imperdibile per chi ha apprezzato Origins, tutti gli altri potrebbero invece non giustificare la spesa per un’esperienza che arricchisce ma non porta molte novità alle avventure di Bayek. Noi, comunque, ci sentiamo di promuoverlo e di questi tempi, quando si parla di DLC, non può che essere una bella notizia.

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