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PS3, il sogno (o l'incubo) del controller Boomerang | Post Mortem #8

La lunga e tortuosa epopea di PlayStation 3 ebbe inizio con un leggendario controller a forma di boomerang

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a cura di Paolo Sirio

Per via della segretezza che certe volte vanamente lo circonda, il mondo del gaming è pieno di misteri e casi che hanno una marea di risvolti. Come abbiamo visto recentemente con Anthem e BioWare, è un mondo, questo, in cui l’iterazione è dominante, si fanno tantissimi esperimenti e quando questi vanno bene, si finisce con il reinventare la ruota; ma quando vanno male, la figuraccia è dietro l’angolo, e le figuracce sono cose che compagnie quotate in borsa e con migliaia e migliaia di dipendenti possono permettersi sempre più raramente. Con Post Mortem, non abbiamo mai toccato i lavori dei platform holder ma lungi dall’essere, questa, un’affermazione di immacolatezza delle console e dei progetti che, uno step alla volta, le hanno portate al mondo. Come nel caso di PlayStation 3, il tempo è spesso tiranno e prendersi dei rischi di fronte al pubblico è in qualche circostanza una necessità, più che un vezzo; e tra E3 2005 e 2006, Sony aveva la necessità di mostrarsi in pompa magna per (ri)affermarsi come conditio sine qua non dell’industria, per non perdere quella posizione di leadership che con PS1 e PS2 aveva raggiunto dinanzi ad un competitor storico come Nintendo e un altro, quale Microsoft, che dopo un iniziale buco nell’acqua si era convinto ad investire denaro e conoscenze per portare il settore in una dimensione completamente diversa. Una dimensione in cui, evidentemente, PS3 fece grande fatica ad innestarsi.

Questa è soltanto una storia marginale, eppur ricca di risvolti, sulla presentazione di quell’hardware. Questa è la storia del controller soprannominato “Boomerang” di PS3, che per qualche tempo funestò i sogni, e popolò frequentemente gli incubi, degli appassionati di videogiochi. Benvenuti al Post Mortem #8.

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Cosa sarebbe stato

Diamo un po’ di contesto alla nascita del controller Boomerang, prima di addentrarci nelle ragioni che portarono alla sua presentazione inattesa e inusuale. Era il 2005, anno in cui l’E3 si svolgeva (pensate!) nel mese di maggio e non nell’ora tradizionale finestra di giugno. Microsoft aveva anticipato i tempi e svelato Xbox 360 attraverso uno speciale di una ventina di minuti su MTV, una cosa che a guardarla oggi sembra uscita da un universo parallelo particolarmente deviato. Quella mossa, insieme al reveal di Revolution (che sarebbe poi diventato Wii), aveva contribuito a mettere una certa agitazione in Sony, evidentemente, visto che si era trovata quasi scippata del suo ruolo di prima donna nel mondo del gaming da un avversario del quale temeva le potenzialità nonostante il flop di Xbox pochi anni prima. Fu così, come del resto da programma, partì una massiccia campagna promozionale per l’E3 a Los Angeles, con manifesti e pubblicità ovunque nella città nei quali si parlava di un “Chang3”, un cambiamento firmato PlayStation, che avrebbe rivoltato come un calzino non solo l’industria ma l’intero settore dell’intrattenimento.

Fu in questa cornice che il 16 maggio 2005 la casa nipponica si presentò all’appuntamento con il destino di quella generazione, con Ken Kutaragi, papà di PS1 e PS2, e la sua ambiziosissima visione a guidare la carica; ma molti elementi, tra cui il nostro Boomerang, diedero l’impressione di un reveal anticipato, quasi raffazzonato, o comunque confezionato con tanti punti interrogativi ed elementi provvisori che avrebbero dovuto dare un’idea di cosa sarebbe stata PlayStation 3, non di cosa fosse davvero. Il controller, ad ogni modo, non fu il solo elemento a cambiare nell’immediato futuro; lo fecero anche alcune specifiche tecniche, come ad esempio il numero di porte ethernet, HDMI e USB, elevatissimo per qualche ragione che ancora oggi è avvolta nel mistero. Altre cose rimasero, tra cui il processore Cell, avveniristico ma difficile da maneggiare per gli sviluppatori, e il supporto al Blu-ray, che avrebbe definito, quello sì, l’entertainment negli anni a venire.

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Il Boomerang, come lo dovremo definire da qui in avanti dal momento che non gli fu dato un nome ufficiale, era al centro della scena fin da subito all’E3 2005, in una teca che conteneva anche PlayStation 3 (il cui design non sarebbe invece cambiato, nonostante le critiche per le dimensioni). I fan dei videogiochi sono in fondo degli eterni Peter Pan, bambini un po’ troppo cresciuti che si fanno suggestionare abbastanza facilmente, e quel design ne rapì effettivamente l’occhio. Se aveste chiesto ad un appassionato come sarebbero stati i controller del futuro nei primi anni del 2000, probabilmente vi avrebbe risposto con qualcosa del genere; al tempo, la concezione di “futuro”, appunto, era qualcosa di totalmente diverso, non di più comodo o funzionale, semplicemente differente, nell’aspetto e nel modo in cui ci saremmo dovuti comportare nei suoi confronti, in sua presenza. Un po’ come la questione delle macchine volanti nei film degli anni ’80.

Ebbene, il Boomerang sembrava rispondere esattamente a quel tipo di esigenza, seppure, guardandolo in prospettiva, avesse palesemente dei problemi di architettura. Quel pad non aveva la vibrazione come si sarebbe scoperto più avanti (e ne parleremo) per via della diatriba tra Sony e Immersion, che aveva il brevetto sulla tecnologia del rumble, e, se fosse stato mantenuto un simile design, mai avrebbe potuto averla, vista fondamentalmente l’assenza di spazio in cui innestare i “motori” che avrebbero dovuto generarla. Il dubbio, perciò, è che un design del genere fosse stato partorito pure come risposta a quella problematica, pure per aggirare il fatto che presentare un controller come quello di PS2 nell’aspetto ma senza vibrazione sarebbe parso come un passo indietro imperdonabile, per un’azienda che invece prometteva il futuro; avrebbe puntato su un look fuori dal mondo e sui controlli di movimento della tecnologia Sixaxis. Poi, guardiamo il posizionamento dei tasti dorsali e dei grilletti: erano al centro del controller e non, come siamo stati abituati finora, sulla stessa linea delle croci direzionali e delle levette analogiche. Alla lunga, avrebbero causato crampi e una stanchezza di non poco rilievo nelle dita dei giocatori, specie se consideriamo la forma piuttosto allungata dell’oggetto che avrebbe richiesto un’estensione probabilmente del pollice o del medio per raggiungere ogni volta il pulsante desiderato. Chiaramente, un problema che qualunque controller non rettangolare, semplificando di parecchio la questione tecnica, avrebbe dovuto o dovrebbe affrontare prima di presentarsi in pubblico.

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Nel 2007, Teiyu Goto, responsabile del visual design di tutte le console di Sony sino ad allora, aveva spiegato a latere quale fosse l’intento del gigante giapponese quando ha portato quel controller sul palco dell’E3. In un virgolettato che potete trovare qui, Goto lascia intravedere quello che anche Kaz Hirai, presidente di Sony fino a pochi mesi fa, ebbe a dire su Ken Kutaragi, padre di PlayStation: un uomo visionario, che vedeva nella compagnia un’unità indipendente o quasi che avrebbe dovuto lavorare ad ogni aspetto della propria console, compresi quelli ingegneristici più delicati come il processore, e lanciarla sul mercato con lo scopo di reinventare ogni volta la ruota; un’idea di console molto diversa da quella dietro PS4, che si è invece standardizzata su posizioni comuni similmente a quanto ha portato nel settore Xbox con le sue collaborazioni prima con Nvidia, poi con AMD. Ebbene, Goto spiegò che “il presidente Kutaragi voleva qualcosa di diverso per il controller”.

Francamente, avevamo messo da parte l’aspetto ergonomico in favore dell’immagine che doveva evocare. Volevamo presentare un modello d’avanguardia per lo show, correndo il rischio di venire criticati.

Era molto futuristico visivamente, ma nella pratica dovevi solo tenerlo in mano per capire come fosse a confronto con il DualShock 2. Sapete, ci sono così tanti giocatori che sono abituati al controller PlayStation; è come il volante di un auto, e non è facile cambiare le abitudini delle persone”.

Insomma, parole dalle quali traspare una certa contrarietà a che quel tipo di design venisse svelato in pubblico o comunque al fatto che avrebbe potuto funzionare, presto o tardi, per un’utenza che vedeva in PlayStation come la propria casa; un marchio in cui ritrovare una componente di familiarità oltre ai naturali avanzamenti tecnologici che si aspettava, e probabilmente ci si aspetta, ad ogni step evolutivo del gaming.

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Cos’è stato

Una familiarità che evidentemente il pubblico dei videogiocatori non ritrovò in quel design, e fu così che il controller Boomerang rimase con ogni probabilità su quel palco, in un giorno di fine maggio 2005. La conferenza in se non fu particolarmente contestata, non a caso alla memoria dei giocatori rimane l’E3 2006 (con perle del calibro di Riiiidge Raaaaceeer, il giant enemy crab e altro ancora) più che quello del 2005, ma fu chiaro fin da subito che con quel tipo di progettualità non si sarebbe andati molto lontano. E fu così che a pagarne le conseguenze, detto di un aspetto non proprio esaltante della console stessa che in qualche modo fu ‘coperto’ dal pad, fu il Boomerang di PS3.

Rumor sul fatto che potesse venire scartato iniziarono a circolare già nel mese di novembre e, sebbene fosse stato bollato fin dall’inizio come un “conceptual design” del controller reale, Sony si affrettò a negare, ribadendo la propria convinzione che quell’idea sarebbe rimasta a lungo in circolazione e che se anche ci fossero stati dei cambiamenti sarebbero stati di poco conto rispetto al design nel complesso.

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Tale versione non resse in realtà per troppo tempo, e nel marzo del 2006, nemmeno un anno dopo, arrivò la conferma del redesign per bocca del presidente dei Worldwide Studios Phil Harrison (vi dice qualcosa questo nome?), che sarebbe stato presentato di nuovo in pompa magna all’E3 nel mese di maggio. Ad onor del vero, il nuovo controller avrebbe mantenuto quale pilastro l’assenza della vibrazione e il focus sull’elemento che al tempo la compagnia riteneva davvero “next-gen”, ovvero i controlli di movimento. Si sarebbe chiamato Sixaxis.

Patrick Seybold, responsabile della comunicazione e dei social media di SCEA, spiegò il cambiamento così:

Il controller originale per PlayStation 3 che è stato svelato all’E3 2005 era un mock up design che volevamo fosse pronto per il primo unveiling del prodotto. Ovviamente, è stato accolto da una reazione molto forte, con alcuni a favore e altri no del design.

Dopo l’E3, passando per una varietà di focus group intorno al mondo, era chiaro che i consumatori e i fan PlayStation volessero provare i giochi per PlayStation 3 con la familiarità e il pluripremiato feeling del design del DualShock, e abbiamo fatto quel cambio”.

Goto, in realtà, approfondendo l’argomento in un’altra intervista di pochi anni dopo, diede più l’idea di un tentativo vero e proprio di proporre qualcosa di diverso, non solo di una soluzione temporanea che dovesse dare un tono all’ambiente all’E3.

Il desiderio di cambiare c’era tutto, ma la tradizione di PlayStation fu più forte – il più piccolo cambiamento al controller avrebbe potuto infastidire i giocatori e non valeva la pena correre quel rischio.

Inoltre, con la retrocompatibilità con PS2, l’ergonomia avrebbe dovuto rimanere la stessa giocando titoli della precedente generazione ma senza dover tirare fuori i controller con il filo. Per queste ragioni siamo tornati alla forma del controller classico”.

Lo stesso Phil Harrison commentò nel 2006 le reazioni ricevute dal Boomerang, ribadendo la versione per cui si sarebbe trattato di un semplice mock up, “chiaramente progettato come design concept, e mai inteso come controller definitivo, nonostante quello che tutti hanno detto su di lui. Penso che certamente abbiamo visto la forza delle sensazioni che esistevano intorno al boomerang, anche se nessuno al mondo lo aveva mai tenuto nelle sue mani. Penso che quello sia stato molto interessante, il fatto che la gente lo stesse criticando per il suo aspetto e non per le sensazioni che dava”.

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Una dichiarazione discordante per tanti versi rispetto a quelle di Goto, ma che rende l’idea di come in Oriente si stesse puntando sul futuro, o per meglio dire sul ‘futurismo’ di PlayStation 3, mentre in Occidente si badasse alla praticità e al fatto che in giro quel tipo di design sarebbe stato invendibile o quasi.

Dopo il lancio della console, complicato da un prezzo fuori scala e un portfolio poco accattivante, si cercò di correre ai ripari proponendo un connubio delle diverse anime della compagnia, che risultarono prima nel Sixaxis che abbiamo già menzionato e infine nel settembre 2007, a questioni legali risolte con Immersion, al DualShock 3, presentato al TGS e lanciato nel giro di pochi mesi dal reveal. Curiosamente, il flop di PlayStation 3 nella prima metà della sua vita diede alle posizioni occidentali un maggiore vigore, che fu speso sul ‘normalizzare’ PS4 e renderla il successo incredibile che è stato sia in termini di vendite che di puro supporto dalla scena dello sviluppo – indovinate? Più dalle nostre parti che in Giappone.

Una storia tortuosa, quella del controller Boomerang, che ha rispecchiato in tutto e per tutto l’epopea di PlayStation 3, la console che con la sua visione troppo ambiziosa e di difficile compresione ancora oggi ha portato al pensionamento di Kutaragi, un genio a cui tutti dobbiamo molto. Quel design ha causato più di un grattacapo a Sony ma era un feticcio, l’incarnazione della visione di Kutaragi e della volontà di portare il gaming ancora una volta ad uno step successivo, anche a scapito della familiarità e delle comodità cui il videogiocatore del tempo era abituato. In un settore in cui il “feedback” la fa da padrone, personalità e progetti come questi difficilmente troveranno spazio in futuro, insieme alle loro idee avveniristiche calate dall’alto. E forse è per questo che si fatica sempre di più a comprendere la differenza tra una “scatola” e l’altra.

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Una storia tortuosa, quella del controller Boomerang, che ha rispecchiato in tutto e per tutto l'epopea di PlayStation 3, la console che con la sua visione troppo ambiziosa e di difficile compresione ancora oggi ha portato al pensionamento di Kutaragi, un genio a cui tutti dobbiamo molto. Quel design ha causato più di un grattacapo a Sony ma era un feticcio, l'incarnazione della visione di Kutaragi e della volontà di portare il gaming ancora una volta ad uno step successivo, anche a scapito della familiarità e delle comodità cui il videogiocatore del tempo era abituato. In un settore in cui il “feedback” la fa da padrone, personalità e progetti come questi difficilmente troveranno spazio in futuro, insieme alle loro idee avveniristiche calate dall'alto. E forse è per questo che si fatica sempre di più a comprendere la differenza tra una “scatola” e l'altra.