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Pikuniku Recensione | Un'allegra distopia

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Requisiti minimi di un eroe: superpoteri, mantello, bella presenza e identità segreta. Requisiti rispettati dall’eroe di Pikuniku: nessuno di questi. Figuratevi, non ha nemmeno un nome quella cosa rossa e informe da cui spuntano solo due gambe e nel villaggio tutti la chiamavano “La bestia”, almeno fino a quando si sono resi conto che la terribile minaccia al massimo può indossare un cappello a matita o un paio di occhiali fashion. Va bene, può dare dei calci e rotolare giù appallottolandosi per sfruttare l’esagerata fisica di un mondo stilizzato e colorato che definire bizzarro sarebbe riduttivo, ma mi sembra decisamente poco per salvare il pianeta da un’imminente catastrofe. Eppure questi ingredienti sono bastati a Sectordub – un ristretto manipolo di sviluppatori sparsi tra Parigi e Londra – per dar vita ad un’avventura dai toni scanzonati e a tratti no sense, fatta di eroi a loro insaputa e personaggi piuttosto singolari, ma non fidatevi di Pikuniku e non fermatevi all’apparenza, perché sotto quei colori e quella spensieratezza c’è un messaggio decisamente più serio e maturo.

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Mai prendersi sul serio

Il medium videoludico ha raggiunto una certa maturità, ha dimostrato di riuscire a trattare temi anche seri, ma nella sua disperata ricerca di autorialità spesso sfocia in una pedantesca imitazione mal riuscita di qualcosa che è altro, finendo col perdere la propria origine di passatempo e fuga dalla realtà. Pikuniku è proprio agli antipodi rispetto a questo concetto e non si prende sul serio nemmeno per un secondo e tutta la costruzione dell’avventura si basa su scambi di battute in cui è difficile non trovare strambi giochi di parole, momenti al limite dell’assurdo e situazioni tirate fuori da un cilindro fatto di curiose trovate.

Ma l’opera di Sectordub gioca con questi concetti e li sfrutta per mettere il giocatore davanti alla realtà, non quella fittizia di un pianeta che sembra disegnato da un bambino che ha appena preso in mano matita e pennarelli, ma quella che sta esattamente fuori dalla sua porta: Pikuniku gioca a fare lo stupido, ma non le è per niente. L’avventura viene aperta da uno strano messaggio di un altrettanto strana azienda, la Sunshine Inc., guidata dall’omonimo padrone, un tizio rosa con baffetti e tuba. E già qua potrebbero partire i paralleli tra la caratterizzazione di quello che da lì a breve si scoprirà essere il nemico e l’iconografia del capitalismo disumanizzato e spesso rappresentato appunto da un grasso maiale rosa col cilindro in testa.

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Nel filmato introduttivo la fantomatica azienda promette soldi gratis per tutti, una pioggia d’oro che cade sulle teste degli ignari cittadini a cui non viene chiesto nulla in cambio, solo di poter recuperare i rifiuti prodotti nelle varie case. Ovviamente questa è solo una copertura e le intenzioni della Sunshine Inc. sono ben altre e un po’ alla volta gli abitanti di quelle esotiche città scoprono sulla propria pelle che dietro la promessa di benessere e felicità si nascondono sfruttamento delle risorse e distruzione dell’ambiente.

Pikuniku tocca queste materie sempre in modo intelligente, parlando della barbarizzazione dell’agire umano ma sempre ricordandosi di essere innanzitutto un gioco e sfrutta il perfido agire della corporazione per arrivare a mettere in scena un improbabile tentativo di distopia, staccandosi dall’attualità e portando di nuovo l’attenzione su un livello puramente astratto, fittizio e, ovviamente, sballato. I piani di lettura si intersecano sapientemente durante il tentativo di fermare Mr. Sunshine e se è facile scorgere la critica contro l’accaparramento dei terreni agricoli, delle monoculture o, ancora, dell’impoverimento idrico, nelle linee di dialogo passano anche aspri attacchi contro il mondo del lavoro totalmente disinteressato dei ritmi dell’uomo, critiche contro la sottosalarizzazione dell’operaio medio e l’insensatezza che accompagna certe mansioni, retribuite in visibilità e “intanto ti fai un’esperienza”.

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Chi o cosa è Pikuniku?

Pikuniku è soggetto davvero unico, perché a parlare di certe questione sono una sequela di personaggi colorati e che sinceramente faccio anche fatica a descrivere, nati dalla mente e dalla mano Arnaud De Bock. Il game designer e artista ha dato vita ad un tripudio di fantasie lineari e stilizzate, capaci di unire geometrie tanto semplici con toni accesi e caldi, dove si muovono e vivono tutti i compagni di avventura del perfetto anti-eroe. Su tutti ovviamente vince un verme informe diventato fluorescente per aver bevuto litri di acqua radioattiva e che ora si è trasformato in un ammasso gelatinoso.

L’atmosfera viene inoltre sostenuta da due preziosi pilastri: il primo è rappresentato da una colonna sonora particolarmente azzeccata, dalle note allegre e scanzonate, che però si fa più incalzante durante le poche fasi d’azione, per poi riprendere il suo placido corso quando il protagonista torna a rotolare e saltare tranquillamente giù per una lieve duna. Il secondo è una fisica volutamente fuori dalla realtà, che è stata sfruttata per dar vita ai puzzle e alle sezioni platform, ma a cui è stata data un’impronta volutamente comica, con la povera palla rossa che viene sballonzolata a destra e a sinistra, tra cadute nel vuoto e salti chilometrici giù dalle nuvole.

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Questa esagerazione complica ogni tanto la vita quando occorre posizionare un oggetto esattamente in un punto e si inizia una strenua lotta con i comandi ad esempio per calibrare la giusta forza di un calcio, con la cassa, il sasso o qualsiasi altro elemento di gioco che viene scagliato per i quattro angoli dello schermo. Fortunatamente sono inconvenienti da poco, perché i rompicapo proposti sono tutti piuttosto semplici e vengono risolti in una manciata di minuti, ad esclusione di alcuni “dungeon” nascosti in cui occorre fare più attenzione e far lavorare con più sforzo le meningi. Da un lato questa immediatezza evita di trovarsi bloccati in stanze senza sapere che fare, ma dall’altra parte un livello leggermente più alto di sfida non avrebbe guastato e questo vale per tutte le altre sfaccettature del gioco.

Pikuniku non è solo un puzzle game, ma la sua natura muta di continuo: alle volte ci si trova immersi in una sfida di ballo in discoteca e allora diventa un rhythm game, per poi trasformarsi in un platform puro e tutto d’un tratto ecco che l’azione prende il sopravvento durante le boss fight contro i robot della Sunshine Inc. Ovviamente ci sono inside joke – in fin dei conti il titolo è pubblicato da Devolver Digital – viene esplorato il passato dei videogiochi e le curiosità di vedere quale altra trovata mi aspettava nella prossima schermata è stato uno dei principali motori nell’andare avanti.

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Ma ecco che sul più bello tutto finisce. Purtroppo quello che si respira nelle tre, al massimo quattro, ore necessarie per portare a termine la storia è un forte senso di incompiutezza. Alle volte si ha infatti l’impressione che molte delle meccaniche di gioco siano state inserite solo per un eccesso di fantasia creativa, ma poi siano state lasciate lì senza sapere bene come sfruttarle, tocchi estemporanei utilizzati una volta e poi più approfonditi. Il basekick è uno sport divertente, ma non poteva essere integrato in modo più organico nell’avventura? Una volta arrivato ai titoli di coda ho come avuto l’impressione di aver saltato intere porzioni del mondo, perché il finale arriva in fretta e in modo quasi inaspettato ma la lista dei trofei confermava un’esplorazione pressoché completa di ogni sezione di gioco. Oltre al singleplayer sono presenti circa una decina di sfide da giocare in co-op, ma anche questi livelli slegati dal flusso della storia presentano un po’ le medesime criticità, non propongono una vera competizione e portano via al massimo qualche piacevole minuto.

Pikuniku Recensione

+ Colorato e spensierato...

+ ... Ma per nulla ingenuo

+ Mai uguale a sé stesso

+ Un improbabile cast impossibile da non amare

- Decisamente troppo breve

- Qualche difficoltà coi comandi

- Tante brillanti idee che potevano esser sfruttante meglio

8.0

Pikuniku è un titolo divertente sotto ogni punto di vista, da giocare, da ascoltare, da vedere e da leggere attraverso dialoghi capaci di strappare non poche risate. Pikuniku è un titolo intelligente, che maschera sotto un velo di no sense materie ben più serie ed attuali, tutte quante trattate in modo estremamente brillante e mai troppo serio. Pikuniku è titolo popolato dalle più strambe creature, perfette compagne di viaggio in un’avventura colorata e dalle molteplici sfaccettature, un mix di più generi che si mescolano alla perfezione durante le ore di gioco. Pikuniku, però, finisce proprio sul più bello e lascia quella sensazione di volerne ancora un po’, di aver appena assaggiato qualcosa di veramente delizioso, ma che svanisce proprio sul più bello.

Voto Recensione di Pikuniku Recensione | Un'allegra distopia - Recensione


8

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Colorato e spensierato...

  • ... Ma per nulla ingenuo

  • Mai uguale a sé stesso

  • Un improbabile cast impossibile da non amare

Contro

  • Decisamente troppo breve

  • Qualche difficoltà coi comandi

  • Tante brillanti idee che potevano esser sfruttante meglio

Commento

Pikuniku è un titolo divertente sotto ogni punto di vista, da giocare, da ascoltare, da vedere e da leggere attraverso dialoghi capaci di strappare non poche risate. Pikuniku è un titolo intelligente, che maschera sotto un velo di no sense materie ben più serie ed attuali, tutte quante trattate in modo estremamente brillante e mai troppo serio. Pikuniku è titolo popolato dalle più strambe creature, perfette compagne di viaggio in un’avventura colorata e dalle molteplici sfaccettature, un mix di più generi che si mescolano alla perfezione durante le ore di gioco. Pikuniku, però, finisce proprio sul più bello e lascia quella sensazione di volerne ancora un po’, di aver appena assaggiato qualcosa di veramente delizioso, ma che svanisce proprio sul più bello.