Il Signore degli Anelli – La Giungla dei Tie-in #3

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Bentornati nella Giungla dei Tie-In, gli speciali estivi per scoprire (e riscoprire) le trasposizioni videoludiche di proprietà intellettuali dal vero o presunto successo. Se nell’esordio abbiamo parlato di uno dei “grandi vecchi” di questo genere, ancora ricordato con affetto da chiunque sia passato per la prima PlayStation, nella seconda puntata ci siamo dedicati al maghetto inglese più famoso del mondo, resosi indirettamente protagonista di una vera e propria invasione videoludica a inizio anni Duemila. Titoli che, pur nella loro abbondanza numerica, parevano confermare lo stereotipo che i tie-in sono prodotti che puntano solo al nome di richiamo e non alla qualità vera e propria, e questo nonostante ogni tanto vengano fuori delle buone idee. La parte di “giungla” che ci troviamo ad attraversare oggi ci costringe a rimanere in Inghilterra, per andare a esplorare la grande saga che è stata maestra e ispiratrice di praticamente tutto il fantasy moderno: Il Signore degli Anelli. Con la licenza per lo sfruttamento passata alla Warner a inizio anni Duemiladieci, in questa puntata ripercorreremo le radici videoludiche “moderne”, quando Peter Jackson iniziò la sua grande impresa e Electronic Arts capì che sarebbe riuscita.
C’erano Tom Bombadil, Baccador e i Sackville-Baggins, e non erano fatti di mattoncini
In realtà, EA si accorge piuttosto in ritardo del potenziale della licenza de Il Signore degli Anelli. Più o meno all’epoca dell’annuncio del primo film di Jackson Sierra On-line deteneva i diritti per la trasposizione in videogioco dell’opera letteraria di Tolkien. Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell’Anello arriva quindi sul mercato a inizio 2002, letteralmente pochi mesi dopo l’uscita nelle sale del film di Jackson. Mentre la EA finalmente si accorge del successo del primo film e si affretta a comprare dalla New Line Cinema i diritti per il tie-in, La Compagnia dell’Anello di Sierra e Vivendi cavalca anche a livello di marketing il principio di fedeltà all’immaginarium originale di Tolkien: personaggi, ambientazioni e ordine degli eventi sono quelli descritti nei libri e addirittura il logo della Tolkien Enterprises (oggi Middle-Earth Enterprises) viene stampato in bella mostra sulle confezioni. Per quanto approfondito il gioco è anche piuttosto rigido e graficamente spoglio, gravato da una trama che ovviamente non può che finire in sospeso, con lo scioglimento della Compagnia ad Amon Hen dopo una battaglia contro uno dei Nazgûl. Il gioco scorre senza particolari intoppi ma alle volte è poco chiaro in ciò che vuole al giocatore, tutti difetti che gli fanno ricevere recensioni dai giudizi decisamente bassi, alla fine classificabili come risicate sufficienze. A livello commerciale le cose vanno leggermente meglio, e il gioco raggiunge il traguardo del milione di copie. Nei fatti era il primo videogioco “serio” ambientato nella Terra di Mezzo da vent’anni a quella parte, e dimostrò che il mercato aveva fame di questa tipologia di titoli e di fantasy più in generale. Ma sarebbero bastati solo pochi mesi perché questo oceano cominciasse a vedere onde decisamente più serie da cavalcare.
Il racconto a Eowyn
Se la trasposizione di Sierra e Vivendi non riuscì a ottenere veri consensi, EA aveva già cominciato a lavorare al suo debutto nella Terra di Mezzo. Con La Compagnia dell’Anello ormai nelle sale, EA poté solo concentrarsi sul sequel Le Due Torri. Le ambizioni erano alte per tutti, non solo per il regista neozelandese: EA riuscì a intrufolare il suo gioco nell’edizione DVD della Compagnia, piazzando tra i contenuti speciali un filmato a metà tra il trailer e il making of. La pubblicazione arrivò a ottobre del 2002, appena due mesi prima del secondo film. EA spinse così tanto che riuscì a ottenere dalla New Line anche degli spezzoni inediti del film in uscita, poi inclusi nelle edizioni estese. Per compensare l’assenza rispetto all’anno prima il gioco di EA riadattava sia il primo che il secondo film. Dopo un prologo in cui si controllava Isildur, si sarebbe poi dovuto scegliere tra Aragorn, Legolas o Gimli per prevalere contro orde di nemici in livelli lineari. Un sistema accessibile, carnale e soddisfacente, ma che non faceva nulla per mascherare una narrazione frettolosa. Ciononostante il gioco copriva gli eventi de La Compagnia dell’Anello con una trovata intelligente: raggiunto il Fosso di Helm dopo esser sopravvissuto all’attacco dei Mannari, Aragorn raccontava il suo viaggio a Eowyn nel pomeriggio prima della battaglia. Tutto questo faceva da cornice a un videogioco d’azione pura ad alto impatto visivo. La transizione dallo spezzone del film al filmato in computer grafica era un’idea notevole per l’epoca, così come la ricostruzione scenica di luoghi, eventi e battaglie. Alcuni livelli a riguardo riproponevano eventi solo accennati nel film, come aiutare gli innocenti a fuggire da Edoras o l’inutile resistenza all’Ovestfalda (con nemici degli inediti Uruk-hai kamikaze). In sé, il gioco si reggeva su un sistema a punti esperienza, dove la bravura nel prevalere sugli avversari avrebbe assegnato una valutazione (Medio, Buono, Ottimo, Superbo) che avrebbe fatto salire di livello e consentito di acquisire nuove mosse. Come ulteriore parte dell’accordo, EA poté usufruire degli stunt autentici del film, che si prestarono al motion capture per il gioco. Ugualmente numerosi poi erano gli NPC unici che avrebbero affiancato l’azione, ricoperti da praticamente tutto il cast originale (trovata per somma parte ripresa anche coi doppiatori dell’edizione italiana). Curiosamente, degli Hobbit solo Frodo era presente.
Gli sforzi di EA furono quindi ampiamente ricompensati. Il videogioco non ottenne certamente la dicitura di capolavoro ma ricevette il plauso della critica, meritando l’edizione platinum e guadagnando oltre sessanta milioni di dollari nei soli Stati Uniti. Tutto questo contribuì a far passare inosservati alcuni difetti evidenti come una limitatezza intrinseca dei livelli, una bassa durata complessiva, una trama inconclusa (con tanto di cartello prima dei crediti finali che titolava “Il Signore degli Anelli – Il Ritorno del Re disponibile nel 2003”) e una carenza di segreti ed extra oltre ai soliti dietro le quinte.
Lo Stregone, l’Hobbit e il Re
A fronte dei grandi risultati ottenuti e con la licenza cinematografica saldamente in mano, EA punta ancora più in alto e affida lo sviluppo allo studio di Redwood Shores, che poi avrebbero cambiato nome in Visceral Games. Il Signore degli Anelli – Il Ritorno del Re viene pubblicato a novembre 2003 per PlayStation 2, Xbox, PC e GameCube. Ripartendo dalle basi del picchiaduro a scorrimento il gioco propone una trama assai più compiuta e convincente, rievocando in maniera assai più fedele la storia del film originale. Il tentativo più evidente stavolta è il non far apparire la spettacolarità come semplicemente fine a se stessa, ma come il mezzo per cercare (nei limiti delle console di sesta generazione) la dimensione tanto epica quanto umana del conflitto. Ciò avviene suddividendo i livelli di gioco in tre rami, da scegliere in una suggestiva schermata che li vede incisi in un grande bassorilievo a Minas Tirith. Sono la Via dello Stregone (Gandalf), la Via del Re (Aragorn, Legolas e Gimli) e la Via dell’Hobbit (Sam). Completare i livelli di ciascuna delle tre branche narrative non solo sblocca il successivo ma nelle fasi avanzate serve per accedere ai culmini della storia, con l’ultima resistenza al Cancello Nero e la lotta alla Voragine del Fato (quest’ultima da giocarsi esclusivamente con Frodo). Oltre alle solite interviste e dietro le quinte, la storia è narrata attraverso spezzoni del film e piccoli filmati in CG, con la voce narrante di Gandalf a legare il tutto. A livello di gameplay invece si prova appunto a esplorare i limiti del videogioco d’azione pura, tentando brevi incursioni nell’assistere alleati e salvare innocenti (Gandalf) o qualche azione stealth (negli stage con gli Hobbit). Ritornò anche il sistema di livelli, punti esperienza e mosse acquistabili alla fine di ogni stage. In un tentativo di allungare la longevità, come post-game si poteva giocare qualunque livello con qualunque personaggio, e se ne sarebbero sbloccati tre segreti: Merry, Pipino e un inaspettato Faramir (basato sulle movenze di Aragorn). Per quanto meno d’impatto rispetto al gioco di un anno prima, Il Ritorno del Re è forse considerabile il tie-in più riuscito dell’epoca EA, per quanto la durata non fosse ancora il suo forte e il finale fosse affrettato, rappresentato com’era dal solo congedo di Gandalf: “Per tutti coloro che vivono qui, io lancio una magia di fiducia e amicizia. Una magia che sopravvivrà dopo di me. Il mio compito è concluso. Ora ha inizio il compito di altri”. Parole se vogliamo più profetiche di quanto gli autori stessi non immaginassero.
L’inizio della Quarta Era
Una volta conclusa la saga principale la EA ha continuato a utilizzare il brand per tie-in più o meno riusciti. In tal senso rimise immediatamente al lavoro Redwood, che nel 2004 fa uscire Il Signore degli Anelli: La Terza Era. Il gioco raccontava una storia parallela ai viaggi della Compagnia e alla Guerra dell’Anello, mettendo il giocatore al comando di personaggi originali (Berethor di Gondor, l’elfa Idrial, Hadhod il nano e il ramingo Elegost), da muovere in un vero e proprio gioco di ruolo. Menu, potenziamenti e combattimenti casuali erano inediti, per quanto di fondo non originali per la loro ispirazione (ai limiti della scopiazzatura) a Final Fantasy X, uscito pochi anni prima. Fattori che appunto non giovarono: il gioco ripiombò nel solito consenso “discreto o poco più” dei tie-in, anche per via della facilità del tutto e la voce narrante di Gandalf ancora più invadente durante le cutscene. Tanto che il gioco nella sua versione GameCube non venne neanche tradotto in italiano.
Oltre all’action trovò spazio anche il genere strategico, con il fortunato La Battaglia per la Terra di Mezzo del 2004. Questo RTS puro (cioè orientato esclusivamente all’azione militare) ebbe un successo tale che due anni dopo venne prodotto anche un sequel (banalmente, La Battaglia per la Terra di Mezzo II) che espandeva alcuni eventi al nord della Terra di Mezzo originariamente solo accennati nella Appendici del libro originale.
Il periodo della licenza EA si sarebbe concluso nel 2009 con il deludente Il Signore degli Anelli: La Conquista. Dopo, i diritti sarebbero stati acquisiti da Warner Bros, che dopo un blando titolo d’esordio (Il Signore degli Anelli: L’Avventura di Aragorn del 2010) era pronta per trovare la sua personale via attraverso l’epica di Tolkien. Ma questa è un’altra storia.

In questo terzo speciale de La Giungla dei Tie-In abbiamo ripercorso il momento migliore delle trasposizioni videoludiche dedicate a Il Signore degli Anelli. Dopo un esordio non propriamente entusiastico di Vivendi è intervenuta EA in virtù dei suoi diritti sulle pellicole. E per quanto le loro trasposizioni action fossero poco approfondite a livello di trama e spiegazioni di background, la loro intrinseca spettacolarità è stata il grimaldello che ha diffuso la saga al grande pubblico videoludico. Ma nonostante anche in questo caso non siano mancati gli esemplari scadenti, possiamo dire che se c’è una serie di tie-in che ha avuto fortuna è stata proprio quella sull’Unico Anello. Una fortuna che è continuata anche dopo con la Warner. Perché, ancora dopo settant’anni, il legendarium letterario di Tolkien è ancora adesso è in grado di muovere il grande pubblico e risorse (non solo finanziarie) a cui altri franchise non possono ambire neanche nelle loro fantasie più sfrenate. Rimanete con noi per la prossima puntata, per spostarci verso un tie-in “precolombiano”!