Immagine di Death Stranding: Director's Cut | Recensione - Mi hanno detto che ti chiami Sam Porter
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Death Stranding: Director's Cut | Recensione - Mi hanno detto che ti chiami Sam Porter

Una nuova occasione per scendere dal treno dell’individualità

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Informazioni sul prodotto

Immagine di Death Stranding
Death Stranding
  • Sviluppatore: Kojima Productions
  • Produttore: Sony Interactive Entertainment
  • Distributore: Sony Interactive Entertainment, 505 Games (PC)
  • Piattaforme: PC , PS4 , PS5
  • Generi: Azione , Avventura
  • Data di uscita: 8 novembre 2019 (PS4) - 14 luglio 2020 (PC) - 24 settembre 2021 (Director's Cut)

«L’estinzione non è soltanto la fine: è anche un’opportunità». È sicuramente una delle frasi che sono rimaste dentro ai giocatori di Death Stranding nel 2019, quando si sono misurati con il primo videogioco della nuova Kojima Productions.

«Prima di ogni grande estinzione, la vita si è ribellata: è evoluta per sopravvivere» proseguiva il gioco, parlando a un mondo che non sapeva niente di distanziamenti sociali, di persone che non possono più toccarsi, di spostamenti vietati tra città diverse perché pericolosi. Un mondo che conosceva la solitudine più che altro per scelta e che nel giro di qualche mese è precipitato in un vortice di nuove abitudini divise tra chi pensava in fondo in fondo si stesse proprio meglio, da soli, e chi di punto in bianco scopriva il valore imprescindibile degli altri.

Voleva unire le persone, Death Stranding. Hideo Kojima raccontò nel dietro le quinte del gioco di essere una persona solitaria, nella sua vita privata, e di rivedersi in un certo senso nell’isolamento che Sam Porter Bridges si auto-imponeva, in contraddizione con se stesso: faccio consegne collegando le persone di un mondo diviso, ma non voglio avere niente a che fare con nessuna di loro.

Finì con il dividerle, suo malgrado, alla luce di un sistema di gioco forte di una personalità tutta sua e che non faceva sconti: Death Stranding voleva essere un’opera in cui l’esperienza è fondata sul viaggio e non sulla destinazione, in cui la traversata non è un collante tra una quest e l’altra, ma è il gioco.

Era un’anima da indie, con tutte le sue eccezionali stranezze, che si presentava con il vestito impeccabile dei tripla A, al cui pubblico guardava senza però scendere a compromessi per conquistarne la più grande fetta possibile.

In Death Stranding l’azione è circoscritta a momenti precisi ed è evitabile. Si spara il minimo indispensabile e, se uccidete, il gioco ve ne fa pentire amaramente. Si fanno consegne, questo sì. Ci si arrampica, ci si cala di qua e di là. Si scala, si cammina, si guida e soprattutto ci si aiuta l’un l’altro.

Un approccio che non era abbastanza per tutti, soprattutto per la stragrande maggioranza dei giocatori che da un videogame cercano principalmente la competizione, il brivido del prevalere. Era a loro che Death Stranding: Director’s Cut sembrava rivolgersi, quando in fase promozionale sdoganava missioni al poligono che sembravano le VR di Metal Gear, quando presentava nuove consegne di infiltrazione, sfide con classifiche online, quando sdoganava nuovi equipaggiamenti volti a rendere più facile la traversata.

Ma, per fortuna, mentiva. Mentiva, perché Death Stranding: Director’s Cut su PS5 è e rimane la stessa totalizzante esperienza fuori dagli schemi fondata sul viaggio e sull’aiutarsi a vicenda – mai sul distruggersi o sull’annullare gli sforzi di qualcun altro. E, più di ogni altra cosa, è e rimane un videogioco che se ne frega di chi vorrebbe il medium essere votato unicamente all’immediatezza della sua fruizione. Al cinema esistono sia i Dogville che gli Avengers Endgame – sono cinema entrambi, sono estremamente diversi tra loro, ed entrambi hanno diritto di esistere.

Una pandemia dopo, allora, abbiamo indossato di nuovo lo zainetto di Samuel Porter Bridges e siamo partiti alla volta di un’America in cui nessuno trova più l’America: vi raccontiamo, senza spoiler, il nostro viaggio in Death Stranding: Director’s Cut.

Che cosa faremo in questa recensione (e perché non c'è il voto)

Trattandosi di una ri-recensione, non ripercorreremo in questo articolo tutte le caratteristiche, ormai ben note, dell’esperienza di gioco che dovemmo spiegare nel 2019, dato che prima di allora il gameplay era stato mostrato solo al Tokyo Game Show e solo in giapponese.

Per questo, vi rimandiamo alla recensione originale, da cui questa eredita idealmente il voto (non lo vedete in calce all'articolo perché un videogioco è ben più della somma delle sue parti e non si può avere un nuovo voto a monopolizzare e spesso inquinare il dibattito a ogni re-release, ma la valutazione di chi vi scrive è la stessa e anzi poteva essere lievemente più alta), se non sapete nulla di Death Stranding e di cosa tentasse di fare.

Qui vediamo, invece, quelle che sono state le novità che Sony Interactive Entertainment e Kojima Productions hanno cercato di introdurre nella Director’s Cut su PS5.

Le nuove armi e i nuovi equipaggiamenti

Per affrontare la nostra recensione, abbiamo deciso di rigiocare completamente il gioco, senza importare il salvataggio da PS4 (cosa che potete decidere di fare comodamente dal menù iniziale). Questo ci ha permesso di notare subito due aggiunte, che vengono sbloccate già nel Capitolo 2: una nuova arma e un nuovo esoscheletro di supporto bilanciato che rende più facile camminare, caricare pesi e tenere l’equilibrio.

Nel primo caso, parliamo del fucile Maser, che vi permette di tramortire nemici come MULI e terroristi con delle scariche elettriche. Per riuscirci, però, dovrete colpirli per bene alla testa, così da non sprecare munizioni: una meccanica che farà felici gli amanti dello shooting, che non dovranno aspettare lo sblocco del fucile d’assalto (molto più avanti nel gioco) per darsi ai tiri di precisione.

Considerando che il Maser richiede una mira abbastanza precisa, la sua presenza così presto non snatura troppo il gioco e, anzi, scegliere di usare il Maser è un po’ più audace che passare per la vecchia Spara-Bolas, con cui vi bastava centrare il nemico in qualsiasi punto per mandarlo al tappeto, legato come un salame.

È con l’ottenimento del fucile Maser nel capitolo 2, a pochissime ore dall’inizio del gioco, che si ottiene anche l’accesso al poligono di tiro, di cui parleremo nel paragrafo dedicato.

Il nuovo esoscheletro, invece, è un equipaggiamento che userete solo all’inizio del gioco, perché procedendo vi troverete molto meglio con quello votato alla velocità, con quello che aumenta il peso o con il multiterreno che è indispensabile in montagna. In sintesi, insomma, è una piccolissima facilitazione per l’inizio del gioco che però non mina il doversi ingegnare per le traversate, e di cui vi dimenticherete ben presto perché vi aiuta un po’ in tutto, ma non eccelle in niente.

Una novità che ha attirato tanto l’attenzione in sede di annuncio è sicuramente l'assistente robot. Se già il gioco permetteva di inviare robot autonomi a fare delle consegne, di cui non sapevamo più nulla fino a missione conclusa, questa volta arrivati al Centro Logistico a Sud di Lake Knot City potrete completare delle missioni aggiuntive che vi permettono di creare un nuovo tipo di robot.

Quest’ultimo vi affianca come un vero companion, un po’ come le spalle in Metal Gear Solid V, ma potete averne solo uno attivo per mappa. Questo significa che è necessario distruggere un robot prima di crearne un altro e che, in sintesi, non potete abusarne. Inoltre, si può usare solo sotto la rete chirale, quindi scordatevi di contare sul robot prima di collegare il centro logistico o il prepper che controlla una data area.

Parliamo di abusarne perché potreste caricare i pacchi direttamente sul vostro amico robot che vi insegue, rendendo più agevoli le camminate al vostro Sam scarico di pesi, e potreste anche ordinargli di raggiungere autonomamente il centro Bridges più vicino. Tra le altre cose, se siete stanchi potete anche salire sulle sue spalle e dirgli di procedere nel cammino indicato, ma se lo farete taglierete la valutazione della vostra consegna a un tetto massimo di A.

Anche nel caso del robot companion, lo abbiamo utilizzato più che altro per curiosità e lo abbiamo lasciato nell’hangar, accessibile dal centro logistico dove lo depositate, per il resto delle ore, preferendogli il buon vecchio hovercarro.

L’altra novità agli equipaggiamenti, al di là di nuove evoluzioni per batterie più potenti da far portare a Sam, era quella del famoso jet-pack visto nel video gameplay. Possiamo confermarvi di aver completato l’intera campagna senza mai sbloccarlo, perché intelligentemente Kojima Productions non lo ha inserito nelle ricompense legate alla storia.

Il jet-pack è infatti, in sostanza, uno stabilizzatore di livello 3 applicabile al vostro zaino che, se utilizzato, occupa tutti gli slot: questo significa che se deciderete di usarlo non potrete più equipaggiare borse per le munizioni, borse per le granate o batterie aggiuntive. E per sbloccarlo dovrete massimizzare il rapporto con Mountain Knot City facendo una valanga di missioni secondarie – e se ricordate dove è piazzata Mountain Knot City, capirete già che no, non potrete bypassare le parti in montagna del gioco grazie al jet-pack, ma dovrete fare l’opposto: affrontarne tante, e con una certa intraprendenza, per ottenere questo potenziamento.

Una volta ottenuta, la ricompensa sicuramente si farà usare (ci fa un po' pensare all'anima della mimetica ottica in Metal Gear Solid), ma le rinunce che comporta sono probabilmente troppo marcate per convincervi a renderlo l’equipaggiamento standard del vostro zainetto. Molto più plausibile che magari installiate il jet-pack prima di andare a far visita per la millesima volta al Primo Prepper o alla Spiritualista mentre provate a platinare il gioco, e che poi lo rimuoviate in tutte le altre occasioni.

Le nuove strutture da costruire

Tra le novità introdotte da Death Stranding: Director’s Cut ci siamo misurati anche con nuove strutture, che vengono introdotte nel CCP di livello 2 via via che procedete con la storia. La prima, la catapulta, venne scartata per qualche motivo nel gioco originario (lo testimonia l’artbook) e può essere usata in modo strategico dai giocatori più ingegnosi.

Vi permette, anche se consumando un bel po’ della vostra rete chirale per la sua costruzione, di creare una catapulta che spara una capsula dove inserire i vostri pacchi. Una volta sparati, controllerete la capsula e deciderete quando aprire il paracadute per farla atterrare, similmente a come funzionava l’atterraggio delle risorse aeree in Metal Gear Solid V.

Si tratta di un equipaggiamento che può essere utile soprattutto se dovete scendere da un pendio e non volete farlo rimanendo carichi, o se dovete attraversare un campo di MULI e volete mettere i vostri pacchi in salvo oltre i suoi confini.

La catapulta viene sbloccata nel corso del Capitolo 5, quindi non ci vuole tantissimo a ottenerla, anche se dovrete aver già collegato praticamente tutti gli hub principali della mappa di gioco.

Altra struttura introdotta nel CCP è il ponte chirale: anche qui, si tratta di un’alternativa più che altro strategica. Costruire questi brevi ponti sospesi fatti di materia chirale consuma pochissima larghezza di banda ed è rapidissimo rispetto ai ponti tradizionali, ma sono strutture che non si possono più attraversare se piove o ci sono le CA. Di contro, nessuno se non corrieri della Bridges può utilizzarle, compresi i MULI che quindi non potranno seguirvi.

All’atto pratico, probabilmente i ponti chirali sono tra le novità più utili in cui siamo incappati: la possibilità di saltare alcuni crepacci nei pressi del Rigattiere, ad esempio, non mina l’esperienza di gioco ma evita momenti di frustrazione in cui magari vi capitava di rovinare di sotto nel tentativo di compiere un salto.

L’ultima novità introdotta nel CCP è invece la rampa di salto, che è essenzialmente inutile tanto quanto sembra. Si tratta di una rampa in cui potete salire in moto, auto o piedi, che vi slancerà in una direzione permettendovi magari di saltare un fiume o un dislivello facendo anche delle piroette nel frattempo.

Se è vero che possono essere utili soprattutto per non guadare acque profonde, lo è anche che spesso non capirete bene la misura dei vostri salti e la cosa finirà molto molto male. Oltretutto, abbiamo notato che nel mondo istanziato con i nostri colleghi in moltissimi non sono effettivamente riusciti a capirne l’utilità e le hanno piazzate un po’ qua e là giusto per sperimentare — cosa che non succede con le altre strutture.

Un primo impatto meno ripido

Un’altra novità introdotta da Director’s Cut è un sistema di suggerimenti nell’interfaccia. Vista la sua ricchezza, molti ne rimanevano confusi, motivo per cui questa volta gli sviluppatori hanno aggiunto tanti piccoli suggerimenti che guidano più facilmente alla lettura delle diverse schermate.

Si tratta sicuramente di informazioni utili che vi terranno per mano nelle fasi iniziali, ma che per ovvi motivi risultano pleonastiche e verbose per chiunque abbia già dimestichezza con il gioco.

Il circuito di Fragile e i nuovi veicoli

Un’altra novità accessoria introdotta in Death Stranding: Director’s Cut è il circuito di Fragile. Sbloccabile a partire dal Capitolo 3 consegnando i materiali richiesti al terminale apposito, si tratta di un circuito dove potete davvero sfrecciare per competere con i tempi degli altri giocatori o con i vostri, sedendo su diversi veicoli e con differenti varianti della pista.

Se il modello di guida rimane quello leggero e a momenti involontariamente comico dell’originale Death Stranding, la corsa nel circuito può sicuramente essere un momento di pausa e poco altro di più, un po’ come quando vi buttavate sullo skateboard di Metal Gear Solid 2: Substance.

Riuscire ad abbattere determinati tempi vi permetterà anche di sbloccare un nuovo veicolo, la Roadster (anche questo pensato e poi scartato dal gioco originale, sempre come svelato dall’artbook), che è una macchina sportiva utilissima per percorrere più velocemente le strade asfaltate, e che benedirete quando partirete per la prossima consegna da Lake Knot City a South Knot City.

A tu per tu con il poligono

Il poligono di tiro fa esattamente quello che immaginate: sbloccate le vostre prime armi, i centri logistici nei loro terminali vi permetteranno di accedere a un ambiente virtuale dove testarle in alcune missioni aggiuntive del tutto facoltative.

Si tratta, pari pari, degli addestramenti VR di Metal Gear e per le diverse armi sono stati messi in piedi percorsi differenti popolati da bersagli o nemici senzienti, da abbattere o eludere. Il vostro tempo viene registrato e confrontato con quelli degli altri giocatori, con delle vere e proprie leaderboard che permettono di ottenere medaglie da sfoggiare nel proprio profilo.

Non si tratta di niente più che questo: una ulteriore alternativa che è possibile vivere come momento di stacco dalla campagna o dalle consegne, magari perfezionandosi nell’uso delle armi e sfidando gli amici cronometro e mirino alla mano.

Le nuove missioni furtive

Infine, veniamo alle nuove missioni che volevano approfondire alcuni elementi della storia e che sono accessibili sorprendentemente da prestissimo. Collegato il Parco Eolico nella prima mappa, infatti, al vostro ritorno al Centro Logistico a Ovest di Capital Knot City vi attenderà la prima quest, volta a portarvi in uno scenario inedito popolato da nemici.

Lo scenario in sé è suggestivo ma molto limitato e anche il numero di missioni, che si sbloccano via via e che non vi spoilereremo, è particolarmente basso. Ciò nonostante, queste missioni che strizzano volutamente l’occhio a Metal Gear e sfruttano anche il backtracking, chiedendovi di tanto in tanto di rifare la stessa cosa, vi permetteranno di scoprire piccoli dettagli su alcuni protagonisti delle vicende di Death Stranding e il loro passato.

Parliamo più che altro di lore, quindi non pensate che siano state aggiunte nuove porzioni di storia vera e propria: ci sono alcuni momenti riusciti, ma non immaginate in alcun modo che questo minuscolo filone narrativo sommi ore di gioco a Death Stranding, perché non è così.

Il bilanciamento di Director’s Cut: cosa cambia davvero?

Con la sua Director’s Cut, Death Stranding non diventa più facile o qualcosa di diverso da ciò che era – il che, come vi avevamo raccontato, era la nostra grande paura.

Che sia per le catapulte, per il jet-pack che sbloccherete solo sudando settanta camicie anziché sette, per le corse di Fragile o le missioni al poligono, parliamo semplicemente di alternative a un percorso altrimenti più lineare, che non ne compromettono la natura né il piglio.

Chi aveva detestato, due anni fa, attraversare l’America aiutando sconosciuti non inizierà ad amarlo perché può sfidare i tempi degli altri giocatori nel circuito di Fragile o per passare un paio d’ore al poligono, a fronte di una trentina di ore abbondanti (per la sola storia principale) di camminate, scalate e consegne.

Appare comunque chiaro che in sede di promozione il tentativo fosse quello di provare a far piacere di più il gioco a chi ama la competizione, ma è molto difficile all’interno di una produzione fondata sulla collaborazione. L’idea di sfidare i tempi degli altri giocatori quasi stona con l’atmosfera del gioco, ma considerando che parliamo di esperienze completamente separate, come quelle del circuito o del poligono, si tratta di piccoli extra che non vi tireranno fuori dal cerchio magico e per cui passerete di tanto in tanto, mentre riprenderete fiato.

Per gli amanti delle sfide che avevano lamentato la difficoltà davvero bassissima del gioco c’è anche un nuovo livello di difficoltà Molto Difficile: lo abbiamo messo alla prova e l’idea non cambia. Death Stranding non è incentrato sulla sfida, non quella tradizionalmente intesa, e la cosa non si modifica neanche quando subite più danni, quando le CA tirano più forte che mai, quando le vostre scarpe e la vostra batteria si corrodono.

Abbiamo anche notato che i boss subiscono meno danni a questa difficoltà (e ora potete scegliere di rivivere le boss fight in qualsiasi momento dalla vostra stanza privata) e che, in caso veniate catturati dalle CA, è plausibile che spuntino molte CA giganti anziché una o due. Non cambia, però, che potreste semplicemente decidere di uscire dal campo di battaglia per annullare la sfida. Questo perché, alla base di Death Stranding, rimane che non devi combattere se non lo vuoi – a parte in dei rarissimi momenti circoscritti dalla narrazione.

Tutto questo significa, insomma, che Death Stranding: Director’s Cut è il gioco che abbiamo visto su PS4 (e su PC, visti i contenuti su Half-Life e su Cyberpunk 2077, qui inclusi), in tutto e per tutto. Il bilanciamento non viene rovinato dalle aggiunte e le cose che potevano suonare un po’ fuori posto non sono altro che piccoli svaghi completamente trascurabili, se lo si volesse.

L'esperienza su PS5

Death Stranding: Director’s Cut va a nozze con le caratteristiche di PS5. Questo perché grazie al SSD della console i caricamenti sono velocissimi, anche quando magari volete entrare nella vostra stanza privata solo per fare una doccia, e non ci sono più fenomeni di pop-in di alcun tipo durante la guida.

Il gioco permette di scegliere tra una modalità performance che favorisce i 60 fps andando a puntare su un 4K upscalato e una modalità qualità che gira in 4K nativi consentendo di avere qualche compromesso lato frame rate. In entrambi i casi, su un pannello in 4K e 60 Hz il risultato è un piacere per gli occhi e non abbiamo avuto problemi di fluidità.

Ci sono capitati, tuttavia, due isolati crash che ci hanno costretto al riavvio del gioco (in oltre trenta ore), di solito in transizioni dall’esterno ai centri logistici, e speriamo che in caso di bug ancora presenti nel codice questi vengano risolti a breve.

Considerate che, già nelle scorse ore, è stata pubblicata una prima patch per la build del gioco usata per la recensione, quindi come sempre il supporto di Kojima Productions non si farà pregare.

Il gioco gode anche di una modalità ultra-wide che in realtà non cambia l’aspect ratio nativo: semplicemente, riscala l’immagine con bande nere per darle un rapporto di 21:9 mentre è trasmessa in 16:9. Il risultato è spettacolare, anche se superfluo. Il gioco ha così un approccio ancora più cinematografico e i suoi panorami sembrano incredibilmente ricchi e ampi, anche se l’interfaccia si fa ancora più piccola e probabilmente non giochereste davvero l’intera avventura con queste bande nere.

Interessante l’uso di DualSense: il controller di PS5 approfitta dell’utilizzo corposo dei grilletti fatto dal gioco per equilibrare Sam e quelli adattivi vi permettono di sentire il peso nello stringere le mani sulle cinghie dello zaino nel tentativo di non cadere.

Allo stesso modo, bello l’uso dei grilletti per le armi, con R2 che sente il peso del fucile d’assalto, dei lanciagranate, dei lanciarazzi, rendendo gli scontri a loro modo più tattili.

Meno d’impatto l’uso del feedback aptico: purtroppo non è stato sfruttato come in Astro’s Playroom per la pioggia, che qui è una parte fondamentale del gameplay, ma ci sono vibrazioni diverse che cercano di darvi le sensazioni dei diversi terreni. Il risultato è interessante soprattutto nella neve alta o nella ghiaia.

Per il resto, rimangono alcune legnosità nel controllo di Sam, soprattutto quando ci si approccia a scale usate come ponti mentre si trasporta un carico pesante e ci si deve voltare.

Infine, abbiamo testato il gioco anche con le cuffie Pulse 3D ufficiali di Sony: l’audio tridimensionale consente di immergersi in modo ancora più profondo nel mondo di Death Stranding e confrontando la resa con quella di altre cuffie standard abbiamo sentito una netta differenza anche e soprattutto davanti alle CA. Con le Pulse 3D, infatti, era possibile percepire la loro direzione anche senza vederle, semplicemente ascoltando la provenienza del suono.

Nota di merito anche per la colonna sonora di un Ludvig Forssell sempre più straordinario: il giovane compositore, già vincitore della Miglior Colonna Sonora ai The Game Awards 2019, torna in auge con nuovi brani per le sequenze di azione inedite che, semplicemente, vi rapiranno, andando a coronare un lavoro di punteggiatura musicale che era già maiuscolo. Dopo lo splendido lavoro sentito in The Phantom Pain, l’ennesima conferma per un talento dallo stile già inconfondibile.

Se volete tuffarvi a piene mani nel mondo di Death Stranding, che ne dite dell'artbook ufficiale con i capolavori di Yoji Shinkawa e del suo team?

Voto Finale

Conclusioni Finali di SpazioGames

Pro

  • Una straordinaria esperienza di gioco che unisce in modo unico gameplay e narrazione

  • Vi fa sentire bene nel fare qualcosa di buono per gli altri

  • Le aggiunte non snaturano il viaggio

  • Ludvig Forssell sempre più talentuoso alla colonna sonora

  • Tecnicamente ineccepibile

Contro

  • Se il loop del gameplay non vi ha conquistato la prima volta, non lo farà neanche ora

  • Rimane una legnosità a volte non voluta nei movimenti di Sam

Commento

Death Stranding: Director’s Cut mantiene intatto tutto quello che Death Stranding vuole e deve essere: un videogioco che porta con sé una commistione di interazione e narrazione che pretende la vostra dedizione, un salto della fede in quello che il giocare rappresenta – lo sforzo volontario di superare ostacoli non necessari. Le aggiunte alla formula rappresentano dei puri momenti di svago rispetto al loop del gameplay e non ne snaturano l’anima, permettendo anzi ai giocatori di trovare ancora di più la loro forma espressiva tra i tanti gadget messi loro a disposizione. Un passo dopo l’altro, anche su PS5, il viaggio di Sam Porter Bridges vi assorbirà e non vi lascerà più andare via fino ai titoli di coda. Lo farà facendovi sentire bene semplicemente nell’aiutare il prossimo senza volere niente in cambio, e lo farà rispedendovi poi nel mondo reale dopo esservi resi conto che ritrovarsi costretti a non vederci o non abbracciarci non ci ha reso certo meno umani.
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