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Recensione

C'era una volta a... Hollywood, la recensione del nuovo film di Tarantino

Abbiamo visto il nuovo film di Quentin Tarantino, un omaggio a un cinema d'altri tempi. Leggi la recensione!

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Avatar di Marcello Paolillo

a cura di Marcello Paolillo

Editor-In-Chief

Pubblicato il 15/09/2019 alle 12:08
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  • Pro
    • La resa della Hollywood di fine anni '60 è strepitosa.
    • DiCaprio, Pitt e Robbie impeccabili.
    • Il finale è al cardiopalma...
  • Contro
    • ... nonostante il resto sia ben poco 'tarantiniano'.

Il Verdetto di SpazioGames

8
Nostalgico, posato, quasi mai eccessivo. C'era una volta a... Hollywood è un 'non film' di Quentin Tarantino, complice il suo essere estremamente delicato nel tratteggiare una storia che è prima di tutto un omaggio al grande cinema, prima ancora che il preludio a una delle più efferate stragi della storia d'America. La storia di Rick Dalton, Cliff Booth e Sharon Tate è infatti una storia che vuole raccontare prima di tutto i volti di un'industria cinematografica ormai persa nel tempo, senza eccessi o volgarità. Un film che è solo 'ottimo cinema' senza essere necessariamente 'tarantiniano' in senso stretto.

C’era una volta a… Hollywood è un film difficilissimo da inquadrare. Specie se si è abituati a un certo cinema tarantiniano. Considerando che il pubblico ancora accosta il regista all’ormai mitologico Pulp Fiction, va detto che Tarantino ha abilmente riscritto quasi interamente la sua intera filmografia film dopo film: lo ha fatto con Bastardi senza Gloria (grazie al quale la Seconda Guerra Mondiale ha guadagnato un epilogo ben diverso da quello che conosciamo), con Django e ancora più prepotentemente con Hateful Eight. Ora, Quentin ha deciso di portarci nella Hollywood del 1969. E lo fa attraverso gli occhi di Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e Cliff Booth (Brad Pitt), rispettivamente attore e stuntman personale dello stesso. Due personaggi diversi ma in realtà legati a doppio filo da un contesto storico che affonda le mani nelle meccaniche dello star system dell’epoca. Senza dimenticare la presenza sullo sfondo di una certa Sharon Tate (Margot Robbie), compagna del regista Roman Polański. Per farla breve, un racconto di vita vissuta che ama fondere la realtà storica con la fantasia sfrontata – ma in questo caso quasi mai eccessiva – tipica di Tarantino.

“Qualcuno qui ha ordinato crauti flambé?”

Dalton è un attore la cui carriera fatica a spiccare il volo, pur essendo amato dal pubblico: preso dall’ansia, si sfoga nel pianto e nell’alcool dopo che il suo agente gli propone di andare in Italia da Sergio Corbucci. Booth è invece un uomo di mondo, prende la vita con leggerezza mentre scarrozza il suo amico e collega, che in cambio lo fa lavorare di tanto in tanto sui set. Nel mentre, la Hollywood che li circonda si prepara a entrare nei gloriosi anni ’70: il che si traduce in festini nella villa di Hugh Hefner, i film di Bruce Lee, hippy ad ogni angolo di strada e, dulcis in fundo, la ‘Famiglia’ di Charles Manson. Sì, proprio il famigerato killer americano noto anche e soprattutto per l’eccidio di Cielo Drive. Se avete capito di cosa stiamo parlando sarà semplicissimo per voi fare due più due, in caso contrario vi sconsigliamo di googlare per non rovinarvi la sorpresa. Quentin Tarantino ha infatti preferito raccontare una ‘storia nella storia’ che mettesse avanti i personaggi prima ancora che gli efferati fatti storici realmente accaduti. E per farlo ha deciso di impostare il tutto come un lungo (due ore e quaranta di durata) omaggio al cinema di fine anni ’60 inizio ’70.

Tarantino si diverte ed esalta nel raccontare (ed omaggiare) il cinema con cui è cresciuto, cercando di trasmettere quella passione cinefila sfrenata che lo ha fatto diventare il regista che tutti conosciamo. Once Upon a Time in… Hollywood è un film in cui tutto il racconto sembra andare in un’unica direzione, con lo spettatore che non deve fare altro che aspettare. Non mancano i dialoghi brillanti, anche se a volte quasi ci si dimentica di stare guardando un film di Tarantino. Tranne che sul finale (no spoiler, tranquilli), in cui il regista prende in mano il vecchio se stesso e ci regala un quarto d’ora davvero infuocato, nel vero senso della parola. Va detto però che, che ad eccezione di alcune parentesi esaltanti, il Quentin Tarantino di C’era una volta a… Hollywood non è lo stesso Quentin Tarantino de Le Iene e Pulp Fiction. È un regista diverso, decisamente attempato, che ha capito che non sono solo la violenza e le parolacce a rendere un buon film davvero indimenticabile. Anche se a molti appassionati del suo cinema questo dettaglio potrebbe non andare giù.

Deludente, quindi? Assolutamente no, se si ha l’intelligenza di inquadrare il film capendo l’ottica con cui il regista desiderava realizzarlo. Perché non si tratta di un lungometraggio ‘tarantiniano’ nel senso stretto del termine, si allontana dagli eccessi e dalla violenza tanto cara al regista di Inglorious Basterds, e adora citare in continuazione il cinema con cui Quentin è diventato il cineasta che tutti abbiamo imparato ad amare. Per essere chiari: avete presente la differenza che intercorre tra la frenesia e la violenza di Kill Bill Vol. 1 e il ben più lento e didascalico Vol. 2? Se la risposta è sì, sapete cosa aspettarvi da C’era una volta a… Hollywood.  Se la risposta è no, vi consigliamo di prendere il film in uscita nelle sale italiane dal 19 settembre come un delizioso e intimo omaggio a un cinema – oltre che a un’intera industria cinematografica – ormai persi nei ricordi dei loro stessi protagonisti.

+ La resa della Hollywood di fine anni '60 è strepitosa.

+ DiCaprio, Pitt e Robbie impeccabili.

+ Il finale è al cardiopalma...

- ... nonostante il resto sia ben poco 'tarantiniano'.

8.0

Nostalgico, posato, quasi mai eccessivo. C’era una volta a… Hollywood è un ‘non film’ di Quentin Tarantino, complice il suo essere estremamente delicato nel tratteggiare una storia che è prima di tutto un omaggio al grande cinema, prima ancora che il preludio a una delle più efferate stragi della storia d’America. La storia di Rick Dalton, Cliff Booth e Sharon Tate è infatti una storia che vuole raccontare prima di tutto i volti di un’industria cinematografica ormai persa nel tempo, senza eccessi o volgarità. Un film che è solo ‘ottimo cinema’ senza essere necessariamente ‘tarantiniano’ in senso stretto.

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