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Shadow of Rome - Matricole e Meteore #1

Shadow of Rome appartiene di diritto alle Meteore. Un videogioco che ebbe la sua buona dose di critiche, ma che si è mantenuto divertente e dalla trama sorprendentemente profonda, densa di riferimenti storici mescolati con la fiction.

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Avatar di Adriano Di Medio

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Pubblicato il 06/12/2018 alle 08:59
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Il Verdetto di SpazioGames

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Shadow of Rome appartiene di diritto alle Meteore. Un videogioco che ebbe la sua buona dose di critiche, ma che si è mantenuto divertente e dalla trama sorprendentemente profonda, densa di riferimenti storici mescolati con la fiction. Ma fu un esperimento semi-riuscito e volendo troppo audace per i tempi. Questo convinse molti a lasciarlo nel dimenticatoio, in cui sprofondò anche a causa di una pessima convergenza storica. Ma appena se ne impara a distinguere la fumettosa narrativa dalla realtà storica il gioco si rivela come una di quelle grezze gemme sottovalutate di PlayStation 2, che cattura con il suo intreccio intrigante e la sua realizzazione dal sapore artigianale. E per i più impressionabili il sangue è comunque disattivabile dalle opzioni.

Benvenuti a Matricole e Meteore, la rubrica dedicata ai successi e agli insuccessi della videoludica “di massa”. In ciascuna puntata tratteremo o di un videogioco nato con poche aspettative ma poi esploso (Matricola) o di opere che hanno dimostrato di avere del potenziale e ricevuto apprezzamenti ma che non sono spesso andate oltre l’esordio (Meteora). Per questa puntata d’esordio vogliamo tornare alla prima metà degli anni Duemila, quando PlayStation 2 si era arrogata con prepotenza la sesta generazione e l’appena nata Xbox cercava di eroderne il predominio. Parliamo di Shadow of Rome, inaspettata sorpresa di Capcom.

A inizio sesta generazione la Capcom stava vivendo un periodo di grande prosperità. L’esordio su PlayStation 2 era avvenuto con il primo Onimusha e con Devil May Cry. Se l’attrattiva per il cacciademoni era quasi scontata, furono le avventure di Samanosuke ad avere un buon successo anche in occidente. Una prestazione sorprendente, e che non smise mai di crescere anche con il secondo episodio (Samurai’s Destiny). Appunto per capitalizzare questo riscontro, il terzo capitolo della saga venne ambientato a cavallo tra il Giappone e Parigi e venne coinvolto Jean Reno come co-protagonista. Dove il quarto capitolo (Dawn of Dreams) non avrebbe bissato i record precedenti, la serie non è mai sbiadita agli occhi di molti ammiratori, tanto che l’esordio riceverà a breve una remaster su attuale generazione. Ma fu proprio l’“apertura” di Onimusha 3: Demon Siege che fece maturare a Capcom il voler tentare un nuovo franchise totalmente indirizzato all’occidente. Col beneplacito di Keiji Inafune e la regia di Motohide Eshiro (già direttore di Onimusha 2) si scelse di utilizzare l’antica Roma, contesto oggi come ieri assai poco utilizzato nel videogioco (strategici a parte). Costruito sul medesimo e affidabile motore grafico di Demon Siege, Shadow of Rome arrivò nei negozi nella primavera del 2005, esclusivamente per PlayStation 2.

Shadow of Rome IMG_1

Vedo che hai studiato

Shadow of Rome è un ibrido: combina sezioni d’azione pura ad altre di infiltrazione, unendole a qualche blando segmento esplorativo. Il collante tra generi reciprocamente così lontani è la trama: Giulio Cesare è stato brutalmente assassinato e la Repubblica Romana è finita nel caos. Toccherà a Ottaviano (futuro Augusto) e al suo grande amico Agrippa indagare sul delitto e scoprirne gli autentici colpevoli. Dell’omicidio è stato infatti accusato ingiustamente Vipsanio, padre dello stesso Agrippa.

Diciamolo immediatamente: la trama di Shadow of Rome è realtà storica solo all’inizio e alla fine. Ciò che c’è in mezzo prende gli elementi storici e li rimescola nella fiction. A partire proprio dalla premessa: storicamente quello di Cesare fu un omicidio “alla luce del sole”. I suoi assassini erano convinti di stare proteggendo la Repubblica e il popolo da un pericoloso despota, ma non considerarono l’ascendente che Cesare aveva maturato proprio verso il popolo, il quale reagì con furia al loro atto. Shadow of Rome sovverte la congiura, ammantandola di mistero tanto nelle dinamiche quanto sui responsabili. E contro ogni aspettativa, funziona a puntino. La narrazione mantiene il giusto grado di “intrigo” per invogliare a proseguire, ma paradossalmente chi si divertirà di più sarà proprio lo studioso.

Shadow of Rome ricostruisce il proprio contesto su innumerevoli richiami alla realtà storica. I personaggi stessi sono (chi più chi meno) tutti realmente esistiti. Se Ottaviano lo conosciamo già, Agrippa è un riferimento a Marco Vipsanio Agrippa, il più fido luogotenente di Augusto, nonché suo amico intimo. Lo storico Tacito parla anche di un certo Agrippa Postumo, che fu fatto assassinare da Livia (madre di Tiberio) per paura che scalzasse dalla successione Tiberio stesso. Allo stesso modo compaiono tutti i cesaricidi più celebri, per quanto rivisitati per adattarli alla storia. Marco Bruto (figlio adottivo di Cesare) è ritratto come un ragazzino che si è fatto trascinare in un intrigo più grande di lui, Cassio invece è un congiurato impaurito dalla “star” Decio. E questi sono solo alcuni dei moltissimi riferimenti alla storia autentica disseminati nel gioco. Praticamente ogni evento e linea di dialogo (anche i più secondari) hanno un aggancio. Basta anche il minimo approfondimento per far diventare questo videogioco un vero parco divertimenti.

La creatività è tutto, specialmente se fumettosa

La metafora del “parco divertimenti” riverbera anche nel gioco diretto. Gli eventi porteranno Agrippa a diventare un gladiatore, per poter partecipare ai giochi funebri in onore di Cesare (e il cui vincitore giustizierà Vipsanio). Ma anche prima di tale circostanza le sezioni in cui lo impersoneremo saranno di combattimento, nella maggior parte dei casi uno contro tutti. Ma Agrippa è dotato di straordinarie abilità belliche, che portano ogni suo scontro a un carnale e sanguinoso impasto. Un sangue che, nel 2005, era innegabilmente impressionante nel suo schizzare e non sparire una volta macchiata l’arena. Tale impatto è stato compreso dagli stessi autori, che hanno modellato i personaggi in maniera esagerata e fumettosa per virare la rappresentazione della violenza verso l’esagerato e il grottesco. Ulteriore colorazione di humour nero proviene dal game design stesso: il sistema Raffica. Citando il manuale di gioco, la Raffica è “un’azione o una serie di azioni che piacciono al pubblico”. Ad ognuna corrisponde un punteggio e un proporzionato aumento del favore degli spettatori, che vi ricompenseranno con armi sempre più potenti per inventarvi Raffiche sempre più cruente. Il nome di tutte quante ironizza (più o meno anacronisticamente) sulla violenza a schermo. Il combattimento comunque impone di essere creativi: non bisogna solo prevalere ma anche intrattenere, variando spesso le tecniche di uccisione.

Per quanto divertente e chiassosa, la gladiatura del gioco è evidentemente anacronistica, basata più sui film che sulla storia autentica. Del resto siamo negli anni in cui l’antica Roma era stata rilanciata al grande pubblico grazie a pellicole come Il Gladiatore di Scott, film verso cui questo gioco è profondamente debitore. Nel cercare di variare le sezioni di combattimento è inoltre presente la corsa con i carri da guerra (chiamati un po’ impropriamente bighe anche se erano a cavallo singolo), in cui si può vincere sia arrivando primi che uccidendo tutti gli avversari. Per quanto nuovamente divertente e adrenalinica, non ci si può ribaltare né decidere quando ingaggiare battaglia con gli altri corridori, e il controllo del mezzo è piuttosto approssimativo.

Non basta il bel faccino per fare dello stealth

La ricchezza e l’intrattenimento della parte action è purtroppo contrastata dalle fasi di infiltrazione. Se Agrippa combatte dall’interno, Ottaviano sta invece indagando in incognito. Le sue parti più riflessive si basano sull’infiltrazione e sul non farsi vedere. Ottaviano non ha infatti una barra dell’energia, e anche il minimo colpo lo ucciderà (riferimento storico anche qui: Augusto era cagionevole di salute). La sua unica speranza è quella di travestirsi e nascondersi. Purtroppo queste fasi sono quelle più tristemente dimenticabili: le guardie hanno un’intelligenza artificiale e campo visivo minimi, e sono piazzate in ambienti fin troppo “stagni”. Il risultato è che certe volte paiono insormontabili, altre volte vengono facilmente aggirate. Quando poi si tenta di dare una parvenza di azione anche a Ottaviano, ne risultano sezioni trial & error veramente frustranti. Le parti con il futuro imperatore tentano di risollevarsi proponendo blandi compiti secondari e parti esplorative, in cui cercare collezionabili (Monete Fortuna) per comprare oggetti più o meno stravaganti.

Nulla da dire da un punto di vista grafico: anche dopo quattordici anni il gioco fa una buonissima figura. I personaggi sono ben modellati e le animazioni sono chiare e riconoscibili. Lo stile che domina è quello vistoso che da sempre caratterizza i giapponesi. La vera sorpresa però sono le ambientazioni, dal design dettagliato e squisito. Oggi più di allora si sente comunque la limitata RAM della console, con aree ristrette e con bruschi cali nei fotogrammi al secondo quando si superano i sette personaggi nella stessa mappa. La stessa simulazione delle folle non esiste, e spesso basta banalmente passare alla visuale in prima persona per vedere come i popolani generici siano tutti uguali tra di loro e le folle non siano altro che “pannelli di cartongesso”. La componente audio è ugualmente con alti e bassi: la colonna sonora è altisonante come i migliori peplum, ma è realizzata con i sintetizzatori. Stesso discorso per la recitazione vocale: per quanto ispirati, non tutti sono attori professionisti e si sente.

Ryse non si è inventato niente

Capcom puntò in maniera decisa sull’Occidente: Shadow of Rome fu pubblicato prima in Europa e solo dopo nel resto del mondo, un iter praticamente inverso rispetto al solito e ancora adesso quasi un unicum. Anche solamente da questo aneddoto (comunque non l’unico che gira attorno al gioco) era evidente quanto Capcom volesse bene a questo suo pargolo, passando sopra anche a non poche difficoltà prima di darlo alla luce. Ma anche quando i problemi di budget furono oltrepassati, Shadow of Rome si ritrovò a essere pubblicato pochi mesi prima di God of War (uscito a giugno dello stesso anno). L’ambizione di Capcom e del suo franchise rivolto al solo Occidente si schiantò inevitabilmente contro la ben più altisonante avventura di Kratos: le vendite ne risentirono pesantemente. Uno dei paesi in cui il gioco andò meglio (ma era anche prevedibile) fu proprio l’Italia.

Il che è un peccato, perché le intenzioni di fare un sequel era chiara fin dal principio. Numerosi sono i personaggi poco sviluppati e gli interrogativi che non riceveranno mai risposta. Dalle gemelle egizie Iris e Charmian alle circostanze non chiare della morte di alcuni antagonisti, fino ai comprimari che partono da Roma anticipando un ritorno che non ci sarà mai. Proprio alle gemelle appena citate Capcom lasciava un paio di battute sibilline dopo i titoli di coda, in cui le due avrebbero avvisato la loro “signora” di aver raggiunto la “fine dell’inizio”. Considerato il contesto e i personaggi coinvolti era evidente come il sequel avrebbe cambiato locazione, coinvolgendo anche la regina Cleopatra. Tutti interrogativi e possibilità che non hanno mai ricevuto risposta, con una stroncatura che avvenne sul nascere o quasi. E nonostante il buon Inafune si fosse intestardito a dare seguito alle avventure di Agrippa e Ottaviano, alla fine dovette rassegnarsi e trasformare il continuo delle avventure di Agrippa e Ottaviano in qualcosa di completamente diverso: il primo Dead Rising.

Shadow of Rome appartiene di diritto alle Meteore. Un videogioco che ebbe la sua buona dose di critiche, ma che si è mantenuto divertente e dalla trama sorprendentemente profonda, densa di riferimenti storici mescolati con la fiction. Ma fu un esperimento semi-riuscito e volendo troppo audace per i tempi. Questo convinse molti a lasciarlo nel dimenticatoio, in cui sprofondò anche a causa di una pessima convergenza storica. Ma appena se ne impara a distinguere la fumettosa narrativa dalla realtà storica il gioco si rivela come una di quelle grezze gemme sottovalutate di PlayStation 2, che cattura con il suo intreccio intrigante e la sua realizzazione dal sapore artigianale. E per i più impressionabili il sangue è comunque disattivabile dalle opzioni.

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