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Dragon Quest VIII | Il sole, il mare e la principessa maledetta

Ripercorriamo l’originale di uno dei videogiochi di ruolo più belli della sesta generazione, Dragon Quest VIII

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Avatar di Adriano Di Medio

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Pubblicato il 09/08/2019 alle 11:38
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Il Verdetto di SpazioGames

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Dragon Quest VIII: L’Odissea del Re Maledetto ha perso i suoi colpi per causa dell’età, ma il fatto di non essere del tutto crollato è segno di quanta bravura e passione vi avessero ai tempi messo dentro Square Enix e i Level5. La sua atmosfera rilassata nonostante tutto e l’ariosità delle ambientazioni e della magnifica colonna sonora, unita alla mano del creatore di Dragon Ball, lo rendono un videogioco tuttora affascinante e in grado di coinvolgere per tutta un’estate, a costo di doversi abituare ai limiti strutturali di una serie che, purtroppo o per fortuna, non è mai stata “per tutti”.

Ormai siamo in piena estate, ed è un periodo un po’ particolare per i videogiocatori. Durante questo periodo le uscite si diradano molto, e una delle idee sempreverdi per “far passare” questi mesi è recuperare qualcosa dall’annata appena chiusasi oppure dedicarsi a qualche classico. E volendo, uno dei titoli “estivi” per eccellenza di chi oggi ha più di vent’anni è Dragon Quest VIII per PlayStation 2. Ma com’è giunta ai giorni nostri questa vecchia gloria? Seguiteci nell’indagine.

Il numero mancante

Iniziamo con un dovuto retroscena: dopo un primo periodo di dominanza negli anni Ottanta, Dragon Quest di Enix ha assunto a lungo il ruolo di “nemesi” di Final Fantasy di Square, a livello sia concettuale che contestuale. Dopo i primi cinque capitoli molto tradizionalisti Final Fantasy ha infatti virato verso il fantascientifico e steampunk, giungendo a quel “misto magia-tecnologia” che avrebbe fatto la fortuna del brand da Final Fantasy VI in poi. Di contro invece Dragon Quest ha continuato lungo la strada del fantasy medievale, ancorato agli ideali del videogioco di ruolo classico come canovacci collaudati, struttura a esplorazione limitata e combattimenti rigidamente a turni.

Per quanto questo consentì alla serie di non perdere mai il proprio pubblico di riferimento, rappresentò anche il principale ostacolo a conquistarne di nuovo con il passare degli anni. Grazie all’inseguimento della “modernità” (non solo a livello di contesti ma anche con accorgimenti come l’invenzione dell’Active Time Battle) Final Fantasy infatti intraprese con successo la via dell’Occidente, ritagliandosi moltissimi fan specialmente con il passaggio alla prima PlayStation. Di contro invece Dragon Quest si ritirò sempre più in sé stesso, complice anche il fatto che per esportare i primi episodi negli Stati Uniti furono costretti a cambiare il titolo in Dragon Warrior per questioni di diritto d’autore. La serie di Yuji Horii non vide quindi seriamente l’Europa fino al 2006, con appunto questo ottavo capitolo della saga arrivato dopo la fusione delle due rivali storiche in Square-Enix. Il gioco venne localizzato con ogni crisma, una decisione che probabilmente era già più di quanto fosse lecito aspettarsi; per evitare confusione per l’edizione europea però fu tolto il numero dalla copertina, che pertanto divenne Dragon Quest – L’Odissea del Re Maledetto.


Volendo, il titolo del gioco potrebbe aver già riassunto tutto. Il Regno di Trodain è caduto sotto una terribile maledizione, che ne ha trasformato i cittadini in pietra e sommerso il castello in mezzo a rovi giganteschi. Autore della maledizione è il misterioso ma crudele Dhoulmagus, che ha rubato uno scettro conservato nel tesoro reale. Gli unici sopravvissuti sono il Re Trode (divenuto un grottesco ranocchio antropomorfo) e sua figlia Medea, diventata un cavallo bianco. In mezzo al marasma però, un barlume di speranza: una semplice guardia del palazzo è immune alle maledizioni: altro non è che il nostro Eroe (dobbiamo obbligatoriamente nominarlo noi) che accetterà di accompagnare il suo re e la principessa all’inseguimento del maligno giullare.

Una cartolina dal Mangaka Sorridente

Non andremo oltre nella trama, per rispetto a chi non lo conosce oppure l’ha scoperto solo con la remaster plus uscita su Nintendo 3DS un paio d’anni fa o con il porting su iOS. Per la narrativa in sé non stiamo davvero parlando di nulla di eccezionale, anzi il contrario: certe volte Dragon Quest VIII punta direttamente sul banale. Ma è così palese che non può che essere voluto, ci si crogiola con grassa soddisfazione. L’Odissea del Re Maledetto va avanti con una puntualità quasi scolastica, dall’ampliamento del gruppo (ai due iniziali si aggiungeranno il bandito dal cuore d’oro Yangus, la bella maga Jessica e il templare Angelo) a quello della minaccia con il chiarimento delle intenzioni di Dhoulmagus e del suo prima insensato vagare per il continente. È tale perché in Dragon Quest VIII a contare prima ancora che la fine del viaggio è il viaggio stesso. Ogni volta c’è un compito, una missione e una storia in più appositamente studiata per garantire ore e ore di avventure senza fine.

La struttura che sorregge il tutto è di fondo molto semplice: vi è l’esplorazione che alterna regioni selvagge e cittadine e i rigidi combattimenti a turni contro i vari mostri. I dialoghi sono praticamente tutti dentro classiche finestre scritte, accompagnate da recitazione vocale solo nei momenti più importanti. Per il resto è tutto molto canonico, e fare da attrattiva principale a livello grafico vi è la matita del buon Akira Toriyama, il cui tratto inconfondibile si sposa alla perfezione con un cel-shading carico ma non troppo. I tratti netti di personaggi e mostri contrastano amorevolmente con l’aspetto “acrilico” delle regioni selvagge, dove i colori sgargianti si fondono a orizzonti da cartolina.

Di nuovo si tratta di qualcosa di molto acuto, in quanto permette al gioco di fare la propria figura anche con tredici anni (quindici, se contiamo dall’uscita originale in Giappone) sulle spalle. Cosa che si nota su tutto il resto: le animazioni dei personaggi secondari durante i filmati erano rigide anche per i tempi, le città sono un po’ troppo “squadrate” e non mancano gli artifici scenografici per certe scene di massa. Eppure queste “furberie” spariscono di fronte alla serenità e agli orizzonti che Dragon Quest VIII ispira pure dopo tutto questo tempo. Ancora adesso è sorprendente come sia tutto costruito come una di quelle serie animate shonen da centinaia di episodi, da guardare durante l’estate come appuntamento quotidiano.

Proprio il sistema di abilità e il loro sviluppo è probabilmente il simbolo della “severità inutile” di Dragon Quest VIII: sono cinque abilità per ciascuno dei quattro membri del gruppo (tutte diverse a parte Mani Nude), che vanno potenziate tramite Punti Abilità ottenuti a ogni passaggio di livello. Il fatto è che il numero totale dei punti ottenibili (dal livello 1 al 99) sono sufficienti per sviluppare al massimo solo tre di queste. La crescita dell’Eroe, Yangus, Jessica e Angelo va quindi programmata con attenzione, e la distribuzione equa dei Punti Abilità non è la via per il successo, contrariamente a quanto Square già faceva negli anni Novanta. Questo rende di fatto il gioco ancor più difficile (se non impossibile) da completare senza ausili di qualche tipo. Oggi come ieri, non c’è niente di peggio di buttare via 40 e più ore di partita (magari pure ripartendo da zero) o accorgersi che non si riuscirà a specializzare al massimo uno o più personaggi solo perché il sistema non si è spiegato bene.

Il futuro è portatile, ma quanti matrimoni?

Molti dei difetti strutturali sono stati poi corretti nelle successive edizioni. Dragon Quest VIII infatti ebbe la sua dose di successo su PlayStation 2, venendo ristampato in America anche per le collane equivalenti alla nostra Platinum. Una delle ripubblicazioni più recenti è stata appunto quella su Nintendo 3DS, che ha apportato sensibili cambiamenti alla struttura di gioco. Sono stati infatti adottati diversi meccanismi per limitare il farming (come il non dover aspettare per il Pentolone Alchemico) e sono stati eliminati i combattimenti casuali in favore dei mostri chiaramente visibili sulla mappa. Una delle poche cose a non essere stata toccata (semplicemente perché non ne aveva bisogno) è la magnifica colonna sonora, perfetta anche per l’ascolto indipendente.

Ciò ha reso leggermente più chiare alcune missioni secondarie come la celebre Arena dei Mostri, e ha aggiunto qualche altro boss opzionale e la possibilità di reclutare nel proprio gruppo alcuni NPC secondari ma rimasti celebri. È stata poi ampliata la storia di alcuni personaggi come Marcello, facendoli ad esempio intervenire in qualche apposito boss opzionale oltre a quelli già presenti tra i Dragoviani. Il Sentiero dei Dragoviani e il successivo dungeon Santuario dei Dragoviani erano zone extra raggiungibili solo dopo aver finito l’avventura una prima volta, in cui sarebbero state spiegate le origini dell’Eroe e permesso di sbloccare un altro finale per la storia dell’Eroe, Medea e Trode. Su 3DS venne addirittura aggiunto un ulteriore finale che coinvolgeva Jessica. Vi fu però anche un piccolo strascico di polemiche riguardo alcune censure grafiche. Specialmente i diversi costumi alternativi della formosa maga furono ritoccati per “mostrare meno”, per quanto già in originale fossero tutt’altro che espliciti e solo vagamente allusivi.

Dragon Quest VIII: L’Odissea del Re Maledetto ha perso i suoi colpi per causa dell’età, ma il fatto di non essere del tutto crollato è segno di quanta bravura e passione vi avessero ai tempi messo dentro Square Enix e i Level5. La sua atmosfera rilassata nonostante tutto e l’ariosità delle ambientazioni e della magnifica colonna sonora, unita alla mano del creatore di Dragon Ball, lo rendono un videogioco tuttora affascinante e in grado di coinvolgere per tutta un’estate, a costo di doversi abituare ai limiti strutturali di una serie che, purtroppo o per fortuna, non è mai stata “per tutti”.

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