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BioShock: Le Fonti Meravigliose - Speciale

Approfittando della sua disponibilità con il PlayStation Plus di febbraio, indaghiamo i temi e le radici culturali di BioShock

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Avatar di Adriano Di Medio

a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Pubblicato il 24/02/2020 alle 10:38
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Il Verdetto di SpazioGames

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BioShock rimane un videogioco dai significati profondi, sfaccettato e incredibilmente malato. Ma la sua è una “malattia controllata”, in quanto funzionale a esplorare numerosi temi e a strappare di dosso al genere (e volendo a tutto il medium) un idealismo cullante ma irrealistico. Ogni utopia è in realtà un inferno mascherato, e la mancanza di etica non porta che alle perversioni e a una spirale di male senza fine. BioShock mostra questo in un modo esagerato e se vogliamo volutamente “gonfiato”, ma è necessario per far passare il suo messaggio: lasciare che nella vita conti solo il denaro è la via più breve per l’autodistruzione. E ricordare che, prima di giudicare chi è svantaggiato come “debole”, “ingrato” o “parassita”, bisogna pensare che alla vita basta un niente per invertire i ruoli.

Per una settima generazione di console ai tempi appena nata, il primo BioShock fu inaspettato e potente. Ken Levine e i suoi ragazzi avevano tirato fuori una visione sporca di sangue e salsedine, spietata e incredibilmente malata della società americana, ma allo stesso tempo così morbosamente affascinante che vi fu anche qualcuno con il coraggio di definirlo “il Guernica dei videogiochi”. Questo perché sotto la sua natura di first-person shooter BioShock nasconde temi e riferimenti culturali ben più profondi e sfaccettati di quanto non sembri. Vale la pena indagarli, anche approfittando della sua recente disponibilità tra i videogiochi PlayStation Plus di febbraio 2020.

No Gods or Kings, only bischeri

Al suo nocciolo BioShock narra sempre di come sotto ogni utopia ci sia solo una distopia pronta a scoppiare. In questo caso l’utopia si chiama Rapture, una enorme (nonché fittizia) città sottomarina costruita negli anni Quaranta da Andrew Ryan, multimiliardario schifato dalle ingerenze degli Stati e delle religioni sulla libera iniziativa dei singoli individui. Dentro Rapture egli radunò coloro che considerava le migliori menti della sua epoca, mettendoli appunto in un contesto dove avrebbero potuto esprimersi al meglio delle loro possibilità, un’impostazione ferocemente capitalista che ben presto divorò tanto l’etica quanto le umanità che la popolavano. Pure se la critica principale è appunto alla società statunitense, giudicata come mortalmente competitiva e accusata di inseguire il guadagno a tutti i costi, in realtà il riferimento più palese è quello ad Ayn Rand, controversa scrittrice statunitense che aveva fondato la corrente di pensiero (poi divenuta setta) chiamata oggettivismo.

Semplificando, il pensiero propugnato da questa filosofia diceva che chi è ricco è perché “se lo merita”, cioè lo ha costruito con le proprie mani ed è suo di diritto, non ammette ingerenze. Un pensiero irrealista che, ci mostra la storia stessa di BioShock, è destinato a crollare sotto il suo stesso idealismo. Dopo un primo momento di “luna di miele” la combinazione di competizione estrema e società chiusa (pure per forza di cose, visto il suo trovarsi sott’acqua) degenera nella follia più o meno lucida. L’aiutare solo chi non ha bisogno di aiuto genera comportamenti feudali, e le “grandi menti” di Rapture si trasformano in un’aristocrazia censitaria, odiata dagli stuoli di disperati che, pur avendo tentato in ogni modo, non erano riusciti a ritagliarsi neanche lo “scopo zero” di una società ideale, cioè una vita dignitosa per ogni suo membro. L’utopia assume quindi i tratti di una spirale, distorcendosi in un sistema che destinato all’autodistruzione propria e di tutti coloro che ne fanno parte.


Il significato semiotico quindi è doppio, quasi triplo: la richiesta gentile rende moralmente molto difficile dire di no, c’è l’intento manipolatorio dell’ordine camuffato da gentilezza e infine è una sottile “denuncia” nei confronti del giocatore stesso. Ormai neanche ci accorgiamo più che quando giochiamo a un videogioco ci conformiamo a precise convenzioni, dal completamento degli obiettivi alla mancanza di scelte per ovvi motivi sceneggiativi. Non siamo abituati a scegliere, siamo abituati a obbedire. E per citare la battuta più famosa di Andrew Ryan, “un uomo sceglie, uno schiavo obbedisce”. E proprio nella scelta morale con gli ultimi di Rapture, cioè le Sorelline, che il finale di BioShock si decide.

BioShock rimane un videogioco dai significati profondi, sfaccettato e incredibilmente malato. Ma la sua è una “malattia controllata”, in quanto funzionale a esplorare numerosi temi e a strappare di dosso al genere (e volendo a tutto il medium) un idealismo cullante ma irrealistico. Ogni utopia è in realtà un inferno mascherato, e la mancanza di etica non porta che alle perversioni e a una spirale di male senza fine.

BioShock mostra questo in un modo esagerato e se vogliamo volutamente “gonfiato”, ma è necessario per far passare il suo messaggio: lasciare che nella vita conti solo il denaro è la via più breve per l’autodistruzione. E ricordare che, prima di giudicare chi è svantaggiato come “debole”, “ingrato” o “parassita”, bisogna pensare che alla vita basta un niente per invertire i ruoli.

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