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Oculus VR

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a cura di LoreSka

Pubblicato il 17/06/2014 alle 00:00

Da circa due anni, ogni volta che c’è un evento importante dedicato al mondo dei videogiochi c’è la realtà virtuale. Nello specifico, c’è Oculus VR, l’azienda che per prima sembra aver creato qualcosa di concreto in questo campo. Perché, ad essere sinceri, è dagli anni Ottanta che si parla di virtual reality applicata ai videogiochi e, nonostante qualche tentativo rivelatosi fallimentare (vedi alla voce VirtualBoy), nessuno prima dell’azienda recentemente acquisita da Facebook si era avvicinata così tanto a trasformare la realtà virtuale in un prodotto commerciale. Il motivo di tutto ciò è semplice: la tecnologia, questa volta, funziona davvero. E, soprattutto, è alla portata delle tasche di tutti.
All’E3 2014 non poteva mancare Oculus VR, che si è ricavata un padiglione piuttosto spazioso a fianco ai colossi quali Microsoft, Sony e Nintendo, con una costante fila di persone interessate a sperimentare la versione 2 del visore Oculus Rift. Per la verità, l’avevamo già provata alla GDC di San Francisco dello scorso marzo. L’E3, dunque, è stata un’occasione per ritrovarsi faccia a faccia nuovamente questa tecnologia e per confermare le sensazioni emerse qualche mese fa.
Sempre meglio
La prima versione di Oculus Rift ci aveva mostrato le grandi potenzialità della realtà virtuale, ma aveva messo in evidenza tutti i suoi grandi limiti. Nello specifico, il precedente modello provocava gravi effetti di motion sickness. La motion sickness è una sensazione spiacevole descritta da molti utenti della realtà virtuale, ed assomiglia a quello che si prova quando si sta male in automobile o, peggio, sulle montagne russe. In effetti il motion sickness assomiglia a un capogiro prolungato, e quel che è peggio è che giunge in maniera improvvisa dopo una decina di minuti dall’utilizzo del visore.
Come intuibile, questo è un problema molto grave per quanto concerne lo sviluppo e la diffusione della realtà virtuale. Se i visori non possono essere indossati per più di dieci minuti senza provocare un disagio al fruitore, il prodotto è scarsamente commercializzabile e limitato a restare una tech demo. La fortuna è che la soluzione al problema esiste, e quello che rende il tutto ancora più interessante è che la nuova versione di Oculus VR sembra essere sulla strada giusta.
Per risolvere il senso di nausea indotto dai visori VR è necessario compiere tre importanti passaggi. Anzitutto, la risoluzione deve essere buona. La nuova versione di Oculus non raggiunge il full-HD, ma è sufficientemente definita da rendere le immagini nitide. Il particolare schermo a led collocato a pochi centimetri dai nostri occhi ha ancora un problema: mostra – seppure lievemente – il reticolo dei pixel. Un problema che potrà essere risolto solo con un ulteriore aumento della risoluzione, una questione che sarà presumibilmente risolta al momento del rilascio del prodotto definitivo. In secondo luogo, non ci deve essere alcun ritardo tra i movimenti del giocatore e l’output a schermo. Ovvero, ad ogni movimento del giocatore deve corrispondere un’immediata reazione a schermo, altrimenti si potrebbe generare un senso di disorientamento che indurrebbe repentinamente la nausea. Infine, il software deve essere adatto alla realtà virtuale. Ovvero: deve essere un’esperienza in prima persona e consentire al giocatore di immergersi naturalmente nell’ambiente di gioco. Quest’ultimo aspetto, per ovvie ragioni, non dipende direttamente dal visore, ma è un punto che va tenuto in seria considerazione.
Allo stato attuale delle cose, Oculus VR sembra avere preso a cuore i primi due punti descritti poc’anzi. Nello specifico, la seconda versione di Oculus Rift integra una telecamera che permette l’inclinazione della testa, aggiungendo ulteriore senso di naturalezza ai movimenti compiuti dal giocatore. All’E3 abbiamo provato a lungo il visore, e possiamo affermare che – rispetto alla prima versione del dispositivo che ci provocò la nausea dopo appena cinque minuti – questo nuovo Oculus non ci ha provocato alcuna sensazione spiacevole o senso di disorientamento. Oculus Rift funziona sempre meglio, e non potrà che diventare ancora più preciso e definito al momento del rilascio. Da questo punto di vista, proviamo una grande fiducia e siamo francamente positivi per il futuro di questo dispositivo.
Tutto dipende dai software
Non è tutto oro quello che luccica. Perché, al momento, Oculus Rift ci ha offerto ben poche esperienze videoludiche degne di nota, dedicandosi principalmente a tech demo o a semplici software pensati per meravigliare l’utente in una sessione di pochi minuti. Insomma, se la fiducia nei confronti dell’hardware non manca, a due anni di distanza dall’esordio di Oculus VR non abbiamo ancora visto un prodotto che ci abbia pienamente convinti.
All’E3 di quest’anno si è discusso molto di una demo di Alien: Isolation presente nello stand di Oculus. Anche questa volta, però, dobbiamo sottolineare che non si trattava di una demo giocabile ma piuttosto di una sezione su binari tratta dal gioco, scarsamente interattiva. Chi lo ha provato si è spaventato, ma al contempo non può dire di avere giocato a Alien: Isolation su Oculus Rift. Al contempo, dobbiamo riconoscere che tutte le demo di questo promettente hardware avvengono in un ambiente controllato, con delle hostess o degli steward che si occupano di guidarci all’uso corretto del dispositivo e che si preoccupano di non farci mai perdere il senso dell’orientamento. Cosa avverrà a casa? Cosa accadrà quando, in un gioco come Alien: Isolation, dovremo girarci di 180 gradi per vedere cosa c’è alle nostre spalle? Riusciremo a compiere con il visore tutto quello che facciamo con uno stick analogico stando seduti sul divano? Domande che necessitano una risposta, e che – vista la natura frenetica di alcuni titoli – probabilmente si trasformeranno in un altro ostacolo da superare per questa tecnologia.

Forse ha ragione Sony ad affermare che la realtà virtuale non può e non deve essere un hardware per i videogiochi. Si tratta, piuttosto, di un nuovo medium, con un proprio linguaggio e con la necessità di software appositamente dedicati. Di conseguenza, un gioco come Alien: Isolation potrebbe non arrivare mai sulla realtà virtuale, se non in una forma fortemente modificata per adattarsi a questo linguaggio. Frenate l’hype, dunque: ci saranno tanti interrogativi a cui rispondere.

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