In una parola

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a cura di Fatum92

Attenzione: l’articolo contiene SPOILER!

Non c’è bisogno di allontanarsi dai confini della realtà, di esplorare mondi ignoti e fantastici per imbattersi nei mostri. Basta restare vicini, guardarsi intorno e soprattutto guardarsi dentro per scoprire che la creatura più terrificante e spaventosa di tutte è proprio l’uomo. Ed è così che viene da chiedersi: “Se il Pianeta venisse invaso e devastato da qualche ostile e mostruosa forma di vita, aliena o terrestre che sia, cosa accadrebbe?” Tra le opere che seguono la via della ribellione comune, di una unione della razza umana, ce ne sono tante di più che inscenano l’ipotesi più probabile: quella in cui i pochi sopravvissuti diverrebbero più pericolosi della minaccia stessa. I veri mostri. Gli ultimi di noi. The Last of Us.

Il tuo orologio è rottoE forse sono proprio le persone più comuni, più insospettabili, a ospitare i mostri, a racchiuderli dentro di sé, a nutrirli: di sofferenza, paura, dolore. Persone come Joel, che in un attimo si è visto sfumare la sua vita, trascinato in un circolo di apatia in cui il tempo ha perso ogni significato, si è come fermato, bloccato.Il prologo rivela una conduzione ritmica impeccabile. Lo scoppio improvviso della pandemia, l’infezione che si dilaga, il caos e l’affannosa e sofferta fuga per le strade della città. Una scarica di adrenalina, un pathos che non concede tregua. E quando finalmente c’è un preambolo di salvezza, quando, anche per un solo secondo, la tensione inizia a calare, il mostro colpisce con tutta la sua furia. Ed proprio questa “ansia” palpabile che accompagna i primi minuti del viaggio a rendere ancora più forte e incisiva la perdita della figlia. L’eccezionale recitazione digitale, tra le migliori (se non la migliore) ammirate in un videogioco, e le capacità registiche di Naughty Dog fanno il resto. La morte di Sarah è un momento estremamente toccante, potentissimo e, in virtù di quanto appena detto, reso in una maniera incredibilmente convincente, tale da non poter lasciare indifferenti. Prevedibile, certo, eppure così vero, dannatamente triste, capace subito di mettere a disagio il giocatore. Benvenuti in The Last of Us sembra dire.

Uccidi e sopravviviVent’anni dopo. Ma il tempo non è importante. Che siano cinque, dieci o quindici anni, non fa alcuna differenza. Non per Joel, almeno. Un uomo comune ora disposto a fare di tutto pur di sopravvivere. Si va avanti, si lotta, succeda quel che succeda. Una routine destinata a cambiare quando una persona piomba per caso nella sua vita: Ellie. La giovane ragazzina co-protagonista della vicenda, nata e cresciuta quando ormai l’epidemia del Cordyceps era già una crudele realtà. E se Joel, estremamente sofferente e conscio della vita che ha perso, delle persone che ha perso, è tanto rude e impassibile, in lei si percepisce quell’incontaminato animo fanciullesco che nemmeno l’infezione può agguantare. Quella voglia di conoscere, quella curiosità di scoprire e vedere il mondo, perché c’è ancora del buono, c’è ancora del bello. In fondo, l’affascinante rivalsa della natura, della flora e della fauna che, di diritto, si è riappropriata il suo posto, basta da sola per regalare scorci e attimi meravigliosi. È bella nella sua accezione più chiara e non solo metaforica. L’incontro con le giraffe, così semplice e lontano dai canoni combattivi dell’avventura, dimostra una carica emotiva notevole: è al posto giusto, esattamente nel momento giusto. Un attimo di pace reso tale anche da una colonna sonora che non si permette mai di rubare prepotentemente la scena, rimanendo fin troppe volte in disparte, lasciando ai silenzi e ai rumori ambientali gran parte del lavoro. Quando compare, però, lo fa con assoluta convinzione ed energia.

In questo mondo, The Last of Us racconta quindi la storia di Joel ed Ellie. Giunti a questo punto, occorre fare le dovute distinzioni tra trama e narrazione, perché quest’ultima è tanto efficace quanto non lo è la prima. Premesso che dividere le due cose è spesso difficile e che l’intento dell’opera, quello di raccontare il viaggio e il rapporto dei due protagonisti, è centrato in pieno, non si può non pensare che, se a fianco di una narrazione così ben orchestrata e appassionante ci fosse stata una trama altrettanto ben studiata, il risultato sarebbe stato indubbiamente migliore. Sarebbe bastato poco, sarebbe bastato evitare i soliti cliché che, se in una produzione scanzonata quale Uncharted si possono sorvolare (che condivide esattamente lo stesso binomio storia banale e semplice-ottima narrazione), in una infinitamente più matura come The Last of Us divengono maggiormente difficili da non notare. Il pretesto alla base del viaggio, la ragazza immune da cui ricavare la cura, è di una banalità disarmante e da solo basta a rendere alcuni frangenti (su tutti il momento della rivelazione) meno interessanti, spezzando bruscamente il coinvolgimento. Ma il team ha scelto questa via e, tutto sommato, la volontà di Naughty Dog di pescare un po’ di qua, un po’ di là traendo ispirazione, funziona, perché ci si accorge che il risultato non è un minestrone insipido, ma una pietanza da un suo sapore distintivo. La storia regge, intrattiene, non è mai inverosimile (salvo la quasi miracolosa guarigione di Joel a seguito dei fatti dell’università, coincidente tra l’altro con uno dei momenti più emozionanti del gioco). I dialoghi colpiscono, sono ben studiati, maturi, sempre credibili. Se quindi non si può imputare niente alla sceneggiatura nel suo complesso, la sensazione che avrebbe potuto osare di più, allontanandosi dai soliti schemi, è però una costante per quasi tutta l’esperienza. Non se ne fa una colpa all’opera, Naughty Dog ha deciso di puntare ad altro, ma è soltanto la semplice amarezza del classico “e se…”. “Ma questa è la storia di Joel ed Ellie!” “Ok, ma se il contorno avesse avuto lo stesso coraggio, la stessa forza mostrata nella narrazione, evitando di prendere la via più facile e scontata, non avrebbe rafforzato e reso più appassionante anche la loro storia, il loro rapporto?” Chissà. L’epilogo, per nulla banale, insegna.

Tutto accade per un motivoIl finale è infatti spiazzante. A prima vista monco, rivela in realtà una profondità da non sottovalutare, da metabolizzare. Ed è quindi un peccato che la prima metà dell’avventura non riesca a tenere il passo con la seconda, soprattutto dal punto di vista della storia-narrazione. Anche dal lato del gameplay nudo e crudo, le prime ore faticano a ingranare, salvo risollevarsi proprio quando il rapporto tra i due sopravvissuti inizia a instaurarsi. La commistione giocabilità-narrativa, inoltre, è quasi perfetta, con risultati raramente ammirati nel panorama videoludico. Ogni sezione ha un senso, in una integrazione che sfrutta a dovere le potenzialità del media. L’equilibrio tra le parti è semplicemente eccezionale. Ineguagliabili per regia, recitazione e qualità grafica, gli stessi filmati di intermezzo, mai troppo lunghi, mai troppo brevi, scivolano via quasi senza accorgersi di aver smesso di muovere le dita sul pad. C’è una progressione continua. Al passo con l’evolversi del legame tra Joel ed Ellie, si assiste a un assorbimento sempre più totale in questo universo, culminante nelle stagioni conclusive. Paradossalmente, persino l’impatto visivo evolve, migliora. Tecnicamente impressionante, l’inverno è l’apice della maturazione ludica e narrativa di The Last of Us, spaziando, seppur superficialmente, su temi piuttosto delicati. L’ingresso di un personaggio quale David e il passaggio di punto di vista da Joel ad Ellie porta a risvolti finalmente imprevedibili. La superba caratterizzazione di questo folle antagonista delinea con estrema intelligenza pieghe maledettamente inquietanti, che insinuano il dubbio e portano a riconsiderare la sua figura e i suoi intenti: vaghi, confusi, mai espliciti e, proprio per questo, incredibilmente reali. Il passaggio tra Joel ed Ellie coinvolge tanto a livello di trama, quanto a livello ludico, conducendo la stagione probabilmente più travolgente. La fuga, il salvataggio, la bufera. Il nascondino con David (modalità ascolto off) è uno dei punti più alti toccati, in grado di restituire una palpabile e continua tensione ben superiore a quella percepibile nello scontro con qualunque infetto. I mostri…In tutto questo ambaradan, infatti, i contagiati occupano uno ruolo marginale, quasi a fare da mero sfondo al vero perno dell’esperienza. Ma sono comunque indispensabili per fare emergere la mostruosità umana e per arricchire efficacemente il gameplay, che si allontana dalla spettacolarizzazione fine a sè stessa, dalla apprezzabile esagerazione visiva “unchardiana”, dal blockbuster hollywoodiano esibizionista tutto azione ed effetti speciali, per seguire una filosofia opposta, per tracciare una via più intima, introspettiva e matura. Non solo nelle tematiche, ma anche nell’animo videoludico puro. Quanto Uncharted propone meccaniche e combattimenti leggeri, tanto The Last of Us offre scontri fisici, sentiti. Pesanti. Esattamente come l’atmosfera che si respira.

The Last of Us è un nuovo esempio di come cinema e videogioco possano unirsi in un ibrido equilibrato, riuscito e naturale. Se quindi alla narrazione non si può imputare niente, una minor ingenuità e prevedibilità in alcuni aspetti della trama e una maggior rifinitura su alcuni parametri puramente ludici, avrebbero contribuito a creare un’esperienza ancora più memorabile, per quanto già matura su ogni fronte. Non c’è nulla di nuovo, nulla di innovativo, nulla che non si sia mai visto, nulla di esagerato e spettacolarizzato, eppure da questa “semplicità” è nato qualcosa di non comune. Soprattutto, però, sono nati e hanno preso forma personaggi incredibilmente reali, veritieri, vivi. Perché The Last of Us non è un gioco sugli zombie o un mondo post-apocalittico, è prima di tutto il viaggio di Joel ed Ellie, che piano piano si sviluppa. È la storia di un legame che acquisisce sempre più sostanza, forma, di un rapporto padre-figlia. E prima che si completi, il passato inevitabilmente ritorna e il cerchio, finalmente, si chiude. Dopo tutti gli orrori passati, Joel non può fallire di nuovo, non può lasciare che sia ancora una volta l’uomo, il vero mostro, a riprende la sua ragione di vita. La salvezza di Ellie non è la salvezza dell’umanità, condannata al suo destino da un atto egoista, da un atto d’amore. Perchè l’unico futuro possibile è quello insieme. E il tempo riprende a scorrere.

In una parola: Maturo.