In una parola

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a cura di Fatum92

ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER

Lo schianto di un aereo in mezzo all’oceano. Un faro. Una discesa nelle profondità del mare, il suono inquietante, ma allo stesso tempo inspiegabilmente affascinante, di incisive sviolinate in sottofondo. Una città: Rapture. Un oceano. Un faro. Una salita nelle altezze del cielo, dove ad accompagnare ogni metro vi è una colonna sonora sempre più opprimente, pressante, ma che, improvvisamente, superata una soffice coltre di nuvole, diviene calma, pacata, seducendo a ogni nota di pianoforte. Una città: Columbia. Alleluia!Una salita in paradiso. E BioShock Infinite lascia stregati sin dai primi minuti, conquistando con la sua atmosfera eterea, avvolgendo di stupore e meraviglia. In fondo, cosa sarebbe senza questa attenzione al dettaglio? Senza questo suo spirito artistico, tanto visivo quanto narrativo? Senza quella maturità percepibile nelle tematiche trattate? Senza quella genialità nel dar vita a un mondo ricco di sfaccettature e dal background incredibilmente ricercato? Sarebbe “solo” un buon gioco, come tanti. Perché BioShock Infinite non è certamente un capolavoro di gameplay. Non è un’opera in grado di eccellere da qualunque lato si decidi di guardarla. Capolavoro in senso stretto, quindi, no. Vera e propria opera d’arte: sì. E forse è meglio così…

ColumbiaIl solo pensiero di un’intera metropoli galleggiante nell’azzurro del cielo è qualcosa di spettacolare e incantevole. L’impatto con Columbia si rivela quindi ipnotizzante, non ponendosi limiti nel mettere in mostra con orgoglio vedute e panorami mozzafiato. Quell’amore per il bello, per l’arte, che in BioShock Infinite è tanto presente: il gigantismo degli edifici, danzanti docilmente su e giù tra le nuvole, delle enormi strutture e statue, la calda e rassicurante illuminazione, la vivacità dei colori, la perfezione di una città che sembra incarnare la purezza e la bellezza. Ogni elemento, ogni manifesto, ogni casa, tutto appare esattamente lì dove deve stare. Un’illusione potente, che però non solo nasconde il marcio di una società solamente all’apparenza utopistica, ma anche l’inadeguatezza di una tecnica non al passo con la velleità artistica. Poco male. Lo spettacolo offerto da Columbia è qualcosa di unico, rafforzato da quel seducente sapore retrò tipico della serie: citazioni, pubblicità e filmati che lasciano intravedere il periodo storico in cui Columbia è collocata, il 1912. Autocelebrativo, sfarzoso, compiacente di sé, scenografico, impaziente e voglioso di mostrare la sua beltà, BioShock Infinite elogia continuamente le sue qualità. E non si può dargli torto, quando poi si rimane incantati dinnanzi all’ennesimo impressionante scorcio. E non si può non reggere il gioco di una regia in-game curatissima, che tenta di far credere all’utente di avere il controllo anche quando effettivamente lo spettacolo si dimostra più passivo che attivo, perché l’appagamento è totale. Anche le cose più banali e semplici colpiscono, e si rimane incollati allo schermo, a fissare, a osservare, a esplorare ogni angolo, a immergersi e vivere questa realtà, poiché, nonostante tutto, l’interattività rimane un punto importante dell’esperienza.L’arrivo nella Chiesa introduce con maestria Columbia, sfoggiando un’atmosfera sacrale e mistica, quasi surreale: affreschi e statue, i riflessi sulla limpida acqua di centinaia di candele che pervadono di una luce soffusa l’intera ambientazione. Un clima paradisiaco, calmo e puro. A renderlo tale è anche la carica emotiva di una canzone come “Will the Cricle be Unbroken” in una versione corale capace di insinuarsi nel giocatore in modo incredibilmente efficace, avvalorando quanto accade su schermo con una tale forza da lasciare, almeno per un attimo, quasi spiazzati per la perfetta sincronia dei sensi: occhi e orecchie, musica e immagini, in sincera armonia.BioShock Infinite non si ferma qui, ma delizia con chicche inaspettate che si imprimono nella memoria. La rivisitazione di “Girl Just Want To Have Fun” in forma melodica o il particolare frangente in cui è ascoltabile nella sua versione originale, sono solo alcune delle piccole cose che rendono grande BioShock Infinite. L’esibizione di un gruppo che canta a cappella “God Only Knows” o la sorpresa di udire il “Requiem in D Minor” di Mozart si rivelano semplici tocchi di classe che contribuiscono a donare veridicità, a coinvolgere e immedesimare ancora di più in questo universo che, piano piano, svela una complessità narrativa sorprendente.

BioShock Infinite riesce continuamente a meravigliare grazie a piccoli, ma importanti dettagli. L’inizio e la fine rappresentano fuori dubbio le parti più riuscite ed emotivamente toccanti. Superato lo straniamento suscitato dalle bellezze architettoniche di Columbia, sopraggiunge il senso di attesa, quella genuina voglia di raggiungere e incontrare la misteriosa ragazza rinchiusa nella torre, Elizabeth. E quando finalmente arriva l’ora dell’incontro, la presentazione della giovane donna si mostra addirittura superiore alle aspettative, caratterizzando in pochi attimi la personalità della ragazza: piccoli gesti, espressioni, movimenti, azioni, ci si affeziona a lei solamente guardandola attraverso un vetro. La ciliegina sulla torta è assistere all’apertura di uno squarcio che mostra un cinema parigino proiettante “La Revanche du Jedi”. Un altro esempio della cura con cui Levine e soci hanno costruito il mondo (o i mondi) di gioco, divertendosi a farcire l’avventura di citazioni e raffiniti riferimenti che, per giunta, trovano un loro senso narrativo.E che dire delle rappresentazioni della storica battaglia di Wounded Knee e della Ribellione dei Boxer in Cina? Semplici, ma teatrali, scenici, capaci di imprimere maggior “realismo” alla vicenda allestita. Perché sono tanti i temi reali, storici e sociali, su cui BioShock Infinite fa affidamento, inserendoli in maniera naturale e senza filtri in una storia invero visionaria e immaginifica oltre ogni limite. Tematiche quali la religione, che nella sua indole fanatica può rendere ciechi e schiavi, burattini nelle mani di un burattinaio, il condizionamento mentale delle giovani menti (“sei un duca o un imbecille?”), l’intolleranza razziale, che mette in evidenza la differenza di trattamento tra bianchi e neri, ricchi e poveri. E non si può che rimanere in qualche modo colpiti da alcuni commenti di Elizabeth, banali e un po’ ingenui forse, ma sinceri, veri e, nel loro piccolo, capaci di far riflettere: “Perché c’è un bagno per i bianchi e uno per quelli di colore?”. BioShock Infinite si limita a mostrare condizioni e situazioni, magari non approfondendo adeguatamente ogni aspetto, eppure dimostrando coraggio nell’affrontare argomenti decisamente lontani dai canoni dell’intrattenimento videoludico.

Lavorare duroLa lunga parte centrale dell’avventura appare contraddistinta da un ritmo altalenante ed è probabilmente la meno riuscita, appesantendosi con alcuni combattimenti di troppo e qualche fase meno ispirata, oltre che una progressione dell’intreccio sempre interessante (vista l’introduzione del passaggio di mondi), ma comunque un po’ stiracchiata. Tra questi, l’apparizione, verso la fine, del fantasma di Lady Comstock sembra quasi una forzatura, un pezzo scollegato, utile solo per allungare e ingarbugliare senza motivo il canovaccio. In ogni caso, a rendere meritevole di attenzione gli avvenimenti centrali è forse il tema che occupa maggior spazio in BioShock Infinite: lo sfruttamento dei lavoratori. A incarnare tale essenza è il personaggio di Jeremiah Fink, ricco e potente industriale a capo della forza lavoro, costretta a turni disumani e poco concepibili ai giorni nostri. Ed è tragicamente ironico, considerando che, a quei tempi, il trattamento riservato ai lavoratori non era poi così distante dalla visione esposta dai ragazzi di Irrational Games.Gli stratagemmi adottati per presentare il problema sono molteplici: si passa dai comunicati di Jeremiah Fink, udibili nella zona industriale, che fanno comprendere la totale sottomissione dei lavoratori, con ripetute allusioni al bestiame (persone/animali), alla messinscena di una particolare asta in cui si “vende” il lavoro a chi offre il minor tempo di esecuzione, fino a fugaci dettagli quali una sorta di “orologio” che mostra la suddivisione della giornata degli operai, con oltre metà della fetta occupata da un’enorme scritta: Work. Particolari e minuzie che con poco dicono tanto.Non manca nemmeno l’argomento politico: l’intero background di Columbia affonda le sue radici sui fatti avvenuti intorno al 1900, durante la Ribellione dei Boxer, in seguito alla quale la città, a causa di un incidente diplomatico con Washington, dichiarò la secessione dagli Stati Uniti, spiccando letteralmente il volo e scomparendo oltre le nuvole per dare vita a una società utopistica, costruita sugli ideali di scienza dei primi del 1900. Per non parlare dei riferimenti ai padri fondatori: George Washington, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson. Columbia, infatti, è teatro di una guerra civile tra i conservatori del Partito dei Fondatori e gli anarchici Vox Populi, di cui fanno parte i reietti della società. Un conflitto a cui Infinite ci farà partecipare, con la sanguinosa rivoluzione e rivalsa dei Vox a dimostrare che, in fondo, nessuna parte è poi migliore dell’altra.

Tessuti narrativiTutti questi argomenti, per quanto importanti a definire l’anima artistica e la maturità di BioShock Infinite, si collocano in un contesto marginale rispetto alla piega del tessuto narrativo principale. Le premesse iniziali, semplici e un po’ furbe: “Portaci la ragazza e annulla il debito”, non lasciano presagire la vera laboriosità del viaggio. De Witt parte così alla volta di Columbia in cerca della giovane Elizabeth, merce di scambio per saldare i suoi debiti dovuti al gioco d’azzardo. Ma la ricerca si rivela qualcosa di meno scontato di una banale missione di recupero: è una ricerca alla scoperta di sé stessi, del significato della vita e dell’universo, è una ricerca nel profondo dell’animo di Booker, di ciò che è, di ciò che potrebbe essere, di ciò che sarà. Tra libero arbitrio e irremovibile destino, BioShock Infinite si snoda seguendo una via estremamente rischiosa, affidandosi alla scienza dei multiversi, alla teoria delle stringhe, per sondare un terreno già sfruttato in ambito videoludico, cinematografico e letterario, ma riuscendo a sopperire alla mancanza di originalità dando vita a una storia essenzialmente geniale come poche, che si dipana su infiniti strati e livelli, e soprattutto contraddistinta da un finale che, in quanto a sviluppo e impatto emotivo, ha davvero pochi eguali nel panorama dell’intrattenimento. L’onirico e visionario epilogo colpisce come uno scoppio improvviso, una bomba, un’esplosione di stile, dimostrando una perizia eccezionale nel delineare l’intero intreccio. Una quindicina di minuti disorientanti e stranianti: un sogno da vivere a occhi aperti. La quantità di informazioni rivelate è tale da lasciare interdetti e frastornati, a cui va aggiunto il sincero sbalordimento di un fan service che lascia senza parole, giocando con l’alone leggendario di Rapture in modo impensabilmente naturale e convincente. La cura registica e audiovisiva riservata alle battute conclusive sfiora davvero la maniacalità, basti pensare che delle circa trenta tracce musicali che compongono la soundtrack, più di cinque sono dedicate ai soli quindici minuti di chiusura. Mentre i tasselli del puzzle iniziano a tornare al loro posto, l’irrazionalità e l’impalpabilità del viaggio appena concluso lasciano davvero esterrefatti. I concetti dietro la storia di BioShock Infinite sfiorano la comprensione e la logica umana, costringendo a pensare fuori dagli schemi, a rivedere la comune concezione di tempo e spazio, a interrogarsi e porsi continue domande, a immaginare infinite possibilità, sotto trame, chiavi di lettura. Un senso di “vago” e sfuggente che avvolge il tutto di un fascino speciale. Infinite costringe a fantasticare su quei fatti che non vengono mai chiaramente svelati, richiedendo al giocatore di sfruttare la sua immaginazione, portandolo a divenire un ingranaggio attivo della creatività che costituisce l’opera.Riflessioni, teorie, punti di vista, interpretazioni, il materiale di discussione offerto da Irrational Games è immenso. Tuttavia, al centro di tutto vi è un plot che ha un suo preciso svolgimento, nel quale gran parte dei misteri trovano risposta. L’importanza data a particolari all’apparenza insignificanti denota uno sforzo creativo notevole: alcuni dialoghi sulle prime incomprensibili, testa o croce, gabbia o uccello, costanti e variabili, il numero 77, le lettere AD, il nome Anna, i ricordi/visioni confuse, il sangue dal naso, la scioccante verità sul dito di Elizabeth, “Portaci la ragazza e annulla il debito”, tutto, o quasi, trova incredibilmente senso. Una minuziosità che non può lasciare indifferenti, che rende piacevole un secondo o terzo giro nel cerchio, necessari per cogliere ogni minuscolo dettaglio. Così come il tocco di classe della breve scena post crediti, che si prende un po’ gioco dello “spettatore” come solo i grandi sanno fare, accollandosi un’ambiguità a metà tra il dubbio e la conferma.

Verso l’infinito e oltreQuanto vissuto fa parte di un qualcosa di ben più grande, in una maniera difficile da concepire. È solo un frammento in un oceano di mondi, scelte, conseguenze. La storia di BioShock Infinite si rivela tanto geniale anche per la capacità, non scontata, di sfruttare saggiamente il suo medium. Il modo con cui Irrational Games racconta gli eventi non troverebbe accoglimento (o quantomeno non la medesima efficacia) in altri media. Il solo fatto della totale mancanza di filmati, lo stesso finale è interamente giocabile, è un piccolo accorgimento in grado di restituire una forte immedesimazione. Il punto di vista del personaggio, inoltre, non è solo una mera caratteristica di gioco (prima persona), ma si sposa alla perfezione con la narrazione, calando in maniera sopraffina nei panni di Booker: il giocatore è Booker, sa quello che sa lui, vede ciò che vede lui. La stessa conclusione mal si adatterebbe a una visuale “esterna”, molte inquadrature e accortezze acquisiscono il loro valore solamente grazie all’utilizzo della visione soggettiva. Una scelta pressoché obbligatoria. Sebbene gli script non manchino di certo, l’illusione di controllo sul personaggio è costante: ogni azione e momento scorre fluido, senza stacchi, appare personale. BioShock Infinite, dall’inizio alla fine, si vive. Non si vestono solamente i panni del protagonista, lo si diventa. BioShock non è l’unico ad adoperare questi stratagemmi, ma sicuramente è tra i migliori a farlo.La perfezione, si sa, non esiste. Nemmeno Infinite può sfuggire a questa costante. Il tanto decantato canovaccio lascia comunque al caso alcuni passaggi che potevano essere approfonditi meglio. Anche altri aspetti, come i Vigor, gli Handyman o la figura di Songbird, che si pensa derivino da una tecnologia proveniente da altri mondi (Rapture?), avrebbero meritato maggior attenzione. Piccole macchie perdonabili, che spariscono dinnanzi alla pulizia e all’eccezionale contenuto artistico dell’intera tela. Manca, forse, anche il carisma di un Andrew Ryan e l’iconicità dei Big Daddy-sorelline, ma Infinite sposta il peso della bilancia su altro. Ciò nonostante, i personaggi partoriti in questa occasione da Ken Levine non sono da sottovalutare a priori, a partire dalla dolce Elizabeth fino ad arrivare al lavoro magistrale svolto nella caratterizzazione dei Lutece, una coppia che, in bilico tra la pazzia e l’assoluta genialità, diviene il simbolo della follia narrativa di BioShock Infinite.

Le frasi

“Booker… hai paura di Dio?” “No, ma ho paura di te”

“La Mente del soggetto si sforzerà disperatamente di creare ricordi dove non ce ne sono… “

“Il seme del profeta siederà sul trono e ricoprirà di fiamme le montagne dell’uomo”

“Qual è la creatura più ammirabile sulla Terra di Dio? E’ l’ape! Avete mai visto un’ape in vacanza? Avete mai visto un’ape prendersi un giorno di malattia? Beh. Amici miei, la risposta è no! Così vi dico: siate api! SIATE API!!!”

“Ma lei cos’è? Viva o morta?” “Perché chiedi cosa? …” “… Quando la domanda è quando?” “L’unica differenza tra passato e presente…” “… è la semantica” “Vive, visse, vivrà” “Muore, mori, morirà” “Se percepissimo il tempo com’è realmente…” “Che ragione avrebbero i professori di grammatica per alzarsi?” “Come tutti noi, Lady Comstock esiste attraverso il tempo” “… E’ sia viva che morta” “Percepisce di essere entrambe…” “Trova questa condizione… sgradevole” “Percepire senza comprendere…” “… E’ una combinazione pericolosa”

“Te l’avevo detto io” “Non l’hai fatto” “Giusto. Ti avrei detto che sarebbero arrivati” “Ma non l’hai fatto” “Ma NON LO FACCIO” “Sicuro che sia giusto?”[…]“Ti avrò già detto che sarebbero venuti?” “No” “Il congiuntivo?” “Quello non è un congiuntivo” “La sintassi non è già stata inventata?” “Avrebbe dovuto essere stata” “Avrebbe dovuto essere stata? … Non è giusto” “Strano, vero?” “Cosa?” “Che noi alle volte…” “… Finiamo le frasi dell’altro?” “Esattamente” “Sarebbe strano il contrario”

“C’è sempre un faro, c’è sempre un uomo, c’è sempre una città”

A prescindere dai gusti, BioShock Infinte rientra in quel ristrettissimo cerchio di opere a cui va riconosciuto il merito di elevare il videogioco grazie a un’anima artistica più unica che rara. Non è solo questione della magnificenza visiva, dell’attenzione al dettaglio e al gusto del bello trasmessi prepotentemente da Columbia, è anche il coraggio di approcciare in modo incredibilmente naturale temi scomodi e maturi, ma è soprattutto l’ingegnosità fuori dal comune della trama. In un’era in cui è praticamente impossibile escogitare qualcosa di originale, dove tutto è ormai stato proposto e riproposto in ogni salsa, BioShock Infinite fa esattamente ciò che deve: ripesca da idee già sperimentate facendole sue, non cadendo nella banalità e riuscendo a lasciare il segno, esplodendo con un epilogo sconvolgente, visionario, paranoico, che travolge e si insinua nel profondo in una maniera impossibile da dimenticare. Uno dei migliori finali di sempre, per una storia volutamente contorta, suggestiva, ricca di fascino e impenetrabile, che invita a riflettere e a rimuginare a lungo. Nonostante il lato ludico non regga l’eccellenza riservata a tutto il resto, BioShock Infinite dimostra di saper sfruttare come pochi altri la sua natura di videogioco nel modo di narrare gli accadimenti, regalando un’immedesimazione e un coinvolgimento elevatissimi. E per una volta, a ricordarsi non è la violenza di un’uccisione o la spettacolarità di quella o questa sparatoria, ma è lo stupore nello scoprire i piccoli particolari, è la maturità dei dialoghi e delle tematiche, è la meraviglia nell’esplorare Columbia, è la traccia musicale che segue l’azione, è l’entusiasmo di una Elizabeth che ha il sogno di vedere Parigi, che canta sulle note di una chitarra e che danza sulla spiaggia, è l’emozione spiazzante trasmessa dal finale di una storia che, con insistenza, continua a vivere nella mente, a girare e rigirare in testa anche a gioco spento come in un cerchio infinito che, purtroppo, prima o poi si spezzerà.

In una parola: Geniale.