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Fuori dai Denti - Le remastered

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 05/02/2015 alle 00:00

Visto come continuano a fioccare indisturbati e in numero sempre crescente i giochi già usciti che vengono puntualmente rimasterizzati con qualche miglioramento grafico, le riedizioni con l’inserimento di extra trascurabili, e le cosiddette “definitive edition”, devono piacerci proprio tanto. Se fossero completamente snobbate dai consumatori, semplicemente cesserebbero di esistere; eppure, con una buona dose di insospettabilità, il mercato accoglie con un certo entusiasmo alcune operazioni di riciclo selvaggio, anche laddove non ce n’è effettivo bisogno. Nel frattempo, si è venuta a creare una sorta di spaccatura tra i più grandi detrattori di questa nuova e controversa abitudine, e chi la apprezza in toto (anche silenziosamente o negandolo agli altri per una forma di miserabile orgoglio).
Con le dovute differenze
Bisogna tuttavia fare delle distinzioni tra quelle che sono delle infime operazioni commerciali che servono solo a fare cassa sfruttando le debolezze degli acquirenti, e quelli che sono invece dei gran bei revival che tutto sommato possono avere senso. Specialmente per chi di certi giochi ne ha solo sentito parlare positivamente e non ha mai avuto l’occasione di goderseli, sia per motivi legati all’età o all’inesperienza, o per semplice noncuranza. Il confine tra queste due categorie diventa talvolta molto labile, ma fare una grande scrematura, in fin dei conti, è piuttosto semplice. 
Senza fare nomi (quindi facciamoli), è di indubbio interesse rivedere un capolavoro senza tempo come Grim Fandango, che appartiene ormai a diverse generazioni fa e si presenta non solo come ariete per sfondare le porte della nostalgia di chi ormai non ha più un volto imberbe, ma anche per riproporsi a tutti coloro che quell’epoca l’hanno vissuta con una consapevolezza ancora in piena formazione. Accorciando invece i tempi, un’altra remastered contro cui non mi scaglierei mai, è paradossalmente quella dedicata a The Last of Us, e non perché ritengo che chi l’abbia già giocato dovrebbe farlo nuovamente. Al contrario, trattandosi dell’ultimo capolavoro di una console che aveva ormai dato tutto, portarlo sulla macchina successiva è stata un’ottima occasione per chi stava passando a quella che è l’attuale generazione (tra cui anche gente che veniva dalla concorrenza), e lo stesso principio è applicabile naturalmente anche ad Halo: The Master Chief Collection. A esclusione di questi esempi, e di pochi altri che voi e solo voi avete il dovere di fare vostri poiché si tratta sul serio di occasioni irripetibili, non esiste nessun buon motivo per cui dovreste sposare queste iniziative. 
Le remastered, viste dalla parte di chi le produce, sono un modo rapido e indolore per accumulare un po’ di denaro da reinvestire nelle produzioni più grandi o per boccheggiare dopo un inaspettato fallimento: non c’è bisogno di impiegare grossi team di sviluppo, si possono realizzare in tempi molto brevi, e se riescono a essere accattivanti nel modo giusto possono essere molto redditizie per le software house. Il più delle volte, si tratta di riedizioni in cui vengono accorpati tutti i DLC – che è un po’ come dire “prima ti vendo il gioco a pezzi, e poi se ti va te lo rivendo un’altra volta tutto intero” – o in cui viene fatto un ritocco davvero minimo al comparto tecnico. I consumatori, dunque, per quale oscuro motivo dovrebbero farsi sedurre da simili proposte?
Siamo arrivati a questo
Eppure, talvolta le motivazioni degli acquirenti sono assurde e prive di senso, e capita di sentire frasi che manderebbero fuori dalla grazia divina anche il critico più paziente del globo. Qualche esempio? Eccolo: “Mi è piaciuto troppo, lo ricomprerò sicuramente!”. Dichiarazioni, queste, che mi fanno rendere conto che a quel punto non si tratta più di passione, ma di un malsano feticismo diventato un personalissimo culto da assecondare senza seguire più il buon senso. Appurato che esiste una fetta di pubblico che acquista compulsivamente o per dissennata idolatria, o perché le poche uscite sono state talmente poco interessanti da non lasciare troppa possibilità di scelta, bisogna anche analizzare cosa comporta riciclare opere che hanno già avuto il loro momento di gloria.
Tutte le volte che arriva una remastered, l’intera industria del videogioco accoglie a braccia aperte una staticità che non le appartiene. Si adagia sugli allori, si autocelebra pateticamente e non fa nulla per avanzare e compiere un decisivo passo in avanti. E lo fa perché gli viene permesso; perché in sostanza, come tutte le mode che non abbiamo mai sopportato ma che continuiamo a supportare, attecchiscono e proliferano fino al punto di rottura. Fino a quando, in virtù di un’evidente sovrabbondanza non ricercata, la marea è costretta a ritirarsi. Adesso, è il periodo d’oro per le riedizioni: siamo all’inizio della generazione, i titoli di grande peso sono pochi o arrivano a intervalli irregolari, e la diffusione delle remastered è accettata come un riempitivo che non ostacola davvero nessuno. Ma già a partire dalla fine di questo primo trimestre del 2015, la situazione comincerà a farsi parecchio affollata, e successivamente si avrà una stabilità che durante il primo anno, giocoforza, non era mai esistita. In altre parole, il “fascino” residuo delle remastered andrà viepiù scomparendo, e questi prodotti verranno messi in ombra dal nuovo che avanza inesorabilmente. Si arriverà al punto in cui le software house li useranno nei momenti morti o come jolly per tirare su un po’ di denaro facile, sempre che nel frattempo non siano diventate abbastanza le persone stufe di mangiare le solite minestre riscaldate. E spesso riscaldate anche male.

Non è vero che le remastered sono più dei nuovi titoli in uscita, ma è senz’altro vero che la maggior parte di esse sono dei prodotti che non danno grandi motivazioni per l’acquisto, se non addirittura nessuna. I Revival che portano alla luce autentici capolavori del passato sono moderatamente accettati poiché servono a far capire alle nuove generazioni cosa erano i videogiochi prima di adesso, ma per il resto, sul serio, cosa dovremmo farcene? Vogliamo tutti i giorni nuovi stimoli per giocare e per capire in quali direzioni il settore si espanderà, e non ulteriori cause di insoddisfazione o modi infelici per glorificare qualcosa che non è nemmeno ascrivibile alla categoria “Passato”. Se vi ritrovate lo stesso gioco che esce nuovamente dopo qualche mese, con qualche aggiunta al titolo di copertina e nulla di veramente importante nel pacchetto completo, ignoratelo. Fatelo per voi stessi, meritate molto di più di tutto questo.

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