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Strider

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 29/09/2013 alle 00:00
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Lontano dalle scelleratezze e dalle discutibili scelte degli ultimi anni, c’era un tempo in cui Capcom non sbagliava nemmeno un colpo; era un florido periodo di successi incredibili e di grande acume strategico per la compagnia di Osaka, che versava in uno stato di grazia creativo incanalato all’interno di un momento storico importante e determinante, che è servito a incoronare la software house giapponese come una delle aziende più rappresentative dell’industria. Oggi Capcom si trova in una situazione piuttosto complicata, i fondi nelle proprie casse cominciano a latitare pericolosamente e i più importanti franchise vengono affidati a studi di sviluppo che non rappresentano di certo una garanzia. Questa tendenza nel credere che oltreoceano i giochi siano sviluppati meglio e che vengano resi più appetibili a tutti, non ha evidentemente portato a nulla di buono, ma nonostante le batoste ricevute a più riprese, Capcom crede ancora che questa sia la strada giusta da percorrere. Sperando in un ritorno di fiducia nelle proprie capacità, nel frattempo si è deciso di riesumare un altro brand storico che mancava all’appello e che in molti attendevano: Strider, un’altra gloria del passato messa di fronte a un nuovo e incerto destino.

Il prescelto
Strider era un gioco cupo, oscuro, che si rese anche protagonista di alcune controversie politiche per via della realizzazione di un primo livello con elementi spiccatamente comunisti e simboli inequivocabili che aprirono delle diatribe sulla natura originaria dei primi concept di gioco. La trama era tuttavia quanto di più lontano da tutto ciò e andava a parare su ben altri argomenti decisamente fantasiosi, mettendo al centro dell’attenzione una serie di cataclismi che avevano messo in ginocchio il pianeta e la successiva comparsa di nemici con mire di colonizzazione totale. La causa di tutto ciò era da imputare a Grandmaster Meio, individuo con lo scopo di devastare la Terra e invaderla, e noi, nei panni di Strider Hiryu, avevamo il compito di sconfiggere le sue armate, annientare il gran capo e riportare finalmente la serenità. A distanza di diversi anni, seguendo la strategia di riesumazione da parte di Capcom, era ovvio che anche un nome così importante sarebbe stato riportato alla luce; era solo questione di tempo. Ciò che ci aspettavamo, però, era un vero e proprio reboot coi fiocchi, di quelli che potessero rilanciare alla grande una serie con moltissimo potenziale e con tutte le capacità per imporsi tra gli action moderni. Così non sarà, perché questo Strider è un revival che ambisce a molto meno e che punta con ogni probabilità a tastare il terreno prima di – eventualmente – prepararsi a una reintroduzione in grande stile o – da non escludere – a un affossamento totale. Per questa missione, Capcom si è affidata a Double Helix, definita dal senior producer Andrew Szymanski la migliore software house del mondo durante un’intervista con dei colleghi esteri, perfetti per riportare in auge un marchio così importante grazie alla profonda conoscenza della serie e all’amore viscerale che hanno dimostrato per il progetto. Dando un’occhiata al curriculum e ai loro ultimi loro lavori, abbiamo più di qualche dubbio in proposito, ma pare che i ragazzi californiani stiano facendo di tutto per dimostrare quanto siano migliorati in questi anni. Noi ce lo auguriamo vivamente, soprattutto perché altri passi falsi (e con un Killer Instict in mano) non sono davvero più concessi. In questo caso, Strider non subirà alcun tipo di stravolgimento e si allineerà ai canoni tipici della serie, presentandosi come un gioco in due dimensioni e mezzo, a scorrimento laterale, e con lo stesso stile che fece la fortuna di questo genere attorno agli anni ’80 e ’90.

Strider strikes back
Hiryu, da quanto mostrato al Tokyo Game Show, appare ancora in buona forma: è veloce, scattante, si esibisce in precise scivolate, si arrampica a parete e soffitti e si dimena agilmente tra i nemici con la sua fida lama al plasma e con grandiosa maestria e strapotere. Forse anche troppo, perché rispetto al capitolo originale – dove con un paio di crediti a disposizione era quasi una benedizione arrivare al livello con le amazzoni – la curva di difficoltà sembra essersi abbassata drasticamente. Il nuovo Strider abbraccia adesso una struttura da Metroidvania con aree sbloccabili progressivamente e non più quindi con una suddivisione netta a livelli. Questo permette al gioco di avere più continuità durante l’azione e non riduce il titolo a un action che avanza a compartimenti stagni, ma lo scotto da pagare sembra appunto costituito da un alleggerimento che stride con forza rispetto a quella vena hardcore che aveva fatto la fortuna del capostipite. Durante le fasi di gameplay, abbiamo notato che è tornata anche la classica ruota a mezz’aria con cui Hiryu saltava, ma abbiamo anche fatto caso al fatto che l’animazione poteva essere interrotta improvvisamente con un altro imput. Inoltre, il tatticismo tipico che si basava sui movimenti tra gli appigli posti sopra il capo del protagonista, i salti precisi per colpire al millimetro i nemici con la parte finale della mezzaluna della lama e il posizionamento di alcuni di essi lungo gli stage, paiono aver lasciato il posto a una conduzione di gioco più tranquilla e permissiva. Sono frequenti infatti i momenti in cui percorrerete dei lunghi corridoi premendo furiosamente il tasto per l’attacco con la certezza che avrete senz’altro la meglio; altre volte, invece, quando la situazione diventa molto affollata e i nemici arriveranno da diverse parti contemporaneamente, potreste fare fatica a distinguere con nitidezza la direzione dei proiettili. Questo è dovuto al ritmo più forsennato del gioco, ma nonostante ciò, quanto mostrato non ci ha comunque impensierito troppo sul livello globale di difficoltà, che ci auguriamo venga alzato non tanto aggiungendo più nemici su schermo e diminuendo la resistenza del personaggio, ma creando situazioni (anche affrontando un solo nemico per volta) più complesse da gestire. A impreziosire questo nuovo capitolo di Strider arrivano anche alcune sezioni platform tra un’area e l’altra, con Hiryu che attraversa gli spazi aerei eseguendo agevoli doppi salti. Fa la sua comparsa anche una mappa posizionata nella parte superiore dello schermo, che mostra le zone progressivamente, man mano che si avanza. È da segnalare poi un maggiore sviluppo verticale delle aree, adesso più ampie e con inquadrature a volte più distanti per offrire una panoramica migliore durante le scalate. Non abbiamo avuto modo di vedere porzioni più ampie del gioco, pertanto è ancora difficile farsi un’idea netta sulla qualità del prodotto finale e sulla gestione dei potenziamenti; alcuni ritorneranno, come i satelliti protettivi e le entità robotiche, ma potrebbero esserci altre sorprese dietro l’angolo. Riuscirà Double Helix a ridare lustro a questo amato e forse un po’ troppo poco considerato franchise? Forse, ma ciò che possiamo dirvi con certezza, al momento, è che il titolo ha bisogno ancora di parecchio lavoro per ricreare quella stessa atmosfera. E non è detto che ci riesca.

– Ampliamento strutturale dei livelli

– Nessuno stravolgimento alla formula di gioco

– È ancora Strider, con tutte le sue abilità classiche

Capcom lo ha fatto di nuovo: ha deciso di dare in gestione uno dei suoi marchi più importanti e significativi a uno studio di sviluppo estero, a quei Double Helix che fin qui, onestamente, non si sono distinti certo per grandi miracoli. Anzi. L’operazione nostalgia potrebbe comunque funzionare, a patto che si riesca a passare sopra ad alcune privazioni rispetto all’originale, a un’atmosfera completamente diversa e a una difficoltà che già da adesso sembra tutto fuorché proibitiva. In bocca al lupo, Capcom, ne avrai bisogno.

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