Anteprima

Splinter Cell: Blacklist

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a cura di LoreSka

Splinter Cell: Conviction, uscito nel 2010, per certi versi rappresentò la riconferma che, anche nel secondo decennio di questo secolo, i giochi avrebbero continuato ad addolcire la propria difficoltà, diventando più accessibili e adatti a un pubblico di videogiocatori sempre più eterogeneo. La cosa, certamente, aiutò il gioco ad essere apprezzato da un maggior numero di persone. Dall’altro lato, fece letteralmente inorridire gli amanti della serie originale, che si videro derubati di buona parte dell’emozione stealth dei primi episodi.
Eppure, nel corso degli ultimi anni, le cose sono in parte cambiate. Forse è merito del pubblico, più ampio ma anche più consapevole di un tempo; forse è merito degli sviluppatori, che hanno imparato a non tradire il proprio pubblico più fedele. In ogni caso, Splinter Cell: Blacklist sembra fare tesoro della precedente esperienza e migliorare il gameplay, senza però intaccare la formula “allargata” del suo predecessore.
Ghost, Panther, Assault
Da un grande potere derivano grandi responsabilità. E da un grande pubblico derivano grandi richieste. Ma, soprattutto, richieste sempre più variegate. Ubisoft Toronto ha cercato, ancora una volta, di accontentare tutti aprendo il gioco a tre diversi stili di gameplay, che gli sviluppatori amano definire Ghost, Panther e Assault.
L’approccio Ghost, per molti versi, ricalca quello dei classici Splinter Cell. Si tratta di uno stile di gioco totalmente silenzioso e pulito, nel quale il giocatore si deve infiltrare oltre le linee nemiche senza destare attenzione. In breve, si fa uso esclusivamente di forza non letale, e all’azione si preferisce la fuga, il celarsi nell’ombra. Questo tipo di gameplay richiede la massima attenzione e un’enorme capacità di saper valutare quello che avviene attorno al giocatore.
Lo stile Assault si trova agli antipodi del Ghost, e richiede al giocatore di afforntare i nemici di petto, ad armi spianate, recuperando le armi sul campo senza disdegnare gingilli esplosivi e molto chiassosi. Si tratta di un approccio certamente impavido, ma al contempo poco ponderato. L’effetto che ne risulta è quello di un elefante in una fabbrica di cristalli: rumoroso, travolgente, impreciso ma efficacemente distruttivo.
L’approccio Panther, infine, si colloca a metà tra i due. Come il nero felino, ci si fionda sui nemici armati di pugnale o di arma semiautomatica rigorosamente silenziata. Si tratta di un assalto freddamente letale, che lascia montagne di cadaveri da nascondere in qualche cassonetto, lontano dagli sguardi preoccupati dei nemici rimasti ancora (per poco) in vita.
In passato, questi tre approcci denotavano tre diversi livelli di difficoltà, con l’approccio d’assalto a giocare il ruolo della modalità “Easy”, mentre l’approccio stealth rappresentava la modalità “Hard”. Abbiamo cercato di mettere alla prova questa regola non scritta in una particolare sezione della demo single player presentataci, che prevedeva un’incursione in una piantagione di papaveri da oppio in Afghanistan. La missione ci chiedeva di oltrepassare le linee nemiche eliminando (in maniera letale o non letale) undici guardie di pattuglia.
Abbiamo tentato dapprima la via dello stealth, sapendo che in termini di gameplay avrebbe rappresentato l’equivalente videoludico del detto “mettere il culo nelle pedate”. In effetti, questo stile di gioco non ha tradito le aspettative: la tensione era altissima, e la possibilità di essere scoperti sempre in agguato. Al primo tentativo abbiamo raggiunto le ultime due guardie rimaste ancora in piedi, ma un azzardo ci ha traditi. Abbiamo lanciato le cuffie dalla disperazione, mugugnando qualche parolaccia in italiano che gli sviluppatori – franco-canadesi – sembrano avere compreso. Si tratta, però, di quel genere di frustrazione appagante, che ci spinge a riprovare. Abbiamo impiegato altri quattro o cinque tentativi per completare il percorso: è stata dura, ma non impossibile.
Il secondo playtest si è svolto in pieno stile Panther. In questo caso le cose sono risultate molto più semplici grazie alla possibilità di eliminare i nemici dalla distanza, con una pistola silenziata. La meccanica è risultata piuttosto lineare: tutto quello che dovevamo fare era trovare un buon nascondiglio, aspettare che le guardie si trovassero fuori dallo sguardo dei propri commilitoni, e poi agire in maniera spietata ma silenziosa. Occasionalmente, abbiamo raccolto qualche cadavere e lo abbiamo lanciato giù da una scarpata, o nascosto in mezzo a qualche campo di papaveri in ombra.
Infine, abbiamo tentato l’approccio d’assalto. Ci aspettavamo di semplificare le cose in maniera incisiva, ma ci sbagliavamo di grosso. Al primo allarme scattato, gli undici nemici sono diventati ventiquattro. La sfida si è così complicata, in quanto ci siamo ritrovati accerchiati da talebani armati di AK-47 che sbucavano da ogni anfratto. Fortunatamente, è stata mantenuta la possibilità di effettuare le uccisioni “comandate” taggando i nemici, una feature introdotta in Conviction che ritorna per dare luogo a sequenze semi-scriptate molto coreografiche. Nel complesso, l’assalto è stata la vera sorpresa del giorno: più facile dello stealth ma certamente più impegnativo e tattico di quanto ci aspettassimo.
Naturalmente il giocatore può scegliere quale approccio adottare in qualsiasi momento. Alla fine del livello il gioco calcola un punteggio sulla base dei tre stili di gioco. Nel nostro caso, ad esempio, siamo risultati dei giocatori stealth/assassini, ottenendo 4700 punti per Ghost, 2050 per Assault e 5500 per Panther.
Chi ha il terrore del terrorismo?
Naturalmente non poteva mancare una storia in pieno stile Tom Clancy: c’è un nuovo gruppo terroristico che ha deciso di attaccare un obiettivo americano ogni settimana. Il nostro Sam viene coinvolto nel primo di questi attacchi, sopravvive e viene incaricato dal Presidente degli Stati Uniti di guidare il nuovo gruppo Fourth Echelon.
Si ritorna, in breve, all’organizzazione metodica e governativa dei primi Splinter Cell, abbandonando la vena anarchica e vendicativa di Conviction. Per la prima volta Sam si ritrova a fare il capo, un espediente narrativo che – a detta degli sviluppatori – dovrebbe rappresentare un motivo di interesse. Per la verità nel playtest non abbiamo potuto capire se e in che modo questo nuovo incarico inciderà sul gameplay: per il momento quello che abbiamo davanti è il solito Sam. Più maturo, persino più freddo che in passato, ma conscio del proprio ruolo e delle proprie capacità. Nel complesso non crediamo che la storia ci farà gridare al miracolo, ma è certamente un buon collante per tutte le missioni che ci vengono presentate.
Un gioco senza menù
Uno degli obiettivi di Ubisoft Toronto riguarda la possibilità di creare un gioco sostanzialmente privo di menù, nel quale il giocatore possa entrare e uscire in maniera fluida, senza accorgersi di passare dalla modalità giocatore singolo alla modalità multiplayer o coop.
Questo è possibile grazie a un supercomputer dislocato nella base volante dei Fourth Echelon, una sorta di hub dal quale è possibile selezionare le missioni da giocare in un ordine deciso dal giocatore, siano esse missioni single player, cooperative o Spies vs. Mercs. Se un nostro amico si trova connesso, possiamo immediatamente vederlo sulla mappa e accedere alla sua partita: in questo modo si evitano noiose lobby, ed è possibile capire immediatamente chi sta giocando e in quale teatro di guerra si trovi.
Sfortunatamente non abbiamo avuto la possibilità di provare il multiplayer del gioco a causa di un problema tecnico, ma abbiamo notato la presenza di missioni ibride single/coop, che permettevano di attivare percorsi alterntivi se giocate in compagnia di un amico. In altre parole, la rigiocabilità delle missioni cooperative sembra essere stata incentivata.
Gli sviluppatori, infine, hanno reso il gioco altamente personalizzabile: qualunque azione compiuta in gioco – sia in single che in coop che in multi – genera del denaro che può essere speso per sbloccare abilità, equipaggiamento (che migliora le capacità di Sam), gadget (tra cui un drone radiocomandato) e accessori per la propria base (che consentono, ad esempio, di attivare degli obiettivi secondari nelle missioni).
La fine di una generazione
Con ogni probabilità, questo sarà l’ultimo Splinter Cell dell’attuale generazione di console. Tuttavia, non sarà certo ricordato come il canto del cigno di PS3 e Xbox 360. Il gioco, nonostante la grande varietà degli ambienti, è risultato un po’ sottotono dal punto di vista delle texture e della qualtià dei modelli.
Anche se le varie mappe provate hanno presentato un’ampia varietà di ambienti, certi spazi – specie negli interni – sono risultati a prima vista anonimi. Alcune sezioni molto scure certamente non aiutano (si prenda, ad esempio, la lunga sequenza iniziale ambientata in un aeroporto di notte, durante la quale abbiamo dovuto aumentare la luminosità dello schermo).
Infine, qualche appunto sulla fisica: gli sviluppatori hanno volutamente tappezzato i livelli di oggetti che fanno rumore se urtati. Ma, a giudicare dalla velocità con cui si spostano dei grossi secchi di plastica appena sfiorati, Sam sembra un bulldozer intento a demolire una casa piuttosto che un letale e silenzioso assassino.
Infine, l’intelligenza artificiale non compie dei grossi passi avanti: i nemici seguono quasi sempre dei percorsi già predefiniti (dai quali, tuttavia, si scostano con facilità se messi in allerta) e la tristissima tecnica spara-al-tizio-aspetta-il-compagno-e-spara-anche-a-lui funziona alla perfezione.
Eppure, queste nostre tre ore in compagnia del signor Fisher e della sua squadra sono state molto intense e divertenti. L’arrabbiatura di fronte a una sezione di gioco quasi perfetta, rovinata da un nostro azzardo, è certamente molto stimolante e non vediamo l’ora di riprovarci. Se le sezioni in single player sono risultate appaganti, la modalità coop e il ritorno di Spies vs. Mercs aggiungono ulteriore pepe alla miscela. L’addio di Sam Fisher all’attuale generazione di console è certamente da tenere d’occhio.

– Molteplici modalità interessanti

– Stili di gioco differenti

A prescindere dall’approccio scelto dal giocatore, Splinter Cell: Blacklist è apparso un gioco solido. Con l’aggiunta di un multiplayer solido e di una modalità cooperativa capace davvero di incidere sulla longevità, le premesse sono davvero allettanti. Manca poco all’uscita, e quello che abbiamo visto è oltremodo promettente. Bentornato Sam.

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