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Medal of Honor: Warfighter

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a cura di Pregianza

Pubblicato il 07/06/2012 alle 00:00
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Los Angeles – Dire che il genere degli fps è affollato è davvero riduttivo. La categoria è praticamente un vaso di vetro pronto a esplodere, riempito per metà da una manciata di marchi famosissimi, e portato al limite da un quantitativo spaventoso di sfidanti alternativi, più o meno importanti. Nel gruppo dei “grossi” sguazza baldanzosa da qualche anno Electronic Arts, che è riuscita a fare la guerra alla corazzata Cod con due serie di alto livello, Battlefield e Medal of Honor. Seguendo la stessa strategia di Activision, EA ha affidato le sue proprietà intellettuali a due team di sviluppo differenti, che possono così dedicare più tempo alla creazione dei loro titoli e rispettare contemporaneamente la scadenza annuale imposta dal mercato videoludico. Una mossa piuttosto furba, che ha funzionato bellamente con Battlefield 3, ma non del tutto con il ritorno di Medal of Honor. Ora però Danger Close Games ha una seconda occasione per ribaltare la situazione, e raggiungere il livello dimostrato da DICE nella loro ultima opera con Medal of Honor: Warfighter, secondo capitolo della rinnovata serie. Sulle loro possibilità di riuscita siamo sempre stati molto scettici, non perché il gioco non avesse qualità, sia chiaro, ma perché dava l’impressione di essere un titolo estremamente poco ispirato e privo della benché minima peculiarità, difficilmente in grado di uscire dal pantano di cui il genere è strapieno. All’E3 però abbiamo avuto modo di provarlo a lungo, e il test ci ha reso nettamente più ottimisti. Ecco perchè.

Sei modi di affrontare la guerraLa presentazione tenutasi nello stand EA questa volta non mostrava la campagna in singolo, bensì il multiplayer del gioco, che punta molto sul patriottismo dei giocatori proponendo come personaggi giocabili i membri di specifiche squadre speciali appartenenti a varie nazioni. Inizialmente eravamo convinti che l’appartenenza ai vari gruppi fosse puramente estetica, poco più di una bandiera da attaccare alla casacca da soldato. Invece ad ogni team specializzato corrisponde una specifica classe, con armi e abilità molto ben definite ed efficaci. Per farvi un esempio, i Navy Seals sono pericolosi cecchini, mentre le squadre speciali australiane sono soldati d’assalto abilissimi nel combattimento dalla media distanza. Ogni personaggio dispone anche di due abilità uniche, una sempre disponibile e utilizzabile in qualunque momento durante la battaglia, e una sorta di killstreak attivabile dopo qualche uccisione, di solito di grande potenza. Noi ci siamo appassionati agli agenti SASR, in grado di utilizzare caricatori migliorati (che aumentano la potenza di tiro e di conseguenza il rinculo dell’arma), ma abbiamo testato anche altre classi, tra cui i poderosi GROM polacchi corazzati in grado di entrare in un “Tank Mode” che ne diminuisce mostruosamente la mobilità, ma raddoppia la resistenza ai colpi. Ogni singola abilità è interessante e ben applicata, anche se il succitato tank mode ci è parso un po’ sgravato, e alcune classi leggermente sbilanciate rispetto alle altre. Difficile a dirsi però in uno sparatutto, visto che la struttura delle mappe può favorire mostruosamente certe specializzazioni e penalizzarne altre. Sembra che in futuro gli operatori saranno addirittura 70, ma è complesso prevedere se saranno classi vere e proprie o semplici varianti estetiche delle specialità preesistenti. In generale dovrebbero essere 13 i team nazionali nel gioco finito, e quindi le scelte reali dovrebbero ammontare a quel numero. A sorprenderci comunque non sono state le truppe selezionabili, bensì il gameplay. Immaginatevi un misto ben riuscito tra la velocità di un Call of Duty e la risposta delle armi dei Battlefield, unita a una mobilità migliorata e estremamente precisa, che permette di saltare sopra ostacoli e di effettuare due tipi di scivolata (quella abusatissima a tuffo e una in ginocchio che permette di restare in piedi e raggiungere più rapidamente una zona vantaggiosa), il tutto unito al sistema a classi sopracitato e a una interessante meccanica a coppie denominata “Fire team”. Quest’ultimo sistema porta tutti i giocatori di una partita multiplayer a venire accoppiati a un altro membro del gruppo, che risulterà sempre visibile durante il match e farà guadagnare punti al suo compagno ad ogni uccisione. La meccanica permette di spawnare nella zona dove si trova il proprio partner e ha a tutti gli effetti la stessa utilità delle squadre di Battlefield 3, ma il numero è stato limitato per spingere i giocatori a muoversi in piccoli gruppi, visto che le mappe sembrano molto più ricche di cunicoli e intersezioni del normale, e l’azione favorisce l’abilità e riflessi individuali. L’esperienza in generale è stata divertente e ricca di tensione dall’inizio alla fine, e si è chiusa con l’incoronazione del team più abile e il solito calcolo dei punteggi generali (con noi e un altro redattore italiano in top tre, alla faccia degli americani che hanno lasciato fuori le nostre forze speciali dal gioco, tiè). Abbiamo inoltre apprezzato molto l’eliminazione del quick scoping dalle partite. Cecchini e soldati in grado di usare un mirino hanno sempre un minimo di pausa nel cambio di visuale, quindi non aspettatevi di dominare il mondo con un Mosin Nagant, verrete presi a palettate come una pignatta se non valuterete bene gli spostamenti. Insomma, il gameplay c’è, e anche se non innova non può che venir valutato positivamente da un amante del genere.Nulla da eccepire ovviamente sul comparto grafico. I ragazzi di Danger Close hanno preso il Frostbyte e l’hanno fatto loro, riuscendo a sfornare un titolo assolutamente spettacolare da un punto di vista visivo. Qualche imperfezione la si nota, e capita di veder raramente scomparrire un’ombra o sfarfallare una texture, ma sono piccolezze davanti al notevolissimo dettaglio dei modelli e alla definizione delle texture. La prova tuttavia era su PC, quindi preferiamo non gridare al miracolo finché non metteremo le mani sulla versione console, dove il motore dei DICE è sicuramente meno a proprio agio.

– Meccaniche ben calcolate e limatissime

– Tecnicamente notevolissimo

– Frenetico e divertente, ma comunque piuttosto tattico

– Ottimo sistema a classi

Medal of Honor inizialmente ci aveva dato l’impressione della solita minestra riscaldata. Dopo averlo provato abbiamo cambiato radicalmente idea. Il gameplay c’è, ed è solido e perfezionato come una statua del Canova. Le classi utilizzabili in sala si sono dimostrate ben calcolate e abbastanza uniche, e sia il bilanciamento delle meccaniche che la struttura della mappa disponibile ci hanno impressionato. Difficile dire se questa qualità rimarrà invariata per tutti i contenuti del gioco ma, se i ragazzi di Danger Close dovessero riuscire nell’impresa, questo sarà un titolo che gli amanti delle sparatorie online non dovranno farsi scappare.

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