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Recensione

Abyss Odyssey

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a cura di Pregianza

Pubblicato il 24/07/2014 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Se avete già avuto modo di provare i titoli dell’ACE Team in passato, sapete già che questi ragazzi cileni sono a dir poco allergici ai comuni canoni videoludici. Con giochi come gli Zeno Clash e Rock of Ages questa software house ha ormai dimostrato di avere una notevole personalità e di saper osare, anche se l’estro dei suoi programmatori non è mai riuscito a dar vita a reali capolavori. 
Oggi i nostri ci riprovano con Abyss Odyssey, un gioco forse meno folle dei progetti che l’hanno preceduto, ma non per questo privo di idee estremamente interessanti. Parliamo di un brawler a scorrimento che vuole mescolare una struttura da Vania a un platform e a un roguelike, con meccaniche da combattimento vicinissime a quelle di un picchiaduro 2D. L’idea vi stuzzica? Vale anche per noi. Dunque oggi cercheremo di capire se l’esecuzione è all’altezza del concetto alla base del lavoro. 
Se guardi nell’abisso… ci vedi un sacco di brutta roba
Dal punto di vista narrativo gli ACE non si sono sforzati più di tanto, e hanno deciso di costruire l’intera avventura attorno a un potente stregone assopito sul fondo di un abisso creato dalla sua stessa immaginazione. Nei panni di una giovane spadaccina proveniente proprio dalla mente del mago, comincerete ad esplorare il baratro allo scopo di eliminare la minaccia, supportati da un gruppo di coraggiosi soldati a guardia dell’entrata. 
La bella Katrien è però solo uno dei tre personaggi sbloccabili durante il gioco: ben presto le morti nell’abisso daranno vita a un monaco oscuro armato di spadone, e più avanti sarà possibile sbloccare persino una principessa degli oceani armata di alabarda. Ogni protagonista è dotato di abilità specifiche, che pian piano aumentano divenendo potenziabili, e vanno appaiate a una furba scelta di armi ed equipaggiamenti trovati durante la discesa. Quando parlavamo di elementi da Vania Game, infatti, intendevamo proprio la crescita dei personaggi, che salgono di livello ogni tot combattimenti vinti e raccolgono costantemente monete d’oro con cui è possibile acquistare svariati strumenti di morte dai venditori delle zone iniziali (peraltro non tutte sbloccate da subito), o utili oggettini dai mercanti sparsi per le stanze dell’abisso. 
La peculiarità maggiore comunque non risiede in questi elementi di crescita, bensì nel combat system, che si avvicina più a quanto visto in Smash Bros che a un Castlevania. Se vi sembra assurdo, allora considerate che il giocatore ha a disposizione attacchi normali e speciali, utilizzabili con la combinazione di tasto e direzione, una presa, una parata statica a “barriera”, e due schivate direzionali. Un sistema complesso, che si complica ulteriormente quando si sbloccano i “cancel” con cui gli attacchi normali possono venir interrotti dalle special e dalle manovre difensive, o ci si rende conto che negli scontri si possono eseguire addirittura parate perfette e attacchi improvvisi dopo una schivata. 
Sulla carta l’idea è favolosa, peccato che le meccaniche non risultino applicate alla perfezione. Gli impatti non ci sono piaciuti, con hitbox non sempre chiarissime e una mancanza patologica di colpi dotati di una potenza degna. Tutte le mosse, anche quelle più avanzate, sono utilitarie e mancano di spettacolarità: ciò riduce buona parte degli scontri alla sola ricerca della giusta distanza per l’attacco, rovinata inoltre in parte dall’intelligenza artificiale, che sembra spesso prevedere le mosse del giocatore e reagire all’istante (un po’ come facevano i boss finali dei picchiaduro SNK, per intenderci). Questa scelta degli sviluppatori è abbastanza limitata da non risultare frustrante, e il numero di meccaniche difensive garantisce comunque di non soccombere, ma in generale le battaglie sono lentine e prive di pathos. Non aiutano moltissimo le fasi platform, piuttosto banali nonostante la capacità degli eroi di eseguire salti doppi con tanto di schivate aeree. 
Un baratro ordinato
Già più curiosa la struttura del prodotto, che abbiamo giustamente avvicinato ai roguelike all’inizio dell’articolo. L’abisso è generato casualmente ad ogni entrata, con stanze di difficoltà variabile indicate dal loro colore. In ogni zona i nemici compariranno quasi a casaccio, bloccando la vostra avanzata con nette barriere finché non saranno eliminati. C’è una divisione ambientale delle zone man mano che si scende, ma gli ostacoli non sono particolarmente ostici, e si parla principalmente di qualche trappola sui muri o di laghi di lava posizionati di rado sulla vostra strada. 
Va precisato che non ci sono checkpoint automatici: la partita finisce quando si muore o si decide di interrompere, e una volta fatto si riparte dall’inizio, con l’unica differenza rappresentata dalle tre entrate disponibili, che permettono di saltare alcuni quadri iniziali. Alla morte però non si ricomincia subito, prima si prende il controllo di un soldato semplice, dotato di un moveset limitato, che può raccogliere l’arma del giocatore e riportarlo in vita arrivando a uno degli altari generati casualmente nella mappa. Non finisce qui poi, perché gli eroi sono dotati di un’altra curiosa abilità, ovvero la capacità di trasformarsi nei loro nemici una volta ottenuta la loro anima. Riempiendo una barra del mana e utilizzando una sorta di super attacco sugli avversari, è possibile prendere il loro spirito e usarne il moveset. Un potere utilissimo per mantenere alti i punti vita dei protagonisti (che non si rigenerano) specie quando si ottengono anime di nemici problematici. 
L’assenza di regen e la perdita dell’equipaggiamento ad ogni morte mantengono alta la tensione, ma l’avventura creata da ACE manca un pochino di varietà nonostante le buone idee di fondo. Con una spinta maggiore verso una specifica direzione forse gli sviluppatori avrebbero ottenuto un titolo più solido, invece così dall’inizio alla fine dà l’impressione di essere un progetto abbastanza grezzo, con molto potenziale sprecato. Non che non sia divertente, specie se giocato in compagnia, ma manca di quel guizzo geniale che contraddistingueva Zeno Clash e Rock of Ages, risultando solo un’opera discreta.
Almeno, dal punto di vista visivo, il gioco è estremamente particolare. Gli ACE si sono rifatti all’Art Nouveau, utilizzando tratti netti e colori accesi che donano una gran personalità al colpo d’occhio. L’impatto è tra lo “strano” e l’ispiratissimo, e se l’intento degli artisti del team era stupire è indubbio che ci siano riusciti. Discreta la longevità, derivante dal multiplayer e dalla generazione casuale del dungeon abissale, oltre che dalle difficoltà maggiori, ma dipende da quanto la formula di Abyss Odyssey riuscirà a catturarvi.

– Combat System complesso e inusuale per un brawler a scorrimento

– Mescola più generi in modo curioso

– Generazione casuale dei dungeon

– Art direction molto particolare e interessante

– Combattimenti abbastanza blandi

– Elementi platform piuttosto basilari

– Abbastanza ripetitivo, può annoiare

7.0

L’estro tipico degli ACE è evidente anche in Abyss Odyssey, ma questo progetto formato da una mescolanza di svariati generi ora della fine non riesce a trasformarsi in una zuppa saporita al punto giusto, a causa di combattimenti un po’ blandi e di una struttura non sufficientemente variegata. Un peccato, perché l’idea di fondo era brillante, e un maggior focus su certi elementi avrebbe potuto dar vita a un vero gioiellino. Così com’è, si tratta solo di un gioco discreto con qualche ottima trovata.

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