Una serie di sfortunati eventi

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a cura di Antron93

We’re living in a world of chaos. Questo è quello che avranno pensato i fratelli Baudelaire passando da un’avventura all’altra.
La prima stagione di A Series of Unfortunate Events è passata agli archivi. È tempo di tirare le conclusioni. 
Up and down
Come anticipato nello special sui primi due episodi, la serie è davvero spettacolare. I Baudelaire mi hanno convinto sempre di più col passare delle puntate e si sono dimostrati all’altezza del precedente trio del film omonimo. L’istrionicità di Neil Patrick Harris è sempre stata indubbia ma se la serie si dimostra così interessante è anche grazie a lui: canta, balla, si camuffa e si traveste. Una macchietta irresistibile che non fa rimpiangere Jim Carrey neanche per un istante e che rimane il vero e proprio protagonista della serie TV. Forse la scelta più azzeccata del cast. 
Nota dolente: i personaggi secondari. Zio Monty e Zia Josephine, per quanto bravi, non sono all’altezza dei precedenti attori: beh, direte voi, nel film del 2004 avevamo Billy Connolly e Meryl Streep e non posso che darvi ragione. Piacevolissimo il ritorno di Catherine O’Hara, grande attrice che ha accompagnato la mia infanzia, e che era presente anche nel 2004 ma in un altro ruolo, quello del giudice Strauss ora andato a Joan Cusack. Il resto dei personaggi passano decisamente inosservati e in sordina. 
Per quanto riguarda Lemony Snicket, Patrick John Warburton è la scelta migliore che potessero fare.  La sua voce calda è perfetta. Non per nulla il doppiaggio è sempre stato uno dei suoi ruoli principali. Interessante come, andando avanti con gli episodi, pare che il suo ruolo sia sempre più ampio.
Gli autori ci mettono davanti al trolling più grande della storia delle serie TV ma non voglio rovinarvi il tutto nel caso ancora non abbiate visto nulla.
Vi assicuro che, nonostante i primi sei episodi abbiano la stessa trama del film, non vi annoierete. Tenete duro e aspettate il settimo episodio in cui, finalmente, assisteremo a del materiale totalmente inedito. Proprio qui assisteremo alla parabola più paradossale: la segheria Ciocco Fortunato e i suoi operai.
Tim Burton e Wes Anderson
A volte sembra di assistere ad un film di Tim Burton, a volte ad uno di Wes Anderson. È come se i due avessero deciso di fare l’amore e avessero partorito una serie TV dark ma allo stesso tempo dai colori pastello. I personaggi sono irreali e grotteschi come in Edward mani di forbici e Grand Budapest Hotel. Tutto viene curato nei minimi particolari e si vede l’elevato budget messo a disposizione di Sonnenfield. Costumi e macchine ricordano gli anni ’60 ma alcuni macchinari sono chiaramente di ispirazione steampunk.
 
Cura maniacale
Fare 8 episodi basati su 4 romanzi è stata una scelta vincente. Il film del 2004 soffriva della volontà di condensare tanti avvenimenti in poco tempo e la differenza dalla serie TV si nota. Viene dato tantissimo spazio ad eventi secondari dei libri e questo non fa che ampliare la storia e farci capire che qualcosa sta succedendo. La serie di sfortunati eventi che colpisce i ragazzi Baudelaire non può essere casuale. Il conte Olaf punta alla loro fortuna ma ha a che fare con il passato dei genitori degli orfani. L’occhio ritorna più di una volta: prima sulla caviglia del conte, poi sulla torre del Ciocco Fortunato, poi sui cannocchiali e nella foto di Zia Josephine. La società segreta di cui facevano parte i coniugi Baudelaire sembra essere la questione fondamentale dell’intera serie pur passando in sordina molto spesso. Che il conte Olaf facesse parte di questa organizzazione? Che codici sviluppano i Baudelaire? Perché erano così legati con Josephine e Monty?
Secondo le ultime dichiarazioni Max Hadis, Sonnenfeld e Daniel Handler sono al lavoro sulla sceneggiatura della seconda stagione. Non ci resta che augurarci che i nuovi episodi si mantengano sullo stesso livello e che ci facciano divertire quanto i primi 8.

In definitiva, Una serie di sfortunati eventi è una delle serie comedy più belle sviluppate da NETFLIX, il ritmo è serrato ma non troppo incalzante, e ci ricorda come un remake a volte possa essere più bello dell’opera precedente. Per citare Neil Patrick Harris/Barney Stinson: Nuovo è sempre meglio!