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Recensione

Sacred Odyssey: Rise of Ayden

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Editor

Pubblicato il 27/02/2011 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Messa al bando l’originalità dei contenuti in favore di titoli di grande spessore, che tuttavia riciclano elementi fondanti di alcuni tra i migliori titoli sul mercato, Gameloft ha saputo segnalarsi come uno dei più prolifici e apprezzati sviluppatori per piattaforme iOS, portando sugli schermi di tutti gli utenti Apple alcuni tra i giochi universalmente riconosciuti come i migliori esponenti del loro genere sullo sconfinato Appstore, come i due Real Racing e i due N.O.V.A.Stavolta è toccato ad un genere molto amato dal pubblico, come quello degli action adventure a là Zelda, e la citazione non è affatto un caso.

In groppa a Miya e MotoDa più parti, negli ultimi due anni soprattutto, la softco francese è stata accusata di agire ai limiti del plagio, prendendo di peso spunti di gameplay da titoli già visti su console sia casalinghe che portatili e importandole nei propri prodotti: stavolta, non senza una buona dose di ironia, Sacred Odyssey: Rise of Ayden si configura più come un ossequioso omaggio che come una becera scopiazzatura, e questo appare evidente nella scelta dei nomi dei due destrieri che accompagneranno il nostro alter ego nel corso dell’avventura, ovvero Miya e Moto. Ma andiamo con ordine: la storia attorno a cui ruota il titolo non è delle più pregnanti, e vede il solito contadino coraggioso ma inesperto divenire, inconsapevolmente, l’ago della bilancia in una sfida tra il bene e il male, con tanto di principessa da salvare. Ayden inizia la sua avventura ne piccolo borgo rurale dove lo zio lo ha cresciuto, dopo che il padre, prode combattente nella grande guerra contro gli orchi, è passato a miglior vita. O almeno così si crede… Le vere origini del ragazzo e il destino cui è andato incontro il padre si sveleranno gradualmente con il prosieguo dell’avventura, infarcita di luoghi comuni e con un gran numero di personaggi non giocanti che però, allo fin dei conti, servono solo a dispensare missioni alternative, senza dare un reale contributo alla trama del gioco. Ma d’altronde, visto che si è citato Miyamoto, non è che i vari episodi di Mario o Zelda usciti negli anni abbiano brillato per originalità e profondità dei loro archi narrativi, e nondimeno sono dai più considerate pietre miliari imprescindibili nella storia dei videogiochi.

Metti Link nella Terra di Mezzo…Sacred Odyssey si presenta, sulle prime, come il classico gioco di avventura con una spruzzatina di elementi GDR, con un’ambientazione che deve molto alle atmosfere tolkeniane, controbilanciate da uno stile di gioco e dei combattimenti che invece sembrano copiati e incollati da una qualsiasi delle avventure tridimensionali di Link, in particolare Ocarina of Time. Il tutto contornato da un mondo molto vasto da esplorare, con una certa libertà di movimento, popolato di orchi, coboldi, contadini con mille favori da chiedere e praterie verdi da lasciarsi alle spalle in groppa al nostro fido cavallo: il sistema di combattimento è in tempo reale, e nella sua estrema semplicità, finisce con l’annoiare relativamente presto. Il button mashing è incoraggiato dal gioco per sbarazzarci dei nemici, pur potendo contare su un sistema di controllo affidabile e preciso, manca di profondità, e riduce gli scontri a un mero esercizio in men che non si dica. L’accento è piuttosto puntato sugli enigmi, di cui sono infarciti i dungeon e, in generale, il mondo di gioco, ben congegnati e degni eredi di quelli di zeldiana memoria, e la possibilità, invero non troppo comune tra i prodotti presenti oggi su App Store, di spaziare più o meno a piacimento in un mondo decisamente sovradimensionato per una piattaforma di gioco portatile, quale ormai iPhone va considerato. E allora, più che il contenuto dell’ennesima missione di sterminio di orchetti, il gusto sta nel trovare colui che ce la affiderà, nascosto dietro la casa più recondita dell’ultimo villaggio esplorato, tanto quanto darà molta più soddisfazione la risoluzione dell’enigma che ci impedisce il passaggio in una cava di rocce, piuttosto che lo scontro con la legione di simil – Uruk Hai che potrebbe seguire. In questo senso, esattamente come nei classici titoli Nintendo cui Gameloft non fa mistero di ispirarsi, gli scontri con i boss restituiscono, con gli interessi, l’appagamento che quelli con i nemici comuni fanno mancare: gli enormi nemici posseggono ognuno un pattern d’attacco ben preciso, che andrà studiato e a cui bisognerà opporre, di volta, in volta, le giuste contromosse, pena un inevitabile e inglorioso Game Over. La scarsità di oggetti collezionabili e la poca profondità ruolistica che il titolo offre sono in quest’ottica dei difetti di gioventù, imputabili più alla natura stessa del prodotto che ad una scarsa cura in sede di realizzazione: nonostante l’ambientazione possa facilmente trarre in inganno, insomma, Sacred Odyssey non ha nulla del gioco di ruolo di scuola occidentale, come Baldur’s Gate o Morrowind, e quindi non c’è da stupirsi se il design del bestiario non impressiona e se la gamma di armi disponibili manca in più di un’occasione.

Un regno in punta di ditoSettati di recente i nuovi standard grafici di riferimento per le piattaforme iOS, Sacred Odyssey si candida a una piazza d’onore: lontano dai fasti visti recentemente in titoli come Dead Space o Infinity Blade, l’ultima fatica Gameloft riesce comunque a distinguersi per pulizia degli ambienti di gioco, la chiarezza della linea dell’orizzonte e solidità del motore grafico, che, pur non dovendo gestire mai più di 4-5 modelli tridimensionali a schermo, si comporta egregiamente, assicurando un frame rate costante e un discreto livello di dettaglio. Nella media, ma tendente al basso, invece, il doppiaggio, con voci a volte eccessivamente sopra le righe o fuori contesto, su tutte quella dello zio del protagonista, personaggio non giocante che svolgerà un ruolo di una certa importanza soprattutto nelle prime fasi di gioco. Il gioco è distribuito con la modalità Freemium, che la software house ha già sperimentato con successo: l’applicazione può essere scaricata gratuitamente, e questo darà il diritto a provare il gioco per i primi 15 – 20 minuti iniziali, in cui, però, passeremo più tempo a leggere i dialoghi introduttivi che a giocare davvero. Al termine di questo breve periodo di prova, potremo scegliere di acquistare il gioco completo al prezzo di 5,49 euro direttamente dal menu in-game, con una soluzione pratica e che, ne siamo sicuri, garantirà un ottimo ritorno in termini di vendite, anche a fronte della oltre 10 ore richieste per completare il filone principale dell’avventura.

– Un mondo vasto e avventuroso nella vostra tasca

– Enigmi che il buon vecchio Shigeru approverebbe

– Boss fight coinvolgenti

– Motore grafico senza incertezze

– Elementi RPG poco approfonditi

– Combattimenti ordinari ripetitivi

8.0

Sacred Odyssey: Rise od Ayden è un prodotto ben confezionato, riuscito in quasi tutte le sue componenti e che saprà regalare delle ore di divertimento a quanti amano i giochi sulla falsariga di Zelda, a patto di non aspettarsi nulla di rivoluzionario o di particolarmente profondo, soprattutto sul versante prettamente ruolistico.

Al contrario, se quello che cercate sono dungeon ben disegnati, enigmi impegnativi e soddisfacenti, una sensazione di libertà (più avvertita che effettiva, a dirla tutta) e grandi cavalcate che vi faranno tornare con la mente e il cuore ad Hyrule anche mentre siete a tre fermate di metro da casa, allora questo è il titolo che fa per voi, soprattutto se possedete un iPhone 4, il cui Retina Display dona ancora più luce e vita al mondo senza tempo in cui Ayden, Miya e Moto si muovono.

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