Recensione

Pocket Card Jockey

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Quando Game Freak viene affrancata dall’obbligo di portare avanti il filone della sua saga più famosa e remunerativa, quei Pokemon che hanno stregato milioni di adolescenti in tutto il mondo, riesce a dar vita a prodotti freschi, simpatici, che alternano soluzioni ludiche consuete (Tembo The Badass Elephant) ad altre assai meno convenzionali (HarmoKnight).Con Pocket Card Jockey, però, si è ampiamente passato il limite della follia, entrando in territori inesplorati a livello videoludico: avete mai giocato ad una versione semplificata del solitario (sì, quello con le carte, che c’è anche in Windows) e, contemporaneamente, condotto una scuderia al successo nel più famoso Derby dell’anno?Beh, adesso potete. Se avete un 3DS, s’intende.

Manca solo Morgan FreemanIl tono della produzione e l’umorismo dissacrante (che perde qualcosa perché il gioco, stranamente per gli standard Nintendo, non è localizzato nella nostra lingua) sono evidenti già dai primi quindici minuti di gioco e dalla stranezza dell’incipit delle vicende: nei panni di un fantino assai poco capace (anche un po’ duro di comprendonio, a dirla tutta), troveremo un manager pronto a darci fiducia, concedendoci il peggior ronzino della sua scuderia per una prova pre-gara.Nemmeno il tempo di salire in groppa all’animale e saremo prima scalciati via e poi schiacciati da tutto il resto del gruppo, passando a miglior vita.Qui, un angelo dotato di grande sarcasmo (probabilmente ispirato al Morgan Freeman visto in “Una settimana da Dio”), ci riporta in vita, ma, rendendosi conto dell’inettitudine del nostro alter ego, gli chiede cosa gli piaccia fare nella vita, così da tentare di facilitarlo per non farlo morire nuovamente.Quando il fantino gli risponde che gli piace giocare al solitario, l’angelo gli consente di guidare i cavalli tramite le carte, così da evitargli altre morti violente: parte così uno strambo incrocio tra un puzzle game basato sulle carte ed una profonda simulazione sportiva, che consente dal giocatore di cimentarsi all’infinito con cavalli di vario tipo, accrescerne le capacità e guidarli fino alla vittoria nei più prestigiosi tornei ippici.Ogni personaggio che incontreremo strapperà un sorriso, dal business man permaloso alla ragazzina svogliata, spezzando bene il ritmo delle gare con delle battute al fulmicotone e giochi di parole assai spassosi, che purtroppo solo quelli che masticano un discreto inglese riusciranno a cogliere.Sebbene sia comprensibile che per un titolo tanto di nicchia non ci si sia adoperati per una traduzione completa, è pur vero che la grande N ha abituato il suo pubblico molto bene negli anni: in ogni caso, la lingua d’Albione presente nel gioco è abbastanza semplice, e le dinamiche così intuitive da non rendere la barriera linguistica un ostacolo insormontabile.
MandrakataIn poche parole, nonostante un tutorial inutilmente farraginoso, Pocket Card Jockey si gioca così: sullo schermo inferiore ci si cimenta in punta di pennino ad una versione semplificata del classico Solitario, in cui concatenare carte vicine (un tre può essere legato ad un quattro ed un due, un sei ad un sette e ad un cinque e così via) per pulire lo schermo da tutte le carte presenti.In caso nessuna si leghi alle carte su schermo, è possibile pescare da un mazzo finito, al termine del quale perderemo la partita.Nel frattempo, sullo schermo superiore, il nostro fantino sprona il cavallo nella corsa, divisa in una fase di partenza, in cui ottenere bonus in un tempo limite di quindici secondi circa, una fase centrale, in cui dosare le forze e tentare di posizionarsi nella cosiddetta “comfort zone”, e nel rush finale, in cui picchiettare come degli sciamannati per infondere nel cavallo le energie ricavate dal completamento del solitario.Il prodotto non disdegna sottili elementi ruolistici, peraltro: le tre modalità principali si distinguono per l’età del cavallo e per le possibilità di crescita, così da gestire tutte e tre le fasi del ciclo vitale degli animali, in maniera sorprendentemente rispondente alla realtà.In Growth Mode il giovane ronzino può crescere e vedere migliorare le sue statistiche di base, tramite l’allenamento e le corse disputate, e da questa modalità che si ripartirà ogni volta che si aggiungerà un cavallo alla propria scuderia.Raggiunta una certa età, l’animale smette di migliorare, assestandosi sugli standard raggiunti: qui siamo nel regno del Mature Mode, dove è possibile gareggiare nelle competizioni più prestigiose, con un entry fee ed un premio finale consistentemente più elevati di quelli visti in Growth Mode.Infine, c’è la dorata pensione: dopo tre sconfitte in Mature Mode, il cavallo è costretto a ritirarsi dalle gare, iniziando a fare lo stallone nella Farm così da generare degni eredi, che andranno ad ingrossare, a loro volta, le fila della nostra scuderia.Il ciclo è sempre lo stesso, e anche il gameplay, digerite le basi, non si evolve in alcun modo, generando un senso di stagnazione tipico dei giochi mobile già dopo sette/otto ore, che comunque non sono poche, considerando il costo e le ambizioni del progetto.Spesso, poi, soprattutto durante le gare più probanti all’interno del Mature Mode, si ha la sgradevole impressione che il peso del caso sia eccessivo, vanificando la pianificazione e la crescita messe in atto per assicurare al proprio cavallo almeno un buon piazzamento: se non pescate bene nel Solitario sullo schermo inferiore, insomma, se anche aveste Varenne a correre in quello superiore, ci sarebbe ben poco da fare.
Stile e folliaLa cosmesi del titolo riflette lo stile e la follia che trasudano da ogni altra componente del gioco: colori brillanti, un character design molto carino per quanto concerne i cavalli e altrettanto bizzarro per gli umani, ridotti a macchiette con espressioni degne del miglior manga giapponese.A sorprendere è piuttosto la colonna sonora, che alterna musichette senza pretese da sala d’attesa del dentista a dei pezzi epici che sembrano usciti dal più colossale dei giochi di ruolo giapponesi, soprattutto durante le gare di maggior pregio e nei cento metri finali di ogni gara.Considerando i valori produttivi ed il costo finale del prodotto (poco meno di sette euro), non ci saremmo aspettati tanta epicità all’improvviso.Menzione finale per la longevità, potenzialmente infinita, anche se la ripetitività è un problema da non sottovalutare. se fruito in brevi sessioni, comunque, Pocket Card Jockey potrebbe tenervi impegnati più a lungo di titoli assai più blasonati che costano dieci volte tanto.

Ha stile da vendere

Può diventare una droga…

Potenzialmente infinito

Il caso ha spesso troppo peso

…se la ripetitività non vi spaventa

Solo in inglese

7.0

Come tutti i puzzle game di qualità, Pocket Card Jockey parte da un’idea semplice ma geniale, capace di assorbire completamente il giocatore durante le prime ore di gioco, quando le novità e la freschezza della formula fanno pensare di trovarsi dinanzi al nuovo Tetris.

Con il passare delle ore, invece, la ripetitività comincia a farsi largo, tanto da accorciare le sessioni di gioco sempre più per ovviare ad una formula tanto accattivante nel breve periodo quanto priva di mordente sul lungo.

In ogni caso, un prodotto bizzarro e coraggioso, punteggiato da uno humour dissacrante, che, per quello che costa, val bene una prova da parte di tutti coloro che hanno un interesse anche minimo nei confronti dei cavalli…o del solitario.

Voto Recensione di Pocket Card Jockey - Recensione


7