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Recensione

Necropolis: A Diabolical Dungeon Delve

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Avatar di Daniele Spelta

a cura di Daniele Spelta

Redattore

Pubblicato il 15/07/2016 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6

Necropolis: A Diabolical Dungeon Delve è allo stesso tempo un roguelike ed un Souls Like. Avete capito bene, il nuovo titolo sviluppato da Harebrained Schemes fonde in sé due fra i sottogeneri più punitivi e complessi dell’attuale panorama videoludico, riprendendo dal primo meccaniche come il permadeath ed i livelli procedurali e dal secondo il combat system, tanto apprezzato quanto oramai scopiazzato a destra e a manca, una storia criptica ed oscura, anche se raccontata con una vena di umorismo e sarcasmo lontana dagli stilemi di Miyazaki, gli elementi ruolistici e la classica visuale in terza persona. Purtroppo però, il fegato rovinato dopo vari tentativi, morti, nuovi tentativi ed altre morti ancora non è stato il vero problema, per lo meno non quanto lo è stato quel terribile senso di ripetitività che attanaglia ogni anfratto dei dieci livelli scarsi che compongono il mondo di Necropolis.
Souls (dis)like
Come in ogni roguelike che si rispetti, la storia c’è ma ha ben poca importanza e fa niente il tentativo di celare i misteri ed i segreti che popolano i dungeon dietro a delle parole apparentemente scombussolate che fuoriescono da una piramide gigante. perché tra un fendente e l’altro, la voce narrante diventa in poco tempo solo un rumore di sottofondo; gli sberleffi che provengono da essa non hanno alcuna rilevanza – per di più non fanno nemmeno ridere –  e si avanza nelle profondità di Necropolis solo per sbloccare nuovi oggetti e per avere armi più importanti, non tanto per scoprire come si conclude la linea narrativa. 
Il primo impatto con la creatura di Harebrained Schemes è piuttosto brusco: abbiamo uno scudo di livello zero, una spada di livello zero e non vi alcun tutorial prima che uno scheletro ci assalti. Per fortuna, lo schema dei comandi è pressoché identico a quello che abbiamo imparato ad apprezzare nei vari Souls, non ci si mette molto a prenderne confidenza e si basa sulla classica combinazione di attacchi veloci ed attacchi potenti, parate, parry e schivate. Le somiglianze però terminano sul nascere, perché bastano pochi minuti per rendersi conto che il feeling è ben diverso, che i combattimenti sono tutt’altro che rapidi e dinamici; essi sono al contrario caratterizzati da una estrema lentezza e legnosità (fattori che premiano un approccio più ragionato ma non certo la spettacolarità) nonché da una leggerezza dei colpi, causata in primis da vistose compenetrazioni poligonali. 
Sono presenti anche la barra della stamina, quella della vitalità, gli attacchi caricati, le pozioni, le pergamene magiche, svariate armi e scudi ma anche essi non sono che una sbiadita copia di quello che è presente nei vari Souls: forse potreste appuntarci che paragonare la pluripremiata serie sviluppata da From Software con Necropolis sia un colpo basso, ma quando è lo stesso gioco a sbatterti in faccia continui rimandi – casse, lucertole, trappole – è impossibile esimersi. Prendiamo ad esempio in considerazione le armi: nonostante ne esistano di varie tipologie, come spade lunghe, corte o ricurve ed alcune anche dotate di poteri elementali, nonostante siano state divise in quattro tier in base alla loro forza, il moveset rimane pressoché identico, non si ha mai presente quale sia il danno che si sta infliggendo ai nemici e non si capisce inoltre se un’arma di livello quattro sia più efficace di un’altra di livello uno, creando in tal modo non poca confusione. Confusione: tenete bene a mente questa parola perché ne riparleremo. 
Un ulteriore punto negativo in merito ai combattimenti e che soprattutto influisce pesantemente sulla ripetitività è il continuo riciclo degli stessi nemici, che annulla quasi del tutto l’effetto novità che dovrebbe derivare dalla generazione procedurale dei livelli: cambiano gli elementi dello scenario, variano i loot e la disposizione dei nemici è differente, ma se questi ultimi sono sempre i soliti quattro o cinque, il cuore dell’azione rimane sempre lo stesso. 
Per spiegare meglio un ulteriore punto di debolezza di Necropolis, torniamo un attimo all’armamentario: oltre alle varie armi da corpo a corpo, c’è anche la rara possibilità di recuperare una balestra e di far fuori un elevato quantitativo di nemici da debita distanza, visto che essi, a causa di una intelligenza artificiale molto sottosviluppata, tendono spesso ad incastrarsi in quasi tutti gli anfratti dello scenario, anche nel più piccolo dei gradini. Non aspettatevi quindi raffinate tattiche di accerchiamento o chissà quali altri movimenti perché, anche quando gli avversari si accorgono della vostra presenza, semplicemente sciamano verso di voi. O meglio, cercano di farlo, perché alle volte falliscono. Inoltre, affannarsi in pericolose acrobazie o attacchi concatenati spesso si rivela controproducente e nella nostra esperienza con Necropolis vi assicuriamo che le partite più longeve le abbiamo effettuate quando ci siamo attenuti ad un unico schema: scudo alzato, attacco leggero e passo indietro, e via a ripetizione. Concludiamo però con un pregio del combat system di Necropolis: per rendere l’azione più tattica, il team di sviluppo ha fatto sì che anche i nemici possano infliggersi danni a vicenda e sfruttare questo vantaggio nei momenti di caos si è rivelato il più delle volte una mossa vincente. 
 
E che dio me la mandi buona…
In precedenza abbiamo parlato di confusione in merito al combat system, ma questo non è l’unico aspetto sul quale i punti di domanda piovono copiosi. Infatti, in Necropolis le pozioni, i consumabili, le armi e i codici sono avvolti da un pesante velo di mistero e ci è capitato di frequente di utilizzare uno di questi oggetti non avendo la minima idea di quali fossero gli effetti, con risultati spesso controproducenti, come ad esempio un conato di vomito nel bel mezzo di uno scontro o, peggio ancora, la completa paralisi del nostro personaggio. In fin dei conti, questa non è una assoluta novità in un roguelike, ma Necropolis riesce anche ad andare oltre: durante la partita, nonostante il permadeath, i codici sbloccati che garantiscono dei potenziamenti passivi non vengono persi; peccato che anche leggendo più volte tutta la descrizione – tradotta in italiano come tutti i testi del gioco – e utilizzandoli per intere run, non abbiamo capito in alcun modo come ci potessero aiutare e per di più molti non hanno nemmeno un impatto visivo tangibile né un riscontro sulla pelle del nemico. Il risultato di tutto questo è che, nonostante il sistema di crafting presente nel gioco permetta di creare con le risorse raccolte svariate pozioni (così come l’unico NPC venda un buon quantitativo di oggetti), si finisce sempre con il creare solo ed esclusivamente quello di cui ci si fida, ossia la pozione del vigore e dei cosciotti di pollo che rigenerano la vitalità e la stamina, dato che anche quest’ultima si consuma con gli attacchi caricati. Oltretutto, se ridotta eccessivamente, non garantisce una adeguata difesa nemmeno contro pochi fendenti. 
Trattandosi di un rougelike con chiari rimandi al mondo dei Souls, è impossibile non aprire la parentesi sulla difficoltà: Necropolis è sì un titolo che mette il giocatore alle corde, ma non esattamente come dovrebbe. Non servono riflessi al fulmicotone per schivare gli attacchi dei nemici ed il loro moveset si limita a poche variabili. Allora perché in Necropolis si muore che è un piacere? Per due motivi precisi. Mano a mano che avanzavamo nei livelli e scendevamo sempre più nelle viscere di quel mondo oscuro, ci aspettavamo che il livello di difficoltà aumentasse grazie a dei nuovi avversari sempre più corpulenti e pronti a farci a fette con un solo colpo, ma ci sbagliavamo di grosso, perché l’unica trovata che hanno messo in piedi gli sviluppatori per alzare il livello di sfida è stata quella di gettarci addosso orde sempre più numerose di nemici mentre ci trovavamo con le spalle al muro e con una telecamera che impazziva negli angoli ciechi, ed ecco che in men che non si dica appariva la scritta game over. La trovata non è certo delle migliori, ma almeno non è scorretta quanto la seconda, ossia il colpo basso di far spawnare (scusateci il brutto termine) alle spalle nel personaggio una miriade di mostri di ogni genere, anche se quell’area era stata ripulita pochi secondi prima. 
In compagnia si muore meglio
Giocato da soli, Necropolis non riesce a catturare fino in fondo il giocatore, vuoi per delle meccaniche RPG appena abbozzate – non esistono infatti né un sistema di livellamento né delle statistiche – vuoi per un combat system con più alti che bassi ed il rischio che, una volta finito il gioco, lo si abbandoni ignorando le differenze che vi sono tra una run e l’altra è quanto mai elevato. Se si è però in compagnia di altri tre amici, l’esperienza muta profondamente e Necropolis, nella sua componente co-op, riesce a dare il meglio di sé, anche grazie ad alcune trovate molto interessanti, una fra tutte il “fuoco amico”. Con quattro mani che menano a destra e sinistra si abbattono molti più mostri, ma l’assenza di coordinazione e di un piano comune di attacco fa sì che ci si getti tutti allo stesso tempo sul medesimo nemico, che cade sì velocemente, ma al prezzo di molti danni inflitti ai compagni di viaggio. Interessanti inoltre la possibilità di riportare in vita i membri del party – meccanica che rende meno frustrante Necropolis – e di scambiarsi a vicenda gli oggetti creati o recuperati in giro per i livelli. In sintesi, il nostro consiglio è quello di assicurarsi di avere dei giocatori con cui tuffarsi assieme nei dungeon di Necropolis prima di ritrovarsi tutti soli e soletti ad affrontare un mondo dove prevalgono la ripetitività e la monotonia, elementi in qualche modo mitigati però dalla buona direzione artistica, la quale garantisce a Necropolis uno stile unico e tutto suo, grazie ad una palette di colori semplice ma funzionale, anche se negli scenari spicca un eccessivo riciclo degli asset, con le architetture composte da pochi poligoni che aumenta il senso di dejà-vù. Dal punto di vista prettamente tecnico c’è invece ben poco da dire, in quanto Necropolis non spicca certo per effettistica o texture in alta risoluzione, ma anzi si segnalano fastidiosi pop-in e pop-out.

– Visivamente accattivante

– La co-op è una vera manna

– Buon livello di sfida…

– … Anche se per i motivi sbagliati

– Combattimenti lenti e poco vari

– IA dei nemici molto deficitaria

6.0

Sulla carta, Necropolis aveva tutto in regola per essere un ottimo titolo e la premessa di fondere in sé due sottogeneri complementari come i roguelike ed i Souls Like aveva attirato su di sé non poche attenzioni. A conti fatti, il titolo di Harebrained Schemes non riesce però ad eccellere proprio in quei punti dove invece ci si aspettava di più, ossia il combat system, lento e poco vario, e le meccaniche RPG, solo abbozzate, se non del tutto assenti. Se a questo aggiungiamo un senso dell’umorismo poco contestualizzato e che non fa altro che rendere criptico oltremodo l’utilizzo delle pozioni e dei codici, la situazione non fa che peggiorare. Per fortuna, non tutto è da buttare via: alcune introduzioni differenziano Necropolis dagli altri titoli di questo genere, la direzione artistica ci ha convinto in gran parte e soprattutto in cooperativa il gioco riesce a dare il meglio di sé e presenta un lato tattico che non ci aspettavamo nelle prime battute.

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