Detroit, la città degli androidi raccontata da Adam Williams

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a cura di Gottlieb

Una città, tre protagonisti, una storia di libertà e di umanizzazione. Adam Williams, lead director di Detroit: Become Human, ha affiancato David Cage nella stesura della sceneggiatura del nuovo titolo di Quantic Dream. Un’esperienza nuova, per tutti, soprattutto per lui che è al suo primo videogioco dopo una carriera nella produzione televisiva. Adam è arrivato a Milano, quasi a conclusione del suo tour del mondo in pochissimi giorni, per presentare alla stampa Detroit e raccontare quello che hanno visto nella città americana e cosa vorrebbero che i videogiocatori vedessero. Lo abbiamo intervistato chiedendogli alcuni aspetti focali attorno ai quali far ruotare l’importanza di diventare umani. 

Adam, prima di tutto vorremmo sapere se i tre personaggi sono collegati tra di loro. Avremo una sola grande storia con tre protagonisti o tre diversi punti di vista?“I personaggi offrono una prospettiva diversa di questa crisi che abbiamo deciso di raccontare: ognuno di loro rappresenta un’emozione particolare e le ragioni che muovono gli androidi a questa rivoluzione. Connor lavora con gli umani, Markus sta lottando per la salvezza, quindi lotta per le persone oppresse, infine Kara cerca qualcosa che sta nel mezzo: da un lato protegge gli umani, dall’altro deve fronteggiare l’oppressione degli stessi. Sono collegati nel senso che si muovono tutti e tre nella medesima direzione, ma il nostro modo di pensare la narrazione va oltre: non spoilero nulla, perché dovrà essere scoperto nel tempo”.

Forse per la prima volta in un titolo di Quantic Dream la città assume un ruolo fondamentale nelle vicende. In che modo questo può andare a influenzare il gameplay e perché avete scelto proprio la città di Detroit per ambientare il vostro nuovo gioco?“Se volessimo fare delle differenze con Beyond e con Heavy Rain noteremmo subito che lì l’avventura si concentrava su pochi personaggi; questa volta, invece, siamo dinanzi a dei personaggi che condizionano l’intera città. Pensiamo che Detroit sia il nostro quarto protagonista, così come la società che la popola. Gli androidi sono ovunque e la storia ha effetto su qualsiasi cosa. Le scelte che faremo andranno a inficiare il futuro dell’intero mondo, non soltanto dei nostri protagonisti. Detroit è stata scelta perché ha un senso di sviluppo molto forte: lì è dove la CyberLife, la città che produce gli androidi, ha deciso di stabilire il proprio HQ: da qui è partita la produzione dell’automobile e a oggi è ritenuta la capitale dell’automobilismo. La tecnologia ha cambiato tutto, sia nell’attuale Detroit che nella nostra: scegliere questa città è stato fondamentale perché rappresenta una dichiarazione molto forte da parte di tutti gli androidi”.

La più grande lamentela che spesso si muove nei confronti di Quantic Dream risiede nel fatto che è come se stessimo guardando un film e non giocando a un videogioco. Come vi fa sentire questo feedback e in che modo, secondo te, Detroit può cambiare questa percezione?“La definizione tra l’essere passivo e l’essere attivo è molto importante: la nostra filosofia è quella di permettere al giocatore di essere molto più attivo di quanto accaduto prima. Ci sono due aree d’azione: la storia e ciò che farai nella storia, per assicurarsi che il giocatore possa compiere milioni di scelte e che ognuna di esse avrà una conseguenza. In termini di gameplay mettere il giocatore nella facoltà di controllare qualsiasi cosa è fondamentale: c’è più interattività rispetto ai nostri precedenti lavori, soprattutto c’è più libertà di andare dove si vuole e fare quello che si preferisce fare. Così facendo si permette di avere maggior immersione nel personaggio e lo si sente più vicino. Allo stesso modo ci sono diversi androidi e quindi diversi elementi da tenere in considerazione: ognuno di essi ha un modo diverso di approcciare il mondo, il che aumenta tantissimo il gameplay”.

Utilizzando gli androidi come personaggi principali avete la possibilità di esplorare quell’incredibile universo che circonda i comportamenti degli androidi stessi. Parlando di riferimenti, a chi e a cosa vi siete ispirati per creare questo mondo? E per favore non dire Asimov.“Non si può non parlare di Asimov! (ride, ndr). In realtà posso citare Kubrick, ma per noi la dimensione sci-fi è stata pensata esclusivamente per arrivare a qualcosa di molto più profondo, ossia la segregazione che vivono gli androidi. Non parlerei di razzismo, ma dell’esclusione dalla società. Non vogliamo fare dei riferimenti specifici a quello che sta accadendo nel nostro mondo, ma a qualcosa di generico. Le persone che vedono Detroit: Become Human riescono a notare qualcosa di diverso a seconda della loro cultura e della loro esperienza: in America ci sono state fatte notare cose diverse dall’Europa, a dimostrazione del fatto che il tema è universale, ma tutti lo leggono in maniera diversa. Per quanto riguarda le influenze è inutile dire che dalla televisione, dalla letteratura arrivano gli spunti principali. Un altro aspetto molto importante per noi è aver fatto notare alle persone quanto sia presente il concetto dell’esistenzialismo nella vita degli androidi”. 

Detroit: Become Human arriverà il prossimo 25 maggio su PlayStation 4 ed è il nuovo progetto firmato da David Cage e Quantic Dream, già autori, tra i più recenti, di Heavy Rain e Beyond: Two Souls.