Nel meraviglioso mondo del videogioco, dove l’innovazione dovrebbe essere la forza trainante e il concetto di “visione autoriale” dovrebbe fare da bussola morale, ci ritroviamo (ancora una volta) a dover discutere di copie spudorate, furberie da miliardari e processi creativi che sembrano più un’imitazione da discount che un’opera originale.
L’ultima vicenda riguarda due colossi dell’industria: Sony, che non ha bisogno di presentazioni, e Tencent, il gigante cinese che sta cercando da anni di mettere le mani ovunque, spesso senza troppi scrupoli.
Il pretesto è un gioco chiamato Light of Motiram, sviluppato sotto l’egida Tencent, che ha fatto drizzare le antenne a chiunque abbia passato anche solo venti minuti con Horizon Zero Dawn o Horizon Forbidden West (che trovate su Amazon).
La somiglianza non è sottile. È macroscopica. È sfacciata. È di quelle che ti fanno dire: «Aspetta, ma non l’ho già giocato questo?». E infatti Sony non l’ha presa bene.
Il colosso giapponese ha deciso di fare causa, portando la questione in un tribunale federale della California. Il motivo è violazione di copyright, concorrenza sleale e quella fastidiosa abitudine, sempre più diffusa, di spacciarsi per “ispirati” quando si è semplicemente dei copisti con accesso a un buon motore grafico.
Il clone dai capelli rossi
Le accuse di Sony sono molto chiare, e anche piuttosto pesanti. Light of Motiram viene definito un “clone servile” della saga Horizon. Il termine non è casuale, né diplomatico: è un’accusa frontale, che punta il dito contro ogni singolo aspetto di questo presunto “nuovo gioco”.
A partire dalla protagonista: una donna dai capelli rossi che usa arco e frecce in un mondo post-apocalittico, popolato da creature meccaniche a forma di dinosauro. Vi sembra familiare? Ovviamente sì.
Ma non finisce lì. Le ambientazioni sono lussureggianti, le rovine tecnologiche disseminate ovunque, il feeling generale è quello di un titolo che ha preso Horizon, lo ha sezionato in laboratorio, e ne ha replicato ogni elemento distinguibile, cambiando solo i nomi e la colonna sonora.
E se vi sembra già abbastanza assurdo, aspettate: c’è di più. Secondo i documenti presentati da Sony, Tencent avrebbe inizialmente proposto una collaborazione proprio per sviluppare un nuovo capitolo della saga Horizon.
Un gesto che, in teoria, potrebbe anche far piacere. Ma Sony ha detto no. E poco tempo dopo, come per magia, Light of Motiram è stato annunciato in pompa magna, con tanto di trailer che ha fatto alzare più di un sopracciglio, e non solo tra i fan.
Il sospetto, più che legittimo, è che Tencent abbia preso spunto da quella trattativa fallita per confezionare un gioco fotocopia. Forse basandosi su concept discussi durante le negoziazioni. Forse memorizzando idee, atmosfere, riferimenti artistici.
Il punto è che Motiram non è un semplice caso di “ispirazione”. È un remake non autorizzato. È Horizon Zero Originality, come qualcuno lo ha già soprannominato, e non a caso, quella definizione sarcastica è finita anche nei documenti processuali depositati da Sony.
Ma è plagio, o solo furbizia?
Qui tocchiamo il cuore pulsante della questione. E non è una domanda banale. Anzi, è il grande non detto dell’industria videoludica contemporanea: dov’è il confine tra omaggio e scopiazzatura? Quando un gioco “ricorda” troppo da vicino un altro titolo, possiamo ancora parlare di ispirazione, oppure siamo entrati in un territorio pericoloso dove il plagio diventa business model?
Tencent, va detto, non è nuova a questi scivoloni. Il gigante cinese ha costruito la sua espansione globale anche attraverso l’acquisizione di studi occidentali, la pubblicazione di giochi free-to-play molto simili a prodotti già esistenti, e una gestione dei confini creativi a dir poco elastica.
È un’azienda che punta tutto sul profitto, e poco importa se per farlo bisogna calpestare qualche copyright lungo il cammino.
Il caso di Light of Motiram è emblematico. Non perché sia l’unico, ma perché rischia di diventare il più eclatante. E perché avviene in un momento storico dove altri casi simili (vedi la causa di Nintendo contro Palworld) stanno già facendo discutere.
È per questo che Sony ha deciso di andare fino in fondo. Non si tratta solo di difendere Horizon, una delle sue IP più riconoscibili. Qui si gioca una partita più ampia, e molto più importante: quella del rispetto della creatività.
Perché se un’azienda può proporre una collaborazione, farsi dire di no, e poi lanciare un gioco praticamente identico a quello che avrebbe voluto co-produrre, allora il messaggio per l’intera industria è devastante: non c’è più alcun incentivo a creare qualcosa di originale. Basta prendere spunto da chi l’ha fatto prima, modificare quel tanto che basta per evitare una copia 1:1, e il gioco è fatto. Letteralmente.
E allora, davvero vogliamo un’industria dove tutto è “ispirato” a qualcos’altro? Dove ogni successo genera dieci cloni senz’anima? Dove i concept originali diventano terreno di caccia per chi ha i mezzi — ma non le idee — per trasformarli in prodotti commerciali?
Ma quando si gratta via la vernice patinata, e si osservano certe dinamiche da vicino, si scopre una realtà ben più cinica: fatta di operazioni di mercato, manovre opportunistiche e storytelling “ispirato” a chi ha già fatto meglio.
E allora non stupisce che Light of Motiram abbia provocato una reazione così forte. Non tanto tra i fan (quelli sono abituati a vedere cloni ogni tre mesi) quanto tra gli addetti ai lavori, tra chi ha ancora la pretesa di difendere il lavoro creativo come qualcosa di sacro.
Perché chi ha davvero costruito un mondo nuovo, una mitologia, una protagonista iconica come Aloy, non può accettare che qualcun altro si presenti con la versione tarocca e pretenda pure l’applauso.
E ora?
Al momento in cui scrivo né Sony né Tencent hanno rilasciato commenti pubblici. Ma il processo è in corso, e promette scintille. Non solo per le implicazioni legali, ma anche per il messaggio che invierà al resto dell’industria.
Se Tencent dovesse perdere, il precedente sarà forte: significherà che le IP vanno difese, che non tutto è copiabile, che l’originalità ha ancora un valore. Ma se dovesse vincere, il futuro potrebbe essere molto più grigio: un mondo dove ogni idea diventa proprietà comune dopo sei mesi, dove le grandi aziende si “ispirano” liberamente, e dove la creatività cede il passo all’efficienza del plagio.
Ed è qui che arriva la vera domanda, scomoda e necessaria: vale ancora la pena innovare? Vale la pena creare un universo narrativo da zero, investire anni in world building, costruire personaggi, gameplay, identità visiva, se poi basta un gigante con tanti soldi e poche idee per copiare tutto?
È una domanda che riguarda tutti: sviluppatori, publisher, giocatori. Perché in un mercato che sembra premiare sempre più i cloni, chi crede ancora nell’unicità rischia di restare indietro. O peggio: di essere derubato sotto gli occhi di tutti. Speriamo quindi che si faccia giustizia.