C’è qualcosa di strano nell’aria. È quel sentore di “vecchio” applicato a qualcosa che, oggettivamente, vecchio non è.
PlayStation 5 è uscita nel novembre 2020. Non parliamo del secolo scorso, non parliamo di un’era lontana. Quasi cinque anni, nell’industria videoludica, un tempo erano sinonimo di maturità. Oggi, per qualche ragione, sono diventati sinonimo di “tempo scaduto”.
E allora avanti con i rumor sulla prossima generazione, avanti con i rendering improbabili, avanti con la corsa compulsiva al “prossimo passo”.
Il paradosso è che, per una parte consistente dei giocatori, PS5 (che trovate su Amazon scontata, tra le varie cose) non ha ancora avuto nemmeno il suo “momento PS5”.
Generazioni che vanno...
Quella sensazione di aver assistito a un salto netto, a un titolo capace di farti pensare "ecco perché ho fatto il salto generazionale".
I veterani sanno di cosa parlo. The Last of Us Part II su PS4. Uncharted 2 su PS3. Metal Gear Solid 2 su PS2. Momenti in cui l’hardware e il software si incontrano in un matrimonio perfetto e irripetibile.
Ecco, per PS5, quel matrimonio ancora non si è celebrato. Ci sono state cerimonie interessanti, certo (Demon’s Souls Remake, Ratchet & Clank: Rift Apart, Final Fantasy XVI e di recente Death Stranding 2) ma nessun colpo da KO.
E il problema non è solo la qualità dei giochi, ma il contesto in cui viviamo. Negli anni Duemila, la vita di una console era scandita da un ritmo naturale: uscita, primi anni di assestamento, apice creativo, lento declino verso la next-gen.
Oggi questo ciclo è stato sostituito da un presente continuo in cui ogni prodotto è già vecchio il giorno dopo l’uscita. L’hype è diventato il carburante principale, e il mercato sembra più interessato a generare attesa che a mantenerla.
Guardiamoci negli occhi: il concetto stesso di “generazione” sta diventando un artificio di marketing. I salti tecnologici netti si sono fatti più rari, il cross-gen è diventato la norma, e il cloud gaming (se mai prenderà piede davvero) potrebbe spazzare via del tutto questa idea di “hardware esclusivo”.
Nel frattempo, Sony si trova davanti a un bivio scomodo: spremere fino in fondo PS5 o accelerare verso PS6, rischiando di lasciare un vuoto narrativo e creativo che nemmeno i bundle con God of War Ragnarok possono riempire.
Perché di questo si tratta: di narrativa. Le console non sono solo pezzi di plastica e circuiti. Sono storie. PS2 è stata la console di GTA: San Andreas, della rivoluzione 3D definitiva. PS3, quella del riscatto dopo un lancio disastroso, con The Last of Us a chiudere in bellezza.
PS4, quella della rinascita dell’esclusiva single-player. E PS5? Qual è la sua storia? Quella di un hardware uscito nel mezzo di una pandemia, venduto a colpi di restock disperati e scalper, che ancora oggi lotta per definire una propria identità?
È difficile affezionarsi a un ricordo che non è ancora stato scritto. E qui entra in gioco il vero rischio dell’ossessione per PS6: trasformare la generazione attuale in una transizione continua, in cui il presente è solo un fastidioso intervallo tra un annuncio e l’altro.
... generazioni che vengono
Lo scenario si complica ulteriormente se allarghiamo lo sguardo al resto dell’industria. Microsoft sembra puntare sempre più su un ecosistema multipiattaforma e sul Game Pass, riducendo l’importanza della console fisica.
Nintendo vive in un universo parallelo in cui Switch continua a macinare vendite record senza sentirsi minimamente in dovere di inseguire il fotorealismo, con Switch 2 da poco sul mercato e con l'intenzione di fare il bis, per quanto riguarda i numeri.
E poi c’è il PC gaming, dove la corsa è costante, ma frammentata, e nessuno si sogna di “saltare” una generazione intera per restare al passo.
Chiariamoci: non sto dicendo che PS6 non arriverà o che non sia legittimo aspettarla. Arriverà, e sarà probabilmente una macchina impressionante, con numeri e specifiche da far girare la testa.
Ma il punto è un altro: siamo sicuri di essere pronti? E non intendo pronti economicamente o tecnologicamente. Intendo pronti mentalmente. Perché se non abbiamo mai avuto il tempo (o la possibilità) di vivere davvero PS5, cosa ci garantisce che PS6 non subirà lo stesso destino?
Forse il problema non è l’hardware. Forse il problema siamo noi. Noi che ci siamo abituati a saltare di continuo al prossimo trailer, alla prossima promessa, alla prossima console. Noi che, di fronte a un prodotto ancora giovane, pensiamo già a come sostituirlo. Noi che confondiamo la novità con il progresso.
Sony, in fondo, ha davanti un’occasione unica: invertire la tendenza. Dare a PS5 il suo momento. Spingere per un’esclusiva capace di far dire a tutti: “Questa è la vera next-gen”. Magari il colpo arriverà con Marvel’s Wolverine, magari con Intergalactic: The Heretic Prophet, magari con qualcosa di totalmente inatteso.
Ma deve arrivare. Perché se non arriva, PS5 resterà prigioniera di una percezione ingiusta: quella di una generazione mai davvero sbocciata.
E se a quel punto ci troveremo con PS6 già sul mercato, sarà difficile non provare un senso di incompiutezza. Quello stesso senso che ti lascia un libro interrotto a metà, un film senza terzo atto, una canzone sfumata prima dell’ultimo ritornello.
In un’epoca in cui tutto corre e nulla resta, forse il vero lusso non è avere il prossimo modello prima degli altri. Forse il vero lusso è fermarsi, guardare quello che abbiamo, e dargli il tempo (e lo spazio) per diventare memorabile.
Perché il problema, stavolta, non è essere pronti per PS6. È capire se abbiamo mai davvero vissuto PS5.