Ci sono momenti, nella vita di una redazione, in cui le parole pesano più del solito. Non perché si abbia paura di ciò che si scrive, ma perché si avverte la responsabilità di dover ricordare (a chi legge, ma anche a sé stessi) perché si fa questo mestiere. L’altro giorno abbiamo pubblicato la recensione di Leggende Pokémon: Z-A (che trovate qui), recensione per la quale molti utenti hanno manifestato dissenso, in primis sulla scelta di premiarlo con un voto a loro dire troppo elevato, specie se paragonato al giudizio riservato ad altri giochi simili.
Da questo concetto, prende il via la questione: ogni recensione è, per definizione, un atto soggettivo. È il risultato di un’esperienza individuale filtrata attraverso competenza, sensibilità e contesto. Pretendere l’oggettività in una recensione significa non comprendere il mestiere di chi scrive di videogiochi. La nostra filosofia editoriale è chiara da sempre: dare spazio alla voce dei redattori, purché sostenuta da argomenti, esperienza e trasparenza. Non si tratta di opinioni lanciate a caso, ma di riflessioni costruite con metodo, frutto di ore di gioco, analisi e confronto interno. È questa la libertà che difendiamo, e che continueremo a difendere.
Negli anni, SpazioGames ha attraversato epoche e piattaforme, ha visto nascere e morire generazioni di console, ha assistito a rivoluzioni nel linguaggio del medium e nel modo di parlarne. Ma una cosa è rimasta intatta: la convinzione che la critica non possa esistere senza indipendenza. Indipendenza dai publisher, dai numeri, dalle mode del momento, dalle "tifoserie". L’entusiasmo non è un reato, così come non lo è la delusione. L’unico vero errore sarebbe fingere indifferenza per paura delle conseguenze.
Ed è qui che si nasconde il nodo del problema: oggi si confonde la passione con la parzialità, la trasparenza con il sospetto, la libertà con il tradimento. Se un redattore ama un gioco che divide l’opinione pubblica, diventa automaticamente “di parte”; se ne critica uno molto atteso, è accusato di incompetenza o di malafede. È un meccanismo perverso, alimentato da un dibattito social sempre più polarizzato, che spinge verso il pensiero unico. E noi, da sempre, rifiutiamo quella deriva.
Perché la credibilità di SpazioGames non si costruisce sull’omologazione, ma sulla pluralità. Su una voce corale fatta di timbri diversi, di sensibilità differenti, di approcci anche contrastanti. Un voto non è solo “il voto di Spazio”, ma il giudizio di un singolo autore che fa parte di una comunità redazionale che lo sostiene, lo rispetta e gli offre lo spazio per esprimersi. È questa coralità che dà forza al marchio, che lo rende riconoscibile e, soprattutto, autentico.
Chi pretende che ogni recensione rispecchi un’unica linea di pensiero non vuole una redazione: vuole un algoritmo. Ma noi non siamo un algoritmo. Siamo prima di tutto persone, critici, giocatori. E la nostra voce vale perché non è filtrata da interessi esterni. È vero, come ogni testata professionale, ci teniamo a mantenere rapporti sinceri con tutti i partner del settore, ma si tratta di dinamiche non editoriali. Non c’è, né ci sarà mai, una connessione tra questi rapporti e le opinioni che pubblichiamo.
Chi ci conosce lo sa: le recensioni di SpazioGames non nascono da accordi, ma da idee. E un’idea può essere condivisa o contestata, ma non delegittimata solo perché non coincide con il pensiero comune. Difendere questa libertà significa difendere il senso stesso della critica.
È comprensibile che un voto “diverso” spiazzi, perché nell'epoca dei social ogni numero diventa un campo di battaglia, specie per chi come noi è su Metacritic. Ma la critica non è un sondaggio: non serve a misurare l’umore del pubblico, serve a offrire una prospettiva. Quando un autore assegna un voto, non sta cercando di stabilire una verità universale, ma di restituire un’esperienza in modo coerente con il proprio sguardo. È un atto di responsabilità e di onestà intellettuale.
Ridurre quel gesto a una provocazione o a un clickbait significa non capire il perché lo si fa. Significa ignorare che dietro ogni recensione ci sono ore di confronto interno, di editing, di discussione. Il voto è la sintesi di un percorso, non un numero scelto a caso.
C’è poi un punto che va ribadito con fermezza, senza retorica ma con chiarezza legale: accusare una redazione o un singolo autore di essere “venduti” è un reato diffamatorio. È grave, è falso, e non deve essere tollerato. Criticare un giudizio è legittimo, fa parte del gioco. Insultare o calunniare chi lo esprime, no. La libertà d’opinione è sacra, ma non esiste libertà senza responsabilità.
Certo, non sempre le nostre scelte saranno popolari. Ci saranno voti che faranno discutere, parole che irriteranno, interpretazioni che spiazzeranno. È il prezzo della libertà, ed è un prezzo che accettiamo di pagare ogni giorno. Perché l’alternativa sarebbe molto peggiore: diventare irrilevanti.
Quando una redazione inizia a edulcorare le proprie opinioni per “non scontentare nessuno”, smette di essere una redazione. Diventa una vetrina. E una vetrina non racconta, non analizza, non pensa: espone. Noi non vogliamo esporre. Vogliamo continuare a raccontare, a discutere, a mettere in prospettiva i videogiochi. Anche quando significa esporsi, anche quando comporta rischi.
Ogni volta che un nostro autore firma una recensione, porta con sé non solo la sua voce, ma anche un’eredità collettiva fatta di coerenza, competenza e rispetto. Difendere quella libertà è il modo migliore per onorare il lavoro di chi ci ha preceduti e per dare un senso a quello che facciamo ogni giorno.
Non siamo infallibili, e non vogliamo esserlo. Gli errori si correggono, le convinzioni si discutono, le idee si evolvono. Ma la buona fede, quella no: non si negozia. E chi conosce il nostro percorso sa che la buona fede è sempre stata la nostra bussola.
Continueremo a essere entusiasti, quando ci sarà da esserlo. Continueremo a essere severi, quando servirà. E se qualcuno confonde la libertà con la parzialità, la passione con la corruzione, la critica con la tifoseria, allora è nostro dovere spiegare (ancora una volta, con calma e fermezza) che non è così.
Il nostro lavoro è raccontare i videogiochi. Con le nostre voci, con le nostre idee, con il nostro entusiasmo. Perché è proprio quel pluralismo, quella tensione dialettica, quella libertà intellettuale a rendere SpazioGames ciò che è da 25 anni: uno spazio dove si pensa, si discute e si ama questo medium. E continueremo a farlo.