Ci sono storie che nascono per caso, o forse per destino. E poi ci sono quelle che germogliano dal dolore, da quella parte oscura che ognuno di noi custodisce e che, a volte, diventa a suo modo arte.
Non sono mai storie semplici, né lineari: nascono da una frattura, da un’assenza, da qualcosa che si è perso e che si cerca disperatamente di ritrovare in un’altra forma. Alcuni scelgono il silenzio, altri la fuga. Chris Darril ha scelto di creare.
Bye Sweet Carole è esattamente questo: una favola oscura, un film animato giocabile che intreccia lutto, rinascita e amore per un’estetica dimenticata.
È il sogno febbrile di un artista che ha deciso di trasformare la malinconia in linguaggio, l’assenza in immagine, la memoria in colore, ancora più di quanto fatto con i due Remothered (il primo lo abbiamo recensito qui).
In un’epoca dominata dalla tecnologia e dall’urgenza dell’efficienza, Darril ha avuto il coraggio di tornare all’imperfezione del disegno, all’emozione del fotogramma disegnato a mano, alla lentezza del gesto umano che plasma il movimento.
Ho deciso di parlarci per capire da dove nasce un progetto così intimo, così lontano dalle logiche di mercato e così vicino invece alla verità delle emozioni. Per parlare non solo di videogiochi, ma di lutto, di catarsi, di come la bellezza possa ancora nascere dall’ombra e restituire luce a chi l’ha perduta. Buona lettura!

Una volta conclusa quell’avventura, o disavventura se vogliamo, ho sentito il bisogno di fermarmi. Bye Sweet Carole è nato quasi per caso in quel tempo sospeso, in cui mi ero riavvicinato al cinema e all’animazione. Mi capitò di recuperare una vecchia build 2D di Remothered e, per puro divertimento, decisi di farne una piccola remaster in 4K, senza secondi fini.
Durante quel lavoro, per errore, i layer di luci e ombre si sovrapposero in modo imprevisto, creando un effetto “piatto” ma affascinante, quasi pittorico. Quel momento mi riportò alla mente un fotogramma di Biancaneve: la delicatezza dei colori, la texture dei fondali, la semplicità apparente dietro un’arte complessa. Da lì, è scattata la scintilla.
Mi dissi: “Perché no?”. Proviamo. È iniziato come un esperimento, convinto che sulla carta sarebbe stato meraviglioso ma impraticabile nella realtà. E invece ci siamo accorti che funzionava.


In questo senso, Cuphead è stato un riferimento inevitabile, ma il nostro obiettivo era diverso. Lì si punta tantissimo sull’azione, sui boss fight, sull’energia dei livelli. Bye Sweet Carole invece costruisce tutto sul ritmo dell’avventura, sull’atmosfera e sulla tensione narrativa. Ogni stanza, ogni background è una piccola opera in sé.
All’inizio eravamo solo in tre: io, Luigi Giuseppe Madrone (producer e game designer) e Alexia La Sapienza, che oggi è lead animator. Alexia viene da un percorso accademico nell’animazione tradizionale e ha portato nel team una sensibilità rara. Quello che era nato come un test è diventato, passo dopo passo, un mondo vivo. Così è nata Bye Sweet Carole.


“Lana” suona morbido, delicato, quasi musicale. È la versione più tenera di una “Lara”, ma anche più umana. Lana raccoglie in sé tutte le eroine che amo: c’è un po’ di Belle, un po’ di Anastasia, un po’ di Alice e Wendy. E ovviamente tanto di Biancaneve. È una sintesi di femminilità classica e di mistero, di grazia e inquietudine.


Pensa alla scena del bosco in Bambi, o alla trasformazione della Regina in Biancaneve: momenti che, da bambini, ci terrorizzavano senza bisogno di sangue o violenza.
In Bye Sweet Carole ho cercato di fare esattamente questo. Non volevo un horror “splatter” o provocatorio. Volevo un orrore elegante, che emergesse nei silenzi, nei contrasti, negli sguardi.
C’è un lato infantile e un lato adulto, che convivono e si osservano a vicenda. L’estetica fiabesca serve proprio a rendere più inquietante ciò che accade. Quando tutto è bello, ogni ombra diventa più spaventosa.


Quando perdi qualcuno di così importante, hai due strade: chiuderti o creare. Io ho scelto di creare.
Bye Sweet Carole parla di separazione, ma anche di trasformazione. Non è un gioco “triste” nel senso classico: è malinconico, sì, ma attraversato da un desiderio di vita.
Ogni scena, ogni colore, ogni inquadratura è un modo per elaborare quel dolore e renderlo qualcosa di bello. Credo che il videogioco, come il cinema, abbia il potere di farci affrontare i nostri fantasmi in un modo che altre forme d’arte non permettono.


Non mi interessa stupire con la difficoltà o con la lunghezza: mi interessa raccontare una storia. E per farlo uso la regia, il ritmo, la luce, il colore.
In Bye Sweet Carole tutto è costruito come un film d’animazione: ogni movimento di camera, ogni cambio di prospettiva serve a far “respirare” l’emozione del momento.
Il gameplay non è mai fine a sé stesso: è un’estensione del racconto. E credo che il futuro del videogioco narrativo vada in questa direzione.


E sì, anche Metal Slug, per come costruiva ritmo e dinamismo nei fondali. Ma noi ci siamo mossi più verso un orizzonte emotivo: meno azione, più empatia.
Ogni stanza di Bye Sweet Carole è come un piccolo set teatrale: non esiste un dettaglio casuale, non esiste un’ombra che non abbia un senso.


Con Bye Sweet Carole ho voluto ricominciare da me stesso. Senza pressioni, senza la paura di deludere. Mi sono concentrato su ciò che amo davvero: raccontare storie e creare immagini che restino.
Il pubblico, per me, è fondamentale, ma non può essere il motore principale. Prima devi essere sincero con te stesso.


Vorrei che chi lo gioca, anche solo per un momento, si fermasse a guardare. A ricordare che la bellezza e la tristezza possono coesistere, e che a volte la seconda è solo la forma più profonda della prima.


È un pensiero semplice, ma per me è tutto. Perché ogni volta che guardo Lana — fragile e forte insieme, luminosa nel buio — mi ricorda che anche le ombre possono avere un cuore.
