TOKYO – Durante il nostro tour a Tokyo non soltanto abbiamo potuto intervistare Hideo Kojima, ma abbiamo anche avuto l’occasione di parlare con alcuni dei più importanti sviluppatori di Death Stranding 2: On the Beach.
Ci riferiamo, in particolare, a:
- Yoji Shinkawa, leggendario Art Director e Character & Mechanical Design che lavora con Kojima dai tempi di Metal Gear Solid;
- Hiroaki Yoshiike, Lead Level Designer e anche lui collaboratore storico di Kojima sin dai primi Metal Gear;
- Takayuki Uchida, Technical Art Director e Lead Environment Artist che ha iniziato a collaborare con il geniale game designer da Metal Gear Solid 4.
- Akio Sakamoto, Chief Technology Officer e Technical Director entrato nello staff di Kojima da Peace Walker.
Insieme ad alcuni colleghi della stampa estera abbiamo potuto fare loro, a turno, un po’ di domande, relative soprattutto allo sviluppo del gioco e ad alcuni dettagli tecnici legati strettamente alla sua creazione, oltre che alla nascita delle nuove meccaniche di gameplay e alla creazione delle nuove ambientazioni.
Vediamo cosa abbiamo scoperto.
Concept e ambientazioni naturali di Death Stranding 2
Il metodo Shinkawa
La prima domanda posta era per Yoji Shinkawa, da sempre artista di punta di tutti i lavori di Kojima. Gli è stato chiesto quale fosse il suo metodo di lavoro preferito, se utilizza il digitale o se ancora utilizza metodi analogici.
Shinkawa ha risposto raccontando di essere nato utilizzando metodi analogici, amando da sempre disegnare su carta e utilizzare diversi tipi di matite e pennelli. Ora però, una volta finito il lavoro a mano, in caso ci sia bisogno di correzioni o aggiunte, lo scannerizza e lo modifica in digitale.
Shinkawa ha spiegato anche che quando si lavora a un gioco è necessario fare molti cambiamenti e vedere come questi si adattano al progetto, prima di passare alla modellazione in 3D: per questo usa spesso anche degli strumenti digitali per completare le sue opere.
Ma le ambientazioni come nascono?
Yoshiike invece, alla domanda relativa al modo in cui si sono approcciati alla creazione delle ambientazioni molto più varie di Death Stranding 2, ha risposto raccontando di come la selezione iniziale delle aree del mondo reale da utilizzare venga fatta da Kojima stesso.
Dopodiché il suo team, insieme al team dedicato specificamente alle ambientazioni, le analizza per bene, alla ricerca di luoghi che possano essere interessanti da inserire all’interno del gioco. Per queste operazioni utilizzano molto le riprese satellitari, così da individuare luoghi particolarmente distintivi in ogni regione; dopodiché, i team ne parlano insieme per capire se questi vadano bene per essere inseriti nel gioco.
Shader e processo di integrazione
In risposta a una domanda più tecnica, invece, l’applicazione degli shader all’interno del titolo ci viene invece spiegata da Takayuki Uchida.
Uchida ci racconta di come ogni team, da quello dedicato ai mech a quello dedicato ai personaggi, abbia un suo esperto di shader. Questi si riuniscono spesso per scambiarsi informazioni e parlare di varie tecniche di applicazione. In Death Stranding 2, ad esempio, anche gli artisti hanno collaborato a stretto contatto con gli esperti di shader, così da provare in prima persona il funzionamento di questi strumenti sui vari modelli tridimensionali, con la possibilità di operare modifiche qualora, per esempio, non dessero l’effetto voluto su un determinato materiale.
Il coinvolgimento degli artisti nella discussione non si era avuto durante lo sviluppo del primo capitolo, mentre ora Uchida ha capito che è il giusto modo di lavorare e ha visto enormi miglioramenti da questo punto di vista – anche se gli sviluppatori hanno dovuto lottare contro alcuni problemi legati alle performance a livello grafico.
I miglioramenti tecnici di Death Stranding 2
Tocca poi a Sakamoto rispondere a una domanda legata a quali siano i miglioramenti più importanti di Death Stranding 2 dal punto di vista tecnico.
Il Technical Director ci ha raccontato di quanto lavorare al primo capitolo avesse fatto imparare tantissime cose a tutto il team sul fronte tecnico.
All’epoca, la compagnia era appena nata e avevano dovuto imparare a utilizzare per bene il Decima Engine di Guerrilla. La grossa differenza nello sviluppo di Death Stranding 2 è stata che ora sono riusciti a sfruttare l’engine al suo pieno potenziale, proprio grazie all’esperienza accumulata durante la realizzazione del primo episodio della saga.
Ora, ad esempio, sapevano come molte cose funzionano e quali accorgimenti erano necessari durante lo sviluppo. Grazie a queste conoscenze, Sakamoto pensa che sul fronte tecnico ci siano stati grossi passi avanti in ogni ambito con Death Stranding 2.
I mecha di Shinkawa
A Shinkawa viene chiesto quale sia il suo processo creativo legato a macchine e altri congegni tecnologici, visto che, per quanto futuristici, questi riescono sempre a dare un’idea di praticità d’utilizzo, come se esistessero realmente.
L’artista ha spiegato che, innanzitutto, ciò dipende dal suo grandissimo amore per le automobili. Ci ha raccontato che, se dovesse progettare una nuova macchina, gli piacerebbe darle un aspetto che appaia impossibile da trovare nella realtà: un design di questo tipo però porta con sé troppi elementi irrealistici che non si sposano bene con la praticità di utilizzo.
Per questo motivo, quando crea il design di un nuovo veicolo inizia pensandolo come se dovesse veramente essere realizzato nella realtà – cercando di renderlo credibile, ma aggiungendo sempre una buona dose di elementi sopra le righe appartenenti al mondo della finzione. In particolare, rivela di apprezzare l'aggiunta di dettagli credibili anche per vedere come i giocatori reagiscono.
Shinkawa fa poi un esempio tratto da Death Stranding 2, indicando il pickup fuoristrada presente in-game: quando si sterza, il veicolo si inclina in maniera innaturale – e ovviamente non esiste nulla di simile nella realtà. Questo dettaglio, però, dà una sensazione forte a chi gioca, perché rende l’esperienza più tangibile, quasi come se la si vivesse nel mondo reale.
Non tutto però può essere progettato su carta sin dall’inizio, ha aggiunto l’artista. Infatti, molto del lavoro arriva quando il disegno diventa un modello da utilizzare dentro il gioco in formato 3D. A quel punto, si fanno innumerevoli test per capire se tutto funziona a dovere, anche per quanto riguarda questi dettagli un po’ fantasiosi, ma che devono essere percepiti come realistici nel mondo in cui il giocatore sta giocando – e, in caso, si modificano fino a quando non si ottiene il risultato voluto.
Le condizioni atmosferiche
Passiamo poi a parlare degli aspetti legati alle condizioni atmosferiche e di come queste abbiano condizionato il gameplay del nuovo capitolo di Death Stranding. A rispondere è stato ancora una volta Yoshiike, che ha spiegato che all’interno del titolo i giocatori potranno imbattersi in tempeste di sabbia, terremoti, forti piogge, alluvioni e molto altro.
Ha aggiunto poi che nel gioco ci saranno anche condizioni legate alla bassa e all’alta temperatura, cosa che nel nostro provato ci è capitata soltanto una volta, per una consegna il cui carico doveva essere mantenuto a una temperatura costante.
L’idea era quella di offrire nuove sfide anche per la pianificazione delle spedizioni – e una cosa particolarmente interessante che ci ha raccontato Yoshiike è che alcune di queste sfide sono nate da loro esperienze personali.
Quando stavano facendo delle ricognizioni per raccogliere materiale per il gioco in Australia, per esempio, ci fu una volta che, a causa della pioggia incessante, una strada venne chiusa per allagamento. Per proseguire nelle ricerche dovettero così affidarsi a un elicottero.
Oltre ai fenomeni naturali reali, però, essendo Death Stranding una storia fantascientifica, hanno anche inserito dei fenomeni nati da alcune condizioni particolari legate all’ambientazione unica del gioco.
Sempre riguardo al tema delle ambientazioni naturali del titolo, Uchida ha poi risposto a una domanda che elogiava il modo in cui la transizione tra un bioma e l’altro fosse stata resa in maniera molto naturale, come ad esempio succede quando si passa dal deserto alla foresta.
Uchida ci ha rivelato che anche lui era molto curioso di sapere come questo passaggio da un’area desertica a un’altra con una foresta fitta avvenisse nella realtà. Così, per scoprirlo, hanno mandato un addetto con un drone ad analizzare questa zona di passaggio per fotografarla. Grazie alle ricognizione, hanno scoperto che il cambiamento avveniva a causa di un fenomeno di erosione dovuto a un piccolo fiume che si perdeva poi nel deserto, e questo è un elemento che è stato inserito anche nel gioco.
Dalla scelta del proprio stile di gioco alle ispirazioni mistiche
Far evolvere la formula di gioco
Passando poi alle domande fatte in prima persona da noi, la prima è stata diretta a Hiroaki Yoshiike, a riguardo della nuova incredibile varietà nel gameplay, che permette ai giocatori di scegliere quale approccio utilizzare nelle missioni, potendo decidere di affrontarle combattendo a viso aperto, in modo stealth oppure tentando di evitare completamente lo scontro.
Abbiamo chiesto dunque allo sviluppatore quali sono state le idee per evolvere la formula di gioco in questo modo, partendo da quanto visto nel primo capitolo.
«Nel primo Death Stranding c’era una certa difficoltà legata allo spostamento: muovere qualcosa da un punto all’altro, o anche solo spostare il personaggio, richiedeva attenzione. Quando c’erano nemici, era quasi come giocare ad acchiapparella.
In Death Stranding 2 volevamo migliorare l’esperienza di combattimento. Pensavo anche a come avrebbero reagito i giocatori: in DS1 scegliere il proprio percorso era già interessante, quindi ho voluto puntare ancora di più su quell’aspetto.
Anche Kojima desiderava migliorare le fasi di combattimento, così abbiamo ascoltato i feedback dei giocatori del primo capitolo e abbiamo deciso, anche seguendo alcune mie considerazioni, di far sì che ognuno potesse scegliere il suo modo preferito di affrontare una situazione».
I tanti feedback dei giocatori del primo capitolo sono stati dunque un punto importante per migliorare Death Stranding 2.
Yoshiike è poi entrato nel dettaglio su come gli autori abbiano garantito questa varietà di situazioni:
«Abbiamo pensato ci fossero principalmente tre diversi modi di affrontare le missioni: combattendo, stealth o evitando completamente lo scontro. Se si decide di evitare i nemici, però, si affronterà spesso un terreno più impervio e questo rappresenta comunque un altro tipo di ostacolo.
Abbiamo quindi usato quest’idea per il design delle nostre missioni e della campagna in generale. Volevamo offrire una varietà di opzioni, lasciando al giocatore la libertà di scegliere lo stile che preferisce.
Abbiamo introdotto più possibilità di scelta e considerato i vari ostacoli che il giocatore può incontrare, come i nemici, l’ambiente stesso, o altre difficoltà ancora. Ogni giocatore avrà poi vari strumenti e opzioni per ogni tipo di approccio, ma la scelta ultima sul come agire spetterà a lui.
Ho pensato potesse essere divertente per i giocatori poter scegliere il proprio stile di gioco, dunque se pensate ci siano tante scelte nell’approccio allora vorremmo che vi divertiste a esplorarle tutte».
Come spiegato anche nella nostra anteprima, la possibilità di scegliere il modo in cui affrontare le missioni è senza alcun dubbio uno degli elementi che più ci sono piaciuti di Death Stranding 2, dato che le opzioni sono davvero moltissime per ogni singolo stile di gioco.
Un mondo eterogeneo
La nostra seconda domanda era invece diretta a Takayuki Uchida. Dato il suo ruolo legato alla creazione delle ambientazioni del gioco, abbiamo voluto chiedergli quale fosse il percorso che li ha portati a includere così tanti nuovi biomi, e soprattutto come si sia arrivati alla resa realistica che questi riescono ad avere all’interno del titolo, compresi anche i fenomeni naturali che spesso influenzano molto anche le missioni.
«Abbiamo messo molta enfasi sul realismo e abbiamo fatto molte ricerche sui vari ambienti, cercando di capire come rendere il più fedele possibile la riproduzione di terreni e paesaggi naturali all’interno del gioco.
Una delle difficoltà principali che abbiamo affrontato è stata la pandemia: era infatti il 2020 e stavamo cercando di fare delle ricerche sul campo, come facevamo di solito. Ovviamente però non potevamo spostarci in prima persona, così abbiamo dovuto assumere una persona locale che andasse a fare delle ricerche al nostro posto. Ci abbiamo messo un anno e mezzo circa ed è stata un po’ dura.
Abbiamo poi iniziato a concettualizzare queste ambientazioni, anche se abbiamo dovuto apportare alcuni cambiamenti – perché nel caso dell’Australia, ad esempio, sarebbe stata principalmente un terreno pianeggiante sconfinato. Così abbiamo ampliato e sistemato alcuni punti per dare maggior varietà alle ambientazioni».
Plate Gate e torii
Infine, abbiamo rivolto la nostra domanda a Yoji Shinkawa e riguarda il design e il funzionamento dei Plate Gate. Nel gioco, questi sono dei portali che possono trasportare da un punto all’altro del mondo: si vedono anche in uno dei trailer e permettono di trasportare Sam, ad esempio, dal Messico all’Australia sfruttando il potere della Spiaggia.
Insomma, un portale che confina con un’altra dimensione, ossia quella dei morti – concetto che ci ha ricordato molto i torii dei templi shintoisti. Se non sapete cosa sono, questi sono i tradizionali portali d'accesso ai templi shintoisti. Queste strutture, solitamente realizzate in legno, si compongono di due colonne verticali sormontate da una o più travi orizzontali. Simbolicamente, il torii rappresenta il confine tra il mondo profano e lo spazio sacro, segnando un primo passo di purificazione spirituale prima di accedere al santuario dove risiedono le divinità shintoiste.
I Plate Gate ci hanno rimandato un po’ questo concetto, dato che nell’attraversarli si passa dalla dimensione umana a quella ultraterrena del mondo dei morti.
Per questo, abbiamo chiesto a Shinkawa se si fosse un po’ ispirato all’idea dietro i torii, quando ha creato il design dei Plate Gate.
«Si, l’idea alla base assomiglia a quella dei torii, che un po’ mi hanno ispirato agli inizi del progetto. Quando Kojima ci ha commissionato l’idea di un portale, la prima volta ero partito con una concept art di un oggetto dalla forma sferica, che non sembrava affatto un cancello. Allora Kojima è arrivato e mi ha detto 'guarda, è un portale, quindi dovremmo fare qualcosa che sembri un portale'.
Allora, invece di creare qualcosa che somigliasse a un torii, ho provato a creare qualcosa che avesse elementi più in stile occidentali, come un cancello per l’inferno. Ci siamo divertiti molto con il concept iniziale, ma penso che siamo riusciti a dargli un aspetto molto più serio, alla fine.
Nel gioco ci sono molte cose divertenti, grazie alle idee di Kojima. Allo stesso tempo però ci sono anche molti elementi che trasmettono un grande senso di serietà e i Plate Gate, con le condizioni atmosferiche estreme che li circondano, penso siano proprio un esempio di questo.”
Ringraziamo gli intervistati e lo staff di Kojima Productions per il tempo concessoci.