C'è un prima e un dopo Halo: Combat Evolved. E no, lo so cosa state pensando, ma non è un'iperbole, né il mio lamento nostalgico.
È una verità oramai scolpita nella storia del medium, un dato di fatto incontrovertibile che ancora oggi, a oltre due decenni dalla sua uscita, riverbera in quasi ogni sparatutto in prima persona che impugniamo su una console.
Nel novembre del 2001, quando il monolite nero chiamato Xbox fece il suo debutto, il mondo dei videogiochi era scettico dello sbarco di una nuova piattaforma sul mercato.
Dopotutto, Microsoft, il gigante del software per PC, poteva davvero competere con i titani giapponesi Sony e Nintendo? La risposta arrivò sotto forma di un anello spaziale e di un super soldato in armatura verde.
La leggenda verde
Halo: Combat Evolved non fu semplicemente il titolo di lancio di una nuova console; fu l'atto di fondazione di un nuovo modo di concepire, giocare e vivere gli FPS su una piattaforma diversa dal suo habitat naturale, il PC.
Per comprendere la portata della rivoluzione di Bungie, è necessario osservare come era messo il panorama degli FPS su console alla fine degli anni '90 e all'inizio del 2000. Il genere era, senza mezzi termini, un dominio del PC.
La combinazione di mouse e tastiera offriva una precisione e una velocità di movimento che i goffi controller dell'epoca non potevano eguagliare.
Certo, c'erano state delle gemme. GoldenEye 007 e Perfect Dark su Nintendo 64 avevano dimostrato che era possibile creare esperienze memorabili, ma lo facevano con schemi di controllo decisamente arcaici e spesso basati su una singola levetta analogica, oltre che una mira automatica troppo aggressiva.
Su PlayStation, alcuni porting come i Medal of Honor cercavano di tradurre l'esperienza, ma la sensazione era sempre quella di un compromesso, di un'esperienza "adattata" e mai veramente nativa.
Insomma, per farla breve: gli FPS su console erano un genere di serie B, un'ombra sbiadita della loro controparte su PC. Ma Halo ha frantumato questa percezione, e lo ha fatto partendo dalle fondamenta: i controlli del gamepad.
Il contributo più grande e duraturo di Halo: Combat Evolved (o Halo: CE) è probabilmente il suo schema di controllo a due levette analogiche.
Bungie non l'ha inventato dal nulla ovviamente, ma lo ha perfezionato a un livello tale da renderlo lo standard, il linguaggio universale degli FPS che parliamo ancora oggi.
La levetta sinistra per il movimento (muoversi avanti, indietro, lateralmente) e la levetta destra per la visuale e la mira (guardare su, giù, a destra, a sinistra).
Sembra banale ora, perché ogni FPS da Call of Duty a Destiny, da Battlefield a Overwatch lo utilizza (e non solo gli FPS). Ma nel 2001, fu una vera e propria rivelazione.
Questa simbiosi permetteva una fluidità e un'indipendenza tra movimento e mira che prima erano impensabili con un pad.
Si poteva correre lateralmente schivando il fuoco nemico mentre si teneva la visuale fissa su un Elite Covenant, o indietreggiare sparando a un'orda di Flood senza mai perdere il contatto visivo.
Bungie è poi riuscita a lavorare anche ad aspetti meno visibile, come una leggerissima assistenza alla mira (che noi chiamiamo aim assist) che compensava la minore precisione della levetta rispetto al mouse, e un "magnetismo" dei proiettili che rendeva il feedback dello sparo immensamente più soddisfacente.
Il risultato fu che, per la prima volta, giocare a un FPS su console non sembrava un compromesso. Sembrava giusto. Sembrava naturale. Bungie aveva tradotto la grammatica del mouse e della tastiera in un linguaggio nuovo, elegante e perfettamente adatto al controller. Un vero e proprio miracolo.
La danza della battaglia
Bungie operava secondo una filosofia di design interna chiamata "i 30 secondi di divertimento". L'idea era che il nucleo dell'esperienza, il ciclo di combattimento ripetuto centinaia di volte, dovesse essere intrinsecamente divertente per un massimo di 30 secondi, per poi ripetersi in modo sempre nuovo e stimolante.
Questo fu ottenuto attraverso il cosiddetto "triangolo d'oro" di Halo: armi, granate e attacchi corpo a corpo.
A differenza di molti sparatutto precedenti, dove si accumulava un arsenale di dieci o più armi, Halo limitava il giocatore a portarne solo due alla volta.
Questa scelta, apparentemente restrittiva, si rivelò una grande intuizione perché ci obbligava a prendere decisioni: "Tengo il fucile di precisione per i Jackal in lontananza o prendo il fucile a pompa per i Flood che mi aspettano dietro l'angolo?".
Questo creava una "danza" del combattimento, un flusso continuo di decisioni e azioni che oltre a dar soddisfazione, creava anche del ragionamento.
Un universo da esplorare
Se ben vi ricordate, prima di Halo, la maggior parte degli FPS era ambientata in basi militari claustrofobiche, sotterranei infernali o arene futuristiche.
I livelli erano spesso labirinti di corridoi. Halo ha preso questo concetto e lo ha letteralmente buttato nel cestino.
Ricordo l'esatto momento in cui, dopo la fuga dalla Pillar of Autumn, sono uscito dalla capsula di salvataggio e i miei occhi si posarono per la prima volta sulla superficie dell'anello. Ancora oggi è uno dei momenti più emozionante della mia vita da videogiocatore, nonché una delle scene più iconiche della storia dei videogiochi.
Livelli come "Halo" e "Il Silent Cartographer" erano spazi credibili, sandbox tattici che offrivano una libertà di approccio senza precedenti su console.
Si poteva affrontare una base Covenant frontalmente con il Warthog, aggirarla a piedi sfruttando le coperture naturali o eliminare i nemici da una collina. L'introduzione di veicoli pilotabili e perfettamente integrati nel gameplay (non relegati a sezioni "su binari") fu persino un valore aggiunto.
Tutto questo sandbox ha portato grande del mercato a ispirarsi. Non per altro, senza Halo Combat Evolved è molto probabile che non avremmo avuto un Half-Life 2 così libero ed espanso.
E proprio Halo, insieme ad Half-Life, è considerato uno dei pochissimi sparatutto sostenuto da una narrazione epica, intrisa di mistero e con una colonna sonora orchestrale. Halo ha dimostrato che un FPS poteva avere un'anima, una lore profonda (che se volete leggere, la trovate in parte qui) e un'ambizione narrativa pari a quella dei migliori film di fantascienza.
Ma non solo: un eroe ha bisogno di nemici degni, e l'intelligenza artificiale dei Covenant era, nel 2001, sbalorditiva (e in realtà lo è ancora oggi).
I nemici di Halo non sono mai stati dei banali e semplici bersagli in attesa di essere abbattuti. Gli Elite, i comandanti Covenant, erano avversari formidabili: schivavano le granate, si tuffavano per mettersi al riparo, cercavano di aggirarci e guidavano i loro sottoposti con ordini udibili.
Una parte divertente che però dava un'idea chiara della qualità del gioco erano i Grunt, le truppe di fanteria più piccole. Questi erano codardi: se il loro leader Elite veniva ucciso, andavano nel panico, lanciavano granate a caso e fuggivano urlando, creando scompiglio e opportunità per penetrare il perimetro.
I Jackal avanzavano in formazione dietro i loro scudi energetici, costringendoci a mirare con precisione alle piccole fessure o a usare granate per sbilanciarli.
Non si trattava più di memorizzare la posizione dei nemici, ma ci trovavamo a reagire e adattarci a un avversario che sembrava pensare.
Questa enfasi sull'IA ha innalzato l'asticella per tutti gli sparatutto a venire, dimostrando che la qualità della campagna per giocatore singolo dipendeva tanto dall'intelligenza dei nemici quanto dal design dei livelli.
Ad oggi, Halo è ancora forse l'unico franchise FPS a puntare ancora molto sull'IA dei nemici nella campagna.
L'eredità dell'anello
Se siete arrivati a leggere sin qui, anche voi avrete capito quanto l'influenza di Halo: Combat Evolved sia onnipresente ancora oggi.
Il suo schema di controllo è il DNA di ogni FPS su console. Lo scudo ricaricabile è diventato uno standard del settore. La limitazione a due armi è una scelta di design comune. L'integrazione di granate e corpo a corpo con tasti dedicati è la norma.
La sua ambizione narrativa e la costruzione di un universo espanso hanno aperto la strada a franchise come Mass Effect e Destiny (quest'ultimo, non a caso, creato dagli stessi Bungie). Halo ha fatto molto più che vendere console Xbox. Ha legittimato un intero genere su una piattaforma, liberandolo dai suoi compromessi e fornendogli un linguaggio nuovo e potente.
Ha dimostrato che un FPS poteva essere epico, intelligente, tattico e immensamente divertente, il tutto attraverso l'interfaccia di un controller.
Non è stato solo un gioco, è stato un momento di svolta, una pietra miliare il cui impatto è così profondo da essere diventato invisibile, fuso nel tessuto stesso del modo in cui giochiamo oggi. Oggi mi sento di scrivere che quel meraviglioso anello, non ha solo ospitato una battaglia; ha forgiato le regole di tutte quelle a venire... Magari anche di quelle che avverranno l'anno prossimo.