Da quasi un decennio, il cloud gaming viene un po' professato come l'inevitabile futuro dei videogiochi. Ma è davvero così? A conti fatti, ad oggi, si tratta di una promessa utopica di accesso istantaneo a librerie infinite di titoli, eseguibili alla massima qualità grafica su qualsiasi schermo, dal televisore di ultima generazione allo smartphone più modesto.
L'idea di svincolare l'esperienza ludica dalla potenza bruta dell'hardware locale, affidando il carico computazionale a data center remoti, non è solo affascinante, ma è potenzialmente la più grande democratizzazione del medium videoludico dalla nascita delle console domestiche.
Eppure, il percorso verso questo futuro si sta rivelando molto tortuoso, segnato da fallimenti cocenti e soddisfazioni di poco conto. Dopotutto, lo spettro di Google Stadia aleggia ancora sul settore, un monito su come la pura forza tecnologica non basti a garantire un vero e proprio successo.
Oggi, mentre giganti come Microsoft, NVIDIA e Amazon perfezionano le loro offerte, la domanda cruciale rimane sempre la stessa: il cloud gaming è finalmente pronto a diventare il presente, o è destinato a rimanere un'eterna promessa del domani?
Il fallimento di Google Stadia
Per capire dove stiamo andando, è fondamentale analizzare da dove si parte e gli errori commessi. Google Stadia, lanciato nel 2019 con l'arroganza tecnologica che solo un colosso come Google poteva permettersi, è l'esempio perfetto di una grande idea gestita malissimo.
La tecnologia, di per sé, era ed è ancora impressionante. Chiunque abbia provato Stadia con una connessione adeguata può testimoniare una latenza sorprendentemente bassa e una qualità dello streaming solida.
Il fallimento, quindi, non fu tecnologico, ma prettamente concettuale. Google commise l'errore capitale di non capire minimamente il mercato videoludico: propose un modello di business che chiedeva ai giocatori di riacquistare a prezzo pieno titoli che magari già possedevano su altre piattaforme, per poi giocarli su una piattaforma "in affitto", senza la sicurezza della proprietà fisica o digitale.
Invece di essere il "Netflix dei videogiochi", Stadia divenne una console smaterializzata senza esclusive di peso e con una libreria molto scarna. La chiusura degli studi di sviluppo interni fu il chiodo sulla bara, segnalando una mancanza di impegno a lungo termine che erose la fiducia dei (pochi) consumatori.
La lezione di Stadia ha comunque insegnato molto: non basta offrire la "nuvola", ma bisogna anche darle un valore aggiunto tangibile, un catalogo ampio e un modello di business sostenibile che rispetti gli investimenti pregressi dei giocatori.
Questo insegnamento sembra essere stato recepito, seppur con approcci diversi, dai principali contendenti rimasti.
Il più imponente è senza dubbio Microsoft con il suo Xbox Cloud Gaming, integrato nel pacchetto Game Pass Ultimate (e ora espanso anche agli altri tier). Qui, il modello di business è il vero punto di forza.
Il cloud non è un prodotto a sé stante, ma un'estensione, un valore aggiunto a un ecosistema già rodato. Gli abbonati non pagano per lo streaming, pagano per l'accesso a un catalogo di centinaia di giochi, e il cloud è semplicemente un altro modo per fruirne, accanto alla console e al PC.
Questa strategia "agnostica" rispetto alla piattaforma ha permesso a Microsoft di abbattere le barriere d'ingresso. Vuoi provare l'ultimo titolo first-party senza attendere il download? Avvialo in cloud. Sei in viaggio e vuoi continuare la tua partita? Usa lo smartphone.
L'impegno di Microsoft è evidente anche sul fronte tecnico: il recente passaggio a una risoluzione di 1440p e un bitrate più elevato per gli abbonati Ultimate, dopo anni di beta, dimostra la volontà di migliorare costantemente la qualità del servizio, avvicinandola sempre di più a un'esperienza nativa.
Xbox Cloud Gaming sta lavorando, lentamente e in silenzio, anche per "sostituire" la piattaforma. Ad oggi basta avere un TV, uno smartphone e un PC per giocare a quasi qualsiasi titoli acquistato sul Microsoft Store o presente in Xbox Game Pass.
La volontà di Microsoft è piuttosto chiara: rendere il gaming più accessibile e onnipresente per avvicinarsi a quei famosi 2 miliardi di giocatori in tutto il mondo. Tuttavia, ad oggi il risultato è decisamente negativo
Su un fronte completamente diverso, ma altrettanto interessante, si posiziona NVIDIA con GeForce Now. Il suo approccio è radicalmente differente e, per certi versi, più rispettoso dei giocatori PC. GeForce Now non vende giochi.
Non offre un catalogo in abbonamento. Invece, affitta la potenza di calcolo dei suoi server, permettendo agli utenti di giocare ai titoli che già possiedono su store come Steam, Epic Games o GOG.
È, a tutti gli effetti, un "PC da gaming nel cloud". Questo modello risolve il problema principale di Stadia: non costringe a riacquistare nulla. La libreria di un utente è la sua vera libreria. Il servizio brilla soprattutto nel suo tier più alto, l'Ultimate, che offre prestazioni equiparabili a un PC di fascia altissima, con GPU della serie RTX 5080, supporto per il 4K a 120 fps e tecnologie come il Ray Tracing e il DLSS.
Per chi cerca la massima fedeltà grafica senza voler investire migliaia di euro in hardware, GeForce Now Ultimate rappresenta oggi la vetta qualitativa del cloud gaming, con una latenza talmente bassa da rendere persino i giochi competitivi una possibilità concreta.
Dove sta l'inghippo allora? Beh, la sua debolezza sta nella frammentazione: non tutti i giochi sono supportati e talvolta i publisher ritirano i loro titoli, ma la sua filosofia "bring-your-own-game" è una scommessa interessante sull'ecosistema PC esistente.
Infine, c'è Amazon Luna. Approdato in Italia con un certo ritardo, Luna cerca di ritagliarsi uno spazio proponendo un modello ibrido. Integrato parzialmente con l'abbonamento Prime, che offre una selezione a rotazione di giochi gratuiti, il servizio si basa su "canali" tematici a cui abbonarsi separatamente, come Ubisoft+ o Jackbox Games.
Questo approccio à la carte offre certamente flessibilità, ma rischia anche di dividere troppo la spesa e la percezione del valore. Il vero vantaggio è la possibilità di collegare i propri account Ubisoft e GOG per giocare ai titoli già posseduti, ispirato da GeForce Now.
La tecnologia è comunque solida e l'integrazione con l'ecosistema Amazon (in particolare Twitch) ha ancora oggi un potenziale enorme, ma Luna deve ancora trovare una sua identità forte per competere con l'offerta enciclopedica di Game Pass e la potenza bruta di NVIDIA. Vedremo ora con Prime se cambierà qualcosa.
Quale futuro per il cloud gaming?
Nonostante i progressi, la strada per un futuro dominato dal cloud non è priva di ostacoli. Il più grande e invalicabile, per ora, è l'infrastruttura di rete. L'esperienza di gioco in streaming è indissolubilmente legata alla qualità della connessione internet dell'utente finale.
Non si tratta solo di velocità di download; la latenza e la stabilità della linea sono fattori ancora più critici e in Italia siamo ancora messi maluccio.
Anche perché un picco di lag in un film in streaming causa un secondo di buffering; in un gioco, significa una morte istantanea, un errore fatale e generare in noi un po' di rabbia repressa.
Già ora la scomparsa del concetto di possesso a favore di una licenza di accesso temporanea è una deriva che sta preoccupando molti giocatori con il digitale, abituati a poter contare su una libreria di titoli che, almeno in teoria, è loro per sempre.
Insomma, il cloud gaming è senza dubbio una parte importante di quello che sarà il futuro del gaming, ma difficilmente sarà l'unico futuro, almeno non nel breve-medio termine.
Ha superato sicuramente la prima parte del percorso, imparando dagli errori e non è più una tecnologia alla ricerca di uno scopo, ma una soluzione concreta a problemi che potrebbero diventare sempre più reali: l'alto costo dell'hardware, la mancanza di tempo per i download, il desiderio di giocare ovunque.
I modelli di business si sono affinati: l'approccio ecosistemico di Xbox, quello orientato alla performance di NVIDIA e quello flessibile di Amazon dimostrano che esistono diverse strade per il successo. La tecnologia funziona e, in condizioni ottimali, è già in grado di offrire un'esperienza quasi indistinguibile da quella locale.
La rivoluzione non sarà chiaramente un interruttore che spegnerà le console e i PC da un giorno all'altro, ma una transizione graduale.
Il cloud diventerà sempre più un'opzione complementare, una freccia in più all'arco dei giocatori. Sarà il modo in cui proveremo le demo, in cui giocheremo mentre siamo in vacanza, in cui accederemo a titoli di alta gamma su hardware a basso costo.
Il futuro è inevitabilmente ibrido, e il cloud ne sarà una colonna portante, a patto che i suoi fautori non dimentichino mai la lezione più importante: al centro di tutto, ci deve essere sempre e solo il giocatore.