Battlefield è uno di quei fortunati giochi nati all'alba del nuovo millennio che bene o male tutti abbiamo imparato a conoscere e amare.
Il franchise di DICE ed Electronic Arts è uno di quelli che ha decisamente ridefinito gli sparatutto in prima persona, trasformando il campo di battaglia da un corridoio claustrofobico a immense mappe sandbox.
Eppure, la storia di Battlefield non è solo una cronaca di successi. È anche un racconto di cadute rovinose, di aspettative tradite e di una sconcertante incapacità di imparare dai propri errori.
Insomma, è la classica storia di un franchise che, nonostante ferite quasi mortali, si è rifiutato di arrendersi. Il che, non può che farci piacere.
L'alba della guerra totale
Per comprendere le recenti delusioni, è fondamentale ricordare perché Battlefield è diventato un'icona. Nel 2002, in un periodo storico dominato da arene multiplayer più contenute (basti pensare a Counter-Strike, Quake o Unreal Tournament), Battlefield 1942 fu una vera e propria sorpresa per i giocatori di tutto il mondo.
L'idea di battaglie a 64 giocatori su mappe enormi, dove la fanteria poteva combattere a fianco di carri armati, navi da guerra e aerei, era rivoluzionaria per l'epoca. DICE non aveva creato solo un gioco, ma un'esperienza.
Aveva, a conti fatti, digitalizzato il concetto di "guerra totale", dando a noi giocatori una libertà d'azione senza precedenti.
Il vero successo consolidato arrivò però con Battlefield 2 nel 2005 che trasportò l'azione in un contesto moderno e introdusse elementi oggi considerati standard per il genere: un sistema di classi più definito, la figura del Comandante in grado di dare ordini strategici e un robusto sistema di progressione e sbloccabili.
Anche quando il franchise si prese delle libertà creative, spesso lo fece con successo, basti pensare alla serie spin-off Battlefield: Bad Company e il suo acclamato sequel, Bad Company 2.
Questi due introdussero per la prima volta una campagna per giocatore singolo ancora oggi molto apprezzata, con personaggi carismatici e un tono scanzonato.
Ma Bad Company fu la possibilità di introdurre finalmente il motore grafico Frostbite, che portò nel genere sparatutto un livello di distruzione ambientale mai visto prima.
Interi edifici potevano essere rasi al suolo, trasformando dinamicamente il campo di battaglia e aggiungendo un nuovo, imprevedibile strato tattico al gameplay. L'apice di questa età dell'oro arrivò probabilmente con la feroce rivalità tra Battlefield 3 e Call of Duty: Modern Warfare 3.
Mentre CoD continuava a dominare con la sua azione frenetica su mappe limitate, Battlefield 3 offriva un'alternativa più matura e su larga scala.
Con il suo comparto tecnico mosso dal Frostbite 2.0, una balistica realistica dei colpi e il ritorno dei jet, rappresentò la massima espressione della formula classica del franchise.
In realtà, anche il successivo Battlefield 4, nonostante un lancio funestato da problemi tecnici, riuscì nel tempo a diventare uno dei capitoli più amati grazie a un supporto post-lancio di altissimo pregio.
E nel 2016, contro ogni previsione, DICE stupì, realizzando un FPS (un po' romanzato, va sottolineato) ambientato durante la Prima Guerra Mondiale: Battlefield 1.
L'idea fu vincente, anche perché in un un mercato saturo di conflitti moderni e futuristici, la scelta di tornare alla Prima Guerra Mondiale fu un vero trionfo, soprattutto se si considera che il competitor dell'epoca era Call of Duty Infinite Warfare.
Le prime crepe
Tuttavia, il brand di Battlefield non è stata sempre cosparso di successi. Già nel 2006, dopo il successo di Battlefield 2, DICE tentò un audace salto nel futuro con Battlefield 2142.
Il gioco, pur basandosi sulle solide fondamenta del suo predecessore, fu accolto con una certa tiepidezza sia dalla critica che dalla community. L'ambientazione fantascientifica, con mech da combattimento e armi a energia, non riuscì a conquistare il cuore dei giocatori ancora legata al realismo bellico.
Senz'altro un esperimento interessante ma privo dell'anima che aveva reso grande la serie. Fu il primo segnale che allontanarsi troppo dalla formula consolidata poteva essere pericoloso.
Tuttavia, se 2142 venne considerato un passo falso, Battlefield V rappresentò il primo vero crollo. Arrivato sulla scia del successo di Battlefield 1, le aspettative erano altissime.
Il ritorno alla Seconda Guerra Mondiale sembrava una scelta sicura, ma la gestione del progetto da parte di DICE ed EA si rivelò disastrosa.
Fin dal controverso trailer di presentazione, che mostrava un'interpretazione del conflitto storicamente poco accurata e sopra le righe, il gioco si alienò una parte significativa della base di fan.
Al lancio, Battlefield V era un prodotto palesemente incompleto. Mancavano contenuti essenziali, le mappe erano poche e dimenticabili e il gioco era afflitto da bug e problemi di bilanciamento.
Come se non bastasse, la decisione di adottare un modello GaaS, promettendo contenuti gratuiti nel tempo, si tradusse in un supporto lento e incostante, che non riuscì mai a dare al gioco la forma che avrebbe meritato.
Le vendite delusero le aspettative di EA (7.3 milioni di copie a fine 2018, un milione in meno del previsto), e nel 2020 il supporto al gioco fu interrotto prematuramente, lasciando la community con l'amaro in bocca e la sensazione di un potenziale enorme andato sprecato.
Era la prima volta che un capitolo principale della saga veniva percepito non come un esperimento fallito, ma come un vero e proprio fallimento.
Il lancio disastroso di Battlefield 2042
Quello che accadde dopo, però, fece sembrare i problemi di Battlefield V quasi insignificanti. Annunciato con un trailer spettacolare che prometteva un ritorno alla guerra moderna su una scala mai vista prima, Battlefield 2042 generò un'attesa spasmodica.
La promessa di partite a 128 giocatori, mappe immense e disastri naturali dinamici sembrava il sogno di ogni fan di Battlefield. Purtroppo, non è stato così. Il lancio di Battlefield 2042 è oggi considerato uno dei più disastrosi nella storia dei videogiochi tripla A.
Il gioco era in uno stato tecnico pietoso, pieno di bug che ne compromettevano la giocabilità. Ma i problemi non erano solo questi, perché purtroppo la maggior parte erano radicati in scelte di design incomprensibili che tradivano l'identità stessa del franchise.
Come c'era da aspettarselo, la reazione della community fu estremamente critica. Il gioco divenne uno dei peggio recensiti di sempre su Steam e i numeri dei giocatori crollarono a picco nel giro di poche settimane.
EA stessa fu costretta ad ammettere pubblicamente che le vendite erano state "deludenti", rifiutandosi persino di comunicare le cifre esatte.
Ci sono voluti quasi due anni di patch, rework delle mappe e reintroduzione di elementi classici perché Battlefield 2042 diventasse un gioco godibile, ma per molti il danno era ormai fatto. La fiducia nel marchio e nello studio di sviluppo era ai minimi storici.
Ed è proprio su queste ceneri che si fonda l'attesa per il nuovo capitolo: Battlefield 6. Questo episodio non rappresenta solo un gioco, ma una vera e propria prova d'appello per EA e i Battlefield Studios.
Come abbiamo già avuto modo di spiegarvi nella recensione, siamo dinanzi a una chiara volontà di ritornare alle origini, un mea culpa che vuole riconquistare i fan delusi.
La reintroduzione del sistema a quattro classi, di una distruttibilità ambientale ancora più profonda e di un'impostazione bellica moderna e "sporca", che prende ispirazione diretta da giganti del passato come Battlefield 3 e 4 è, sulla carta, tutto quello che serve per riconquistare il pubblico.
L'obiettivo sembra chiaro: abbandonare gli esperimenti falliti degli Specialisti e della scala esagerata per tornare a quel perfetto equilibrio tra azione individuale e strategia di squadra che ha definito i momenti migliori della serie.
La pressione su DICE e sui Battlefield Studios è decisamente molto elevata. Quindi, questo non può essere solo un buon gioco, deve essere il gioco della redenzione.
Incapace di arrendersi
Oggi, il franchise di Battlefield si trova a un bivio. I disastri consecutivi di Battlefield V e 2042 hanno gravemente appannato un'eredità costruita in vent'anni di successi.
Eppure, nonostante tutto, la speranza non è morta. EA e DICE sembrano aver recepito il messaggio e Battlefield 6 sembra promettere tutto ciò che i precedenti capitoli della serie non sono stati. Dopotutto questa è la natura di Battlefield: un franchise che cade, si ferisce, delude, ma che sembra costituzionalmente incapace di arrendersi.
Se ci pensate, è anche un po' la conferma che la passione di una community può davvero essere quel motore che può salvare un franchise. Senza i suoi fan e i feedback, probabilmente questo popolare brand sarebbe caduto in un vortice di continui fallimenti.
Battlefield 6 sarà decisivo. Sarà la resurrezione di un gigante o l'ultimo, vano tentativo di un soldato ferito di rialzarsi? Solo il tempo potrà dirlo, ma una cosa è certa: Battlefield, nel bene e nel male, ci proverà fino in fondo.