È finita. O quasi. Dopo oltre un decennio di onorato servizio, di gloria, di record infranti e di generazioni plasmate nel suo guscio di plastica nera, PlayStation 4 sta finalmente avvicinandosi al suo tramonto.
Non lo dice il cuore dei nostalgici, né il portafoglio dei publisher che ancora tentano di spremerla come un limone ormai secco: lo dicono i documenti interni, lo dice l’inevitabile calendario tecnologico, e ora lo confermano le parole del sempre ben informato Tom Henderson.
La primavera del 2026 segnerà l’inizio della fine. Da quel momento in poi, PS4 inizierà a perdere pezzi, non di hardware, ma di anima. Sony, stando alle ultime indiscrezioni, si prepara infatti a interrompere il supporto ad alcune funzioni chiave della piattaforma, tra cui il feed attività, la condivisione dei contenuti e diversi strumenti social integrati nel PlayStation Network. In altre parole: la vecchia regina si spegnerà in silenzio.
Le API che permettevano agli sviluppatori di collegare i propri giochi a queste funzioni verranno rimosse, lasciando dietro di sé un vuoto che non è solo tecnico, ma anche simbolico.
La regina nera
Chiunque abbia vissuto gli anni d’oro di PS4 sa che quella console non era solo un hardware: era un’idea di comunità. Era il primo sistema Sony davvero pensato per un mondo connesso, un ecosistema che faceva dell’interazione tra giocatori uno dei suoi punti di forza.
Il pulsante “Share” sul DualShock 4 rappresentava una piccola rivoluzione: per la prima volta, bastava un clic per immortalare una vittoria, per condividere un’azione epica, per far parte di qualcosa di più grande. In un’epoca in cui Twitch era ancora un fenomeno in espansione e YouTube muoveva i primi passi lato gaming, PS4 aveva capito che il gioco non finiva quando si spegneva la console. Il gioco continuava nella narrazione del giocatore.
Ma quel tempo è finito. Nel 2026, il feed delle attività si spegnerà. I contenuti condivisi scompariranno. I ricordi di una generazione resteranno imprigionati in screenshot dimenticati in qualche hard drive. Non è solo la fine di una funzionalità: è la chiusura di un’epoca.
E come spesso accade con le piattaforme di successo, Sony non se ne sta andando in un’esplosione di fuochi d’artificio, ma in un silenzio amministrativo fatto di patch e piccoli aggiornamenti.
Naturalmente, qualcuno dirà che è giusto così. Che ogni generazione deve lasciare spazio alla successiva. Che dopo oltre 125 milioni di unità vendute, PS4 ha fatto il suo tempo. Ed è vero. Ma c’è un senso di abbandono che aleggia nell’aria, una percezione di smantellamento progressivo che stride con l’affetto ancora vivo di milioni di utenti.
Non si tratta solo di chi non può permettersi PS5, ma di chi non vuole staccarsi da un ecosistema familiare, da un’interfaccia che conosce a memoria, da un catalogo che ha definito il decennio videoludico.
Il paradosso è che, mentre PS4 si avvia alla pensione, continua a essere una piattaforma ancora sorprendentemente vitale. Titoli come Elden Ring e Hogwarts Legacy hanno dimostrato che, se ben ottimizzata, la vecchia console è ancora in grado di regalare esperienze straordinarie. Ma il suo ciclo vitale è ormai biologicamente concluso: non per limiti tecnici insormontabili, ma per precisa volontà di marketing e strategia aziendale.
Sony ha bisogno di chiudere i conti con il passato per consolidare il futuro, e il futuro (nella visione di Jim Ryan e dei suoi eredi) è fatto di PS5, cloud gaming e servizi digitali.
È interessante notare come questa transizione non avvenga con il clamore che aveva accompagnato la fine di PS3. All’epoca, la sensazione era quella di una staffetta: PS4 arrivava come un’erede più snella, più potente, più social. Oggi, invece, il passaggio a PS5 sembra meno netto, quasi forzato.
La scarsità iniziale di scorte, i rincari, il rallentamento dei grandi first party e la sensazione generale che la “nuova generazione” non abbia ancora davvero spiccato il volo hanno contribuito a mantenere PS4 in vita ben oltre il previsto. È stata una sopravvivenza dignitosa, certo, ma anche un prolungamento artificiale che ora presenta il conto.
Eppure, c’è qualcosa di affascinante nella longevità della console. PS4 è stata la macchina che ha definito un’intera generazione di sviluppatori e giocatori. Ha ospitato capolavori che ancora oggi dettano gli standard dell’industria: Bloodborne, The Last of Us Part II, God of War, Persona 5, Uncharted 4, Ghost of Tsushima, Marvel's Spider-Man.
È stata, in un certo senso, la vera apoteosi della visione “tradizionale” del videogioco: titoli single-player narrativi, esperienze autoriali, una console concepita come un tempio del gaming domestico.
Ma in quella rete, qualcosa si perde: la fisicità, la ritualità, la connessione emotiva. PS4 era la console che ti chiedeva di condividere, sì, ma lo faceva partendo dal presupposto che tu fossi lì, davanti allo schermo, con un pad in mano e un’esperienza concreta da vivere.
Quando Sony disattiverà le sue API social, non perderemo solo qualche funzione secondaria. Perderemo un pezzo della memoria collettiva del gaming moderno. Perderemo quel microcosmo di interazioni che ha accompagnato l’evoluzione del giocatore digitale. Perderemo la testimonianza di un’era in cui la condivisione non era ancora filtrata da algoritmi e feed infiniti, ma nasceva da un gesto autentico: “Guarda cosa ho fatto”.
Forse è giusto così. Forse è il naturale ciclo della tecnologia: si nasce, si evolve, si sostituisce, si dimentica. Ma è difficile non provare una punta di malinconia sapendo che la PS4, quella macchina che ha definito una generazione, finirà i suoi giorni non con un ultimo applauso, ma con un lento spegnersi di luci di rete.
Nel 2026, quando il feed attività smetterà di aggiornarsi e i server cominceranno a chiudere una finestra dopo l’altra, ci sarà ancora chi la accenderà per rivivere un frammento di passato. Forse per rigiocare Bloodborne, forse per riscoprire The Witcher 3, forse solo per sentire ancora quella dashboard blu e bianca che ormai conosciamo a memoria.
Sarà un gesto romantico, forse futile, ma necessario: un ultimo saluto a una compagna di viaggio che ci ha accompagnato per oltre dieci anni.
E quando quel giorno arriverà, quando anche l’ultimo update sarà distribuito e i social integrati si saranno dissolti nel nulla digitale, potremo finalmente dire che PS4 è entrata nella storia. Non come una semplice console, ma come l’ultima grande macchina del videogioco classico.
Prima che tutto diventasse servizio, cloud, aggiornamento continuo. Prima che l’esperienza videoludica si frantumasse in mille piccoli abbonamenti.
E ora, cosa resta?
Vero anche che PlayStation 4 morirà davvero solo quando smetteremo di accenderla. Ma Sony, con la precisione chirurgica di chi sa pianificare il futuro, ha già iniziato a staccare la spina.
E così, mentre il mondo corre verso il nuovo e l’ultra-digitale, una vecchia regina si ritira in silenzio, lasciandoci con una lezione che l’industria sembra aver dimenticato: non basta potenza per creare storia. Serve anche anima.
E quella, PS4, l’ha avuta fino all’ultimo secondo.