Gratis. L’essere umano medio, quando sente questa parolina magica, perde spesso e volentieri qualunque contegno, manco fosse un berserker fatto come un cavallo. Nella mia vita ho visto la gente quasi ammazzarsi per ottenere roba gratuitamente, donne e uomini adulti strappare oggetti regalati dalle mani di un bambino, folle calpestare poveri innocenti per prendere delle magliette lanciate a casaccio (spesso belle quanto un vestito di Lady Gaga a un evento, e sapete che non si tratta di un complimento), e vecchiette minacciare con furore bestioni nerboruti pur di portare a casa delle spoglie. Davanti a ciò che possiamo ottenere senza denaro e fatica diventiamo delle bestie, e non sorprende quindi il successo dei free to play nell’attuale panorama dei videogame.
Le regole sono semplici: installi il client, fai partire il tuo giochillo e inizi a divertirti senza sborsare un quattrino. Facile no? Beh, a volerla dir tutta, le cose stanno diversamente e di giorno in giorno si fanno più complicate, abbastanza da spingere a una riflessione sull’argomento. La recente visita negli studi di una casa che sui free to play ha costruito il proprio successo mi sembra un’occasione propizia per buttar giù due righe sugli sviluppi di questo settore. Nulla di eccessivamente arzigogolato o orientato al marketing, non temete, solo un discorsetto tra me e voi, perché son pur sempre i giocatori quelli al centro di questo tornado di strategie commerciali e cambiamenti improvvisi.
E parliamone allora.

Pensati per essere brutti
Partiamo da un fatto piuttosto preoccupante e notato solo da parte degli utenti che si buttano sui free to play: molti sono pensati per essere una schifezza.
Non è una delle mie solite sparate dettate dall’ira, ve l’assicuro, si tratta di una semplice constatazione. Strutturalmente gran parte di questi prodotti sono congegnati per spillare soldi alla massa e per farlo devono essere incredibilmente accessibili (giocabili anche da chi un videogioco a malapena sappia cosa sia, per intenderci), e basarsi su uno scheletro di base tedioso e limitato, aggirabile con l’utilizzo di moneta sonante. La strategia dei titoli Zynga, in parole povere, quei Farmville e compagnia bella ove le colonne portanti sono l’interazione tra giocatori tramite fastidiosissimi inviti e la ripetizione fino allo sfinimento di certe azioni. Questa routine cattura facilmente il giocatore disinformato, lo fa abboccare all’amo mostrandogli una crescita rapida nelle fasi iniziali, e poi lo frega in quelle avanzate pressando sempre più per avere un “aiutino”.
Funzionava alla grande nell’era dorata dei browser game, eppure oggi Zynga è messa malaccio, Mattrick ha abbandonato anche quella nave lì spiccando il volo con un mantello fatto di banconote (mossa brillante la sua assunzione eh, complimentoni), e la percentuale di giocatori ancora disposta a investire tempo su certi titoli è in costante diminuzione.
Non è in verità dovuto solamente ad alcune mosse scellerate di Zynga durante la partita a scacchi col dio denaro, peraltro… semplicemente molte delle “pedine” col tempo hanno imparato a pensare con la loro testa e se ne sono andate, mentre nel torneo arrivavano via via competitor sempre più furbi da cui guardarsi. A quel punto uno o si adegua o è scaccomatto, e la posizione del re di Pincus, al momento, è di quelle atroci.
Lo ripeto ancora una volta: competitor. Non lo dico perché ha un suono figo, bensì perché con la crescita del mercato, l’allargarsi a macchia d’olio del gaming, e il conseguente aumento del denaro ottenibile buttandosi nei free to play, svariate aziende si sono fatte sotto con una cattiveria inaudita, ottenendo nel tempo posizioni di prestigio o esplodendo all’improvviso come una bomba nucleare. In campo mobile King ha guadagnato montagne di quattrini con il suo Candy Crush Saga, diventando un mezzo impero del male che vuole il monopolio sulla parola “Saga” (non scherzo, ci son state delle cause legali attorno a sta cosa) e dando il via a una serie di progetti simili costruiti attorno a una struttura più intelligente e “ludica” di quella dei prodotti Zynga. Con microtransazioni meno invadenti e una base in grado di divertire da subito, il pubblico ha risposto positivamente, ma l’evoluzione non si è vista solo lì. Rovio si è a sua volta buttata negli ftp con la forza dei suoi marchi, ottenendone non poca visibilità e vantaggi vari, pur appaiando la scelta a prodotti a pagamento, e svariati altri produttori di titoli mobile e browser based hanno cercato di “ammorbidire” la pessima configurazione dei loro prodotti, con la stessa Zynga che ha tentato in alcuni casi di correre ai ripari. Persino Nintendo ha sperimentato con i free to play di recente, anche se il suo Pokémon Shuffle rappresenta un’entrata in guerra non delle più brillanti, vista la qualità non propriamente eccezionale del prodotto se lo si paragona al resto della marmaglia. Si spera che il nuovo legame con DeNa, colosso del mercato mobile, porti a titoli ben più poderosi.

Do you like the dota-like?
Il mondo dei giochi da cellulare e tablet è andato incontro però a smottamenti minuscoli se lo si paragona a quello pc.
League of Legends: questo è il nome che fa tremare tutti da queste parti, un titolo che ha portato i Dota-like sulla cima del monte Olimpo, e se ne sta quasi in solitudine al comando, seguito da un DOTA 2 che, anche col nome di Valve alle spalle, proprio non riesce ad arrivare a certi numeri.
I moba non hanno iniziato con questa velocità, sia chiaro. C’è voluto tempo a raggiungere una tale notorietà e community. I Riot si sono tuttavia mossi bene, puntando sulla loro “mutazione” dello strategico in tempo reale pensata per essere più accessibile, godibile per il singolo e piacevole da seguire, ma comunque profonda e incentrata sulla skill. La genialata è stata costruire tutto attorno a uno scheletro in grado di far apprezzare il gioco immediatamente, con un consumo di tempo limitato per la gestione degli eroi, costi non eccessivi per il loro acquisto, partite appassionanti anche se non si gioca come folli (più rapide di quelle viste nel dota originario, e dunque pure in DOTA 2), e un supporto alle partite ranked, agli e-sports e al competitivo in generale di altissimo livello. L’entrata di soldoni ha poi trascinato il gioco in un circolo virtuoso di aggiornamenti e miglioramenti continui, a cui nessuno, specialmente il rivale numero 1, riesce a star dietro. Il titolo Valve è felice della sua stabilità e del suo bilanciamento, mentre LoL si rinnova in continuazione e conta eroi in costante aumento. Non si può battere una crescita simile stando fermi, quindi è chiaro che la volontà della casa di Gabe Newell a questo punto è offrire un prodotto più elitario, e che non c’è necessità alcuna di inseguire.
Tutti gli altri, invece, arrancano alle spalle, cercando disperatamente di pigliare una fettina della torta. La situazione però è abbastanza triste, perché di zucchero per chi arriva dopo ne è rimasto davvero poco. Parliamo di un genere non facile da rinnovare, che richiede comunque un investimento in termini di tempo, e conquista il giocatore sempre più con l’aumentare della sua preparazione, premiandolo e portandolo a spendere sempre più tempo e risorse. Uno sfidante non è in grado di staccare pezzi da una community simile offrendo qualcosa di solo marginalmente diverso, e visto che il superamento secco in termini di qualità di un videogame comunque ottimo non è una cosa facilmente ottenibile, al massimo si riesce ad ottenere una community alternativa minuscola se paragonata a quella di LoL. Ce l’ha fatta in parte Smite, ce la potrebbe fare Blizzard con Heroes of the Storm, ma tolti loro due? Saranno tempi durissimi per tutti gli altri.

Sperimentare gratis
Quel che è certo è che di possibili investimenti ce ne sono ancora tanti in questo campo, e che non manca chi vuole sperimentare. Valve, ad esempio, magari non riuscirà a superare LoL ma si è fatta avanti nei free to play in modi geniali, che hanno anticipato il mercato alla grande e sono poi stati prontamente imitati.
Team Fortress non ve lo dobbiamo certo ricordare: questo sparatutto ha fatto una fortuna dopo il passaggio al free to play, offrendo poco più di cappelli e personalizzazioni nel suo negozio interno, e la sua forza, come quella di DOTA 2, sta nell’essere un titolo praticamente completo senza spese e grinding di alcun tipo.
Valve può permettersi operazioni così rischiose grazie alla sua fermezza economica, e ciò ha portato a un avvicinamento alla community nello sviluppo senza precedenti, coi modder che sono divenuti a tutti gli effetti una risorsa indispensabile nella crescita dei prodotti. Il marketplace di DOTA 2, ad esempio, è pieno zeppo di creazioni dei fan, che vengono approvate e poi vendute, e Newell ha chiarito come in molti casi i prodotti creati dalla community superino persino quelli del team vero e proprio, al punto da voler utilizzare tale modello con costanza.
Epic Games lo ha imitato con Unreal Tournament, altro titolo free to play per davvero, che porta questo piano al livello successivo coinvolgendo la community direttamente nello sviluppo del titolo, oltre a sfruttare le sue creazioni per ottenere guadagni in negozio (anche se “sfruttare” va detto solo fino a un certo punto, perché i creatori degli oggetti venduti otterranno ovviamente un guadagno percentuale dalla vendita dei loro oggetti). La ritengo una strategia vincente, che dimostra fiducia totale nei propri mezzi e nella propria fanbase, è sicuramente la migliore per dar vita a titoli di qualità con un supporto costante, e potrebbe ribaltare tutti i dogmi su cui i free to play si sono appoggiati fino a questo momento.
Grande importanza alla community la dà anche Wargaming, un’armata rossa da non sottovalutare nel mondo dei giochi gratuiti, divenuta nel tempo un’azienda enorme. L’impatto dell’utenza però nei loro giochi è meno straordinario, e legato principalmente a bilanciamento e mutamenti nelle meccaniche in base ai desideri dei giocatori. La loro formula è già più costruita sulla ripetizione continua delle partite, e su un certo grinding per ottenere mezzi sempre più poderosi e potenziarli. È un sistema più lento e meno soddisfacente rispetto a quello di LoL, ma la casa russa è riuscita comunque a ottenere un gran successo di pubblico, puntando su titoli estremamente tattici e difficili da padroneggiare alla perfezione, e dimostrando che questo tipo di crescita può convivere con i sistemi più rilassati e amichevoli del mostro imbattibile di Riot o dei titoli Valve. Attenzione però, anche qui i rivali non mancano, e Gaijin Games sta cercando di proporre prodotti simili, ma più accessibili e meno improntati sul grinding. Come detto prima, la cosa funziona principalmente per l’affinarsi continuo dei gusti dei videogiocatori, il cui palato si fa più goloso di mese in mese e le cui necessità aumentano con l’aumentare della qualità dei prodotti. Questa battaglia per la supremazia va bene, anzi, benone, poiché come avrete notato porta tutti a migliorarsi senza tregua: molla l’acceleratore un attimo e rischi di esser superato, questo è il mondo dei free to play al di fuori delle teste di serie. Chiaro che non si tratta di ritmi sostenibili per sempre, ma almeno assicurano che questo genere di giochi, spesso additati come il male assoluto da molti giocatori veterani, possano raggiungere o addirittura superare la qualità dei giochi a pagamento, pur percorrendo una strada ben diversa dalla loro.

Guardate solo cosa è successo agli MMO, ove dopo l’irripetibile contingenza World of Warcraft l’abbonamento mensile è ormai visto come un suicidio. Qui la situazione è più complicata, perché la perdita dell’abbonamento ha portato gli aggiornamenti a livello di contenuti ad essere esclusiva di pochi eletti come Final Fantasy a Realm Reborn e il succitato WoW, appunto, mentre per altri che hanno seguito la strada del buy to play come Guild Wars 2 il futuro è ben meno chiaro.
Tutto il resto, invece, è andato sul free to play senza pensarci due volte, dimostrando che almeno nel campo MMORPG una struttura ibrida non funziona quasi più. Guardate ad esempio i casi di Wildstar, di The Elder Scrolls Online o quello a dir poco eclatante di Star Wars: The Old Republic. Gli ultimi due erano persino marchi enormi che difficilmente potevano fallire nell’impresa. Eppure…
Gli MMO sono stati gli iniziatori del free to play, ma oggi non basta più, a dimostrazione che il genere brilla davvero se strutturato in modo da poter risultare godibile per ogni tipo di giocatori e approcciabile anche con leggerezza. Se l’investimento temporale si fa eccessivo, l’offerta dev’essere o qualitativamente impeccabile, o estremamente furba, in caso contrario non si va da nessuna parte.
Difficile dire fino a che punto questi giochi si spingeranno da noi, e di certo è improbabile che la percentuale si sposti quasi totalmente verso di loro come è accaduto in Corea, eppure una certezza c’è: stanno migliorando e non smettono di crescere.
I free to play, grazie alla competizione interna brutale che li contraddistingue, stanno migliorando su tutte le piattaforme a un ritmo spaventosamente alto, che va di pari passo con l’affinamento del gusto del pubblico e li ha portati a spostarsi persino su console con un discreto successo. Il futuro, per loro, pare roseo, ma un tale sviluppo potrebbe esser pericoloso per il gaming a pagamento come lo conosciamo, pur muovendosi su una strada parallela più che contraria. Difficile dire fino a che punto arriveranno, e chi di coloro che li supportano ci abbia visto giusto, ma una cosa è certa: hanno ancora molto da dire.