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Giochi che esistono davvero - Ep. 1

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 07/11/2016 alle 00:00
Introduzione alla rubrica: Particolari, assurdi, sperimentali, folli, esilaranti o semplicemente sconosciuti: sono i titoli del passato che tratteremo in questa nuova rubrica chiamata “Giochi che esistono davvero”. Porteremo alla luce opere di cui raramente avete sentito parlare o che probabilmente, per il vostro bene, avete ormai dimenticato per sempre. In un periodo storico diverso da quello attuale, dove il medium era ancora acerbo e le sperimentazioni erano davvero libere, fioccavano videogiochi inquietanti e strani. Puntata dopo puntata, ve li faremo scoprire o ve li riporteremo alla memoria. Preparatevi, dunque: ecco a voi i “Giochi che esistono davvero”.
Episodio #1 – LSD: Dream Emulator (PlayStation, 1998)
A dispetto del nome che porta e della psichedelia di cui si fa carico, LSD: Dream Emulator non fa alcun riferimento alla droga. Sebbene ciò che vedrete su schermo dall’inizio alla fine possa essere considerato il frutto di una mente deviata o uno dei peggiori trip allucinatori o una sperimentazione da deep web, LSD è solo una sorta di acronimo indecifrabile e discretamente dibattuto, anche se nel confusionario filmato iniziale si intravedono frasi come “In Lunacy, the Savage Dream“, “In Limbo, the Silent Dream“, “In Life, the Sensuous Dream“, “In Laughter, the Spiritual Dream” e qualche altro esempio legato alla parola “sogno”. Il motivo è presto spiegato: l’opera è basata su un diario di una dipendente della software house che ha dato i natali a LSD, dove per dieci anni sono state appuntate le bizzarre esperienze notturne nate dal suo subconscio, per motivi che non desideriamo indagare. 
Si tratta prima di tutto di un gioco di esplorazione molto surreale, prodotto dall’eccentrico Osamu Sato (nome che apparirà nuovamente in questa rubrica, per un gioco forse ancora più malato e bizzarro). L’impronta artistica di Sato è evidente e si riflette nel gioco attraverso le strambe geometrie, le simmetrie contorte e il simbolismo indecifrabile fatto di sovrapposizioni di immagini, ardite mescolanze ed elementi di disturbo. Se volete farvi un’idea di cosa stiamo parlando, dovreste visitare il suo sito ufficiale, dove Sato scrive che LSD è stato considerato un “capolavoro d’arte che ha creato una nuova era per i videogiochi“.
Lo scopo primario di LSD: Dream Emulator è quello di immergere il giocatore all’interno di un mondo onirico composto da una sequela di sezioni collegate in maniera illogica, in cui è possibile girovagare per una decina di minuti circa ciascuna. Per accedere a quella successiva vi basterà sbattere contro un muro, una recinzione o un preciso ostacolo; mentre se cozzerete contro “persone”, animali o particolari oggetti, potreste trovarvi in aree ancora più disturbanti, dove faticherete non poco a trovare un significato a ciò che vi circonda. Ogni sogno è diviso in giorni e comincia solitamente all’interno di una casa da cui dovrete uscire. Da lì in poi, nulla sarà più davvero prevedibile e dovrete prepararvi alla fiera dell’assurdo: la composizione degli scenari è convulsa, raramente ci sono elementi in grado di abbinarsi con armonia, gli esseri animati appaiono sempre fuori posto, le costruzioni si trovano su terreni diversi da quelli di appartenenza, le acque lampeggiano come in preda a glitch persistenti, i colori sono sbagliati e le musiche sempre fuori contesto. È facile dunque capire quanto bizzarro sia LSD, che tende a confondere continuamente, creare disagio e inquietare. Non si pensi però che sia un titolo immesso nel mercato senza avere bene in mente una progettualità di fondo, perché in realtà LSD è stato pensato per essere un franchise diffuso attraverso tre prodotti: il videogioco che stiamo trattando in questa prima puntata, un album musicale (composto da Sato) e il diario dei sogni della sviluppatrice Hiroko Nishikawa, pubblicato col titolo Loving Sweet Dream. Con la Special Edition potevate accaparrarvi tutto. E diversamente da molte Special Edition di oggi, questa aveva la sua ragion d’essere.
Le circa duecento pagine del libro rappresentavano un’aggiunta rilevante al progetto e davano un’idea molto chiara sulla fonte d’ispirazione del gioco. I sogni trascritti erano accompagnati da illustrazioni di artisti diversi e da descrizioni giapponesi che spesso avevano anche una traduzione in inglese. Talvolta le descrizioni erano composte da poche frasi inquietanti che davano però un’immagine piuttosto chiara delle esperienze notturne dell’autrice. Non stupisce dunque che molti elementi, comprese alcune figure, si trovino all’interno del gioco. 
LSD è essenziale e, come già detto, è un videogioco d’esplorazione in prima persona, dove ci si può guardare intorno e si può correre. Se cercate uno scopo, un obiettivo da raggiungere di volta in volta, una meta finale o un motivo che possa accendere gli istinti da videogiocatore moderno, siete completamente fuori strada: LDS è contemplazione terrorizzata, navigazione spontanea nell’inconscio altrui, peregrinaggio assorto nel grande mistero della coscienza, dove vivere un sogno significa anche accoglierne le sue derive più bislacche e allucinate.
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