C’è un’immagine che più di tutte racchiude la parabola di Leon S. Kennedy. Non è la celebre scena dell’arrivo a Raccoon City in Resident Evil 2, con l’aria smarrita del novellino al primo giorno di lavoro.
Non è neppure l’iconica sequenza in cui sposta con un calcio il tavolo del villaggio in Resident Evil 4 (recuperate il remake a poco prezzo, se non lo avete giocato), conquistando per sempre l’Olimpo dei meme.
È piuttosto quel senso di disincanto che negli anni si è stratificato sul suo volto, da agente governativo a leggenda vivente, come se Capcom avesse deciso di caricare sulle sue spalle non solo la salvezza dell’umanità, ma il destino dell’intera saga.
Ora che Resident Evil Requiem sembra preannunciare la sua uscita di scena, la domanda sorge spontanea: perché proprio Leon, e non altri, è diventato il volto simbolo di Resident Evil?
Help me Leon!
Per capirlo bisogna partire dall’inizio, dal 1998, quando Resident Evil 2 ci mise davanti due protagonisti paralleli: Claire Redfield, sorella di Chris, e un poliziotto novellino dal taglio di capelli discutibile e lo sguardo pulito.
Leon non aveva pedigree: non era un membro delle forze speciali, non aveva esperienza in campo, non aveva neppure un background drammatico da supereroe tormentato. Eppure, proprio quella fragilità era il suo punto di forza.
Leon era il ragazzo comune catapultato nell’inferno di Raccoon City, la porta d’ingresso perfetta per i giocatori. Non incarnava la perfezione, ma la possibilità: quella di diventare eroi anche senza esserci nati.
Chris Redfield, in confronto, era già un superuomo. Braccia grosse come tronchi, il soldato infallibile, il marine prestato al survival horror. Se Leon divenne rapidamente il personaggio più amato, fu anche perché rappresentava l’opposto di Chris: più umano, meno muscolare, più ironico. Il poliziotto di provincia contro il guerriero da copertina.
Capcom non impiegò molto a capire quale dei due avesse la stoffa per diventare l’icona della serie.
Il punto di svolta arriva nel 2005, con Resident Evil 4. Shinji Mikami aveva bisogno di rilanciare la saga dopo i limiti mostrati da Code: Veronica e la ripetitività di certe formule. Chi meglio di Leon poteva incarnare il cambiamento?
Quel poliziotto impacciato di Raccoon City si era trasformato in agente governativo, capace di battute sarcastiche mentre si trovava faccia a faccia con abomini in grado di divorarlo vivo.
Era un eroe pop, ironico e stiloso, quasi hollywoodiano. Non a caso il look del personaggio, con giacca di pelle e capelli biondi perfettamente pettinati, fu studiato per piacere al pubblico occidentale tanto quanto a quello giapponese.
Resident Evil 4 non ha solo rivoluzionato il gameplay, ma ha anche consacrato Leon come volto riconoscibile al di fuori della community dei fan. A differenza di Jill o Chris, che restarono confinati in un immaginario più “di nicchia”, Leon riuscì a imporsi come personaggio cool, perfetto per un pubblico più vasto.
Da lì in avanti, Capcom decise che il poliziotto diventato agente speciale sarebbe stato il ponte tra l’horror classico e l’action più moderno.
Eppure, ridurre Leon a un’icona estetica sarebbe ingiusto. Il personaggio ha funzionato così bene anche perché Capcom ha saputo costruirgli attorno una mitologia emotiva. L’amore impossibile con Ada Wong, sospeso tra passione e tradimento, è diventato il leitmotiv di quasi tutte le sue apparizioni.
Leon non era mai solo il salvatore del giorno, ma un uomo segnato da relazioni irrisolte, intrappolato in un ciclo infinito di sacrifici personali. In lui c’era sempre una malinconia di fondo, un senso di condanna. Non sorprende che, col passare degli anni, il suo volto sia diventato più scavato, più cinico.
Chris, Jill, Claire: tutti hanno avuto i loro momenti di gloria, ma nessuno ha incarnato questo equilibrio tra vulnerabilità e potenza come Leon. Non è mai stato l’eroe invincibile. Anche nei film in CGI, dove spesso Capcom lo ha dipinto come una macchina da guerra implacabile, è rimasto quell’alone di solitudine che lo distingue da altri protagonisti più piatti.
Il paradosso è che Leon non avrebbe mai dovuto essere la mascotte della serie. Non era previsto come protagonista ricorrente, eppure il pubblico lo reclamava. Capcom, da parte sua, non ha potuto far altro che arrendersi a questa evidenza.
Resident Evil 6, pur criticato per le sue derive action e il gameplay discutibile, lo mise comunque in prima fila, perché senza di lui sarebbe mancato il collante emotivo che lega vecchi e nuovi fan.
Ora, però, con Resident Evil Requiem, i rumor parlano di un addio. Forse definitivo, forse temporaneo. In ogni caso, l’idea di salutare Leon apre una ferita più profonda di quanto non fosse accaduto per altri personaggi.
Perché se Chris può essere sostituito da un nuovo soldato, se Jill può restare una leggenda nel cuore dei fan, Leon è diventato un’icona trasversale. È il personaggio che ha saputo rappresentare tutte le anime della saga: l’horror claustrofobico di Resident Evil 2, l’action tesissimo di Resident Evil 4, la coralità ambiziosa di Resident Evil 6.
L'eroe che Raccoon City merita
Ma c’è di più. Leon è, in un certo senso, l’eroe che cresce con noi. Quando lo incontriamo è giovane, ingenuo, entusiasta. Poi lo ritroviamo disilluso, ma determinato. Infine, negli ultimi capitoli e nei film in CGI, appare quasi stanco, logorato. Non è mai stato congelato in un archetipo statico: è invecchiato con il pubblico, riflettendo i nostri stessi cambiamenti.
Chi giocava a Resident Evil 2 da adolescente lo ha rivisto in Resident Evil 4 da giovane adulto, e oggi lo riconosce in quel quarantenne cinico che ancora combatte un male senza fine. Nessun altro personaggio della serie ha avuto questo privilegio narrativo.
Se Capcom deciderà davvero di congedarlo, sarà un gesto carico di significato. Forse un tentativo di dare spazio a nuove figure, di non restare ancorati a un passato glorioso. Ma sarà anche un rischio enorme, perché Resident Evil senza Leon rischia di perdere parte della sua identità pop. È come se Metal Gear avesse detto addio a Solid Snake troppo presto, o come se Halo avesse lasciato da parte Master Chief dopo poche battaglie.
Eppure, forse è inevitabile. Anche gli eroi devono riposare. E in fondo, non c’è destino più coerente per Leon S. Kennedy che uscire di scena con la stessa malinconia con cui è entrato: da outsider, da uomo qualunque che ha visto troppo e che, finalmente, può lasciare a qualcun altro l’onere di salvare il mondo.
Capcom lo sa bene: uccidere un’icona non significa cancellarla. Significa fissarla nel mito. Leon non sarà mai dimenticato, perché è diventato il simbolo stesso di come Resident Evil ha saputo trasformarsi e sopravvivere alle mode, oscillando tra horror e action senza mai perdere del tutto la propria anima. Se Chris rappresenta la forza bruta e Jill la resilienza, Leon è il volto del sacrificio, dell’ironia come arma contro l’orrore, dell’umanità che resiste anche quando tutto intorno crolla.
Alla fine, il poliziotto novellino di Raccoon City non ha mai smesso di essere il nostro specchio. Abbiamo riso con lui, tremato con lui, ci siamo arrabbiati per le sue scelte e commossi per i suoi fallimenti.
E se davvero Requiem sarà il suo canto del cigno, non potremo far altro che alzarci in piedi e applaudire, come si fa quando un attore abbandona il palco dopo aver dato tutto.
Perché Leon S. Kennedy non è solo un personaggio: è il cuore pulsante di Resident Evil, l’eroe imperfetto che ci ha insegnato che sopravvivere, a volte, è l’unica vittoria possibile.