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1899: Il crepuscolo del Far West in Red Dead Redemption 2

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a cura di Hara_G

Pubblicato il 06/05/2018 alle 00:00

Per molti Rockstar è una grande azienda capace di creare prodotti demenziali ed esasperati, in grado di intrattenere in modi paradossali. Il che può essere anche vero, ma è limitante: GTA V non è semplicemente la missione “fai fuori venti hipster fichissimi” ma è la società americana caricaturizzata e messa in vetrina senza alcun filtro. 
Questa profonda cura per l’ambientazione e la narrazione è ancor più evidente in Red Dead Redemption 2, rivelatosi a noi recentemente con un terzo trailer incentrato sulla trama. Un video che cattura per il ritmo, per la levatura dei personaggi comparsi, e per quell’anno chiave attorno a cui gravita l’intera vicenda: 1899. 
Quattro numeri che all’apparenza possono non dire nulla, ma che in realtà ci permettono di inquadrare perfettamente l’atmosfera in cui andremo ad operare il 26 ottobre 2018, data di uscita del titolo. Nel trailer, la didascalia sotto 1899 recita “L’era del selvaggio West era quasi stata domata”. Nelle parole profuse da Dutch, da Arthur e dagli altri personaggi, si assapora l’amarezza della fine di un mito.
Rockstar infatti non ci propone la classica rappresentazione della frontiera tratta dagli Spaghetti Western, ma ci catapulta in un’era di transizione particolarmente importante per gli Stati Uniti.
Il Far West come l’Odissea
Se noi mediterranei troviamo in Ulisse l’eroe della nostra epica, gli americani lo trovano nell’uomo del Far West.
Egli è un viaggiatore solitario, dal passato misterioso. Nel suo peregrinare nelle terre selvagge, si imbatte in farabutti, pellerossa e nella stessa natura, divenuta matrigna.
Ma l’eroe solitario riesce a sconfiggere ogni male, grazie alla sua forza divina in grado di portare ordine e civiltà in luoghi deturpati dal caos. 
L’immagine classica dell’eroe del Far West è stata plasmata da anni di conflitti contro le tribù indiane per la conquista del territorio; dalla Guerra Civile, di fatto battesimo di sangue degli Stati Uniti; dalla auto-consapevolezza di avere un destino guidato dalla Provvidenza. Un insieme di valori, brutali e sacri, che hanno generato il mito del sopravvissuto delle terre selvagge, esempio a cui tutti gli uomini americani devono mirare. 
Questa concezione è sopravvissuta nei secoli: pensiamo a John Wayne, icona del cinema americano, spesso nei panni del bandito pentito o delle sceriffo che combatte per il bene; o addirittura a Ronad Reagan, che ha lasciato intatto l’alone del cowboy – tipico della sua carriera da attore – anche da presidente negli anni Ottanta, mostrandosi al paese come l’uomo giusto da opporre al male, ovvero l’Unione Sovietica.

Tuttavia, tra tutti gli adulatori più affascinanti del Far West, ritroviamo un altro presidente: Theodore Roosevelt. Egli può essere definito un ultimo romantico, poiché visse il crepuscolo della frontiera e se ne fece portavoce. Proprio nel 1899, all’Hamilton Club di Chicago, predicò la sua dottrina denominata The Strenous Life (Vigor di Vita in italiano). Durante questo discorso, Roosevelt presentò egli stesso come la personificazione della forza, della mascolinità, dell’America bianca, in opposizione alla civilizzazione decadente che il paese stava attraversando.
Il passaggio del secolo fu caratterizzato, infatti, da una crisi della mascolinità e dei valori. I motivi sono rintracciabili nei movimenti femministi per i diritti alle donne, nella nascita di una società di massa dedita al consumismo, nell’urbanizzazione del paese. Roosevelt si fece carico dei timori dei maschi americani e assunse il ruolo di eroe. Il suo temperamento aggressivo e combattivo derivava dalla sua infanzia. 

Da bambino soffriva di asma bronchiale, e il suo corpo era gracile poiché non poteva svolgere attività fisiche. Per tale ragione spesso veniva insultato dai suoi coetanei, che gli davano dell’effeminato. 
Il suo rifugio dalla realtà furono i libri di Mayne Reid, The Boy Hunter; or Adventures in Search of a White Buffalo. I protagonisti di queste storie sono tre giovani eroi che vagano tra la Lousiana e il Texas per cacciare un bufalo albino. Durante il loro viaggio, i tre ragazzi superano diversi pericoli, come attacchi di giaguaro, di orsi grizzly e di temibili indiani. D’altronde, dietro all’immagine del bufalo si nasconde lo stereotipo del pellerossa selvaggio. 
Cresciuto con le storie di Reid, nel 1883 Roosevelt decise di compiere un viaggio nelle terre del South Dakota, emulando la vita dei suoi eroi di infanzia. Singolare è il fatto che spese quarantamila dollari per acquistare un ranch. Si trattava di una cifra spropositata all’epoca, soprattutto se spesa per un investimento rischioso.
Eppure Roosevelt volle tramutare la sua immagine da effeminato a eroe cowboy, e ci riuscì.

In questo viaggio a ritroso nel mito del Far West, non possiamo non menzionare Buffalo Bill. Dietro a questo storico nome si cela William Frederick Cody, cacciatore, viaggiatore e impresario teatrale. Grazie alla sua vita ricca di avventure, nel 1883 creò il Buffalo Bill Show, uno spettacolo circense in cui venivano rappresentate le epopee western. I suoi spettacoli si diffusero in tutti gli Stati Uniti e nel resto del mondo, tra cui anche in Italia. Il Buffalo Bill Show stupì il pubblico europeo del XIX secolo, il quale venne a conoscenza di un mondo spietato, rozzo ma anche epico. 
Oltre l’Ovest
Theodore Roosevelt e Buffalo Bill erano personaggi dotati in un carisma incredibile. Ciononostante il mito del Far West era destinato a cedere a una nuova concezione del mondo. Al di là, infatti, dei mutamenti menzionati prima che colpirono la società americana, il vero cambio di rotta, che portò al superamento della frontiera, fu la nuova politica imperialistica attuata dagli Stati Uniti a fine Ottocento. Proprio nel 1899 iniziò la guerra nelle Filippine. Le isole erano colonie spagnole, ma al loro interno si erano diffusi sentimenti indipendentisti. Gli Stati Uniti decisero di intervenire per eliminare l’egemonia spagnola. Tuttavia, con la sconfitta della Spagna, le Filippine passarono sotto l’ala statunitense.
Stesso discorso si può fare per la guerra ispano-americana che coinvolse Cuba e  Porto Rico, iniziata nel 1898.
E qui ritorniamo alla sacralità citata poc’anzi: le mire espansionistiche americane erano giustificate dal Destino Manifesto, un concetto che si diffuse negli Stati Uniti nel XIX secolo, e che sosteneva l’espansione americana, poiché portatrice di una forma corretta di giustizia e di democrazia. 

Nel 1899, quindi, l’eroe solitario non era più l’uomo americano, ma gli stessi Stati Uniti. Per comprendere meglio questo discorso, ci rifacciamo al saggio dello storico Frederick Jackson Turner, Il significato della frontiera nella storia americana (1893). Nella sua opera, lo studioso affermava che la frontiera era scomparsa. La corsa verso l’Ovest, che aveva plasmato tre secoli di storia del paese, era giunta al termine. O meglio, era stata espansa. Le terre selvagge non erano più quelle dominate dai pellerossa o dagli animali selvatici, ormai sconfitti, bensì i paesi abitati da popoli bisognosi d’aiuto.  

Le principali fonti di questo articolo sono:

– Bederman G., Manliness & civilization : a cultural history of gender and race in the United States, 1880-1917, Chicago Press, Chicago – Londra, 1995.– Hunt M. H – Levine S. I., The Arc of Empire. American’s War in Asia from Philippines to Vietnam, University of North Carolina, 2012.

– Testi A., Il secolo degli Stati Uniti, Il Mulino, Bologna, 2008.

Tramite questo viaggio a ritroso nel tempo, abbiamo cercato di far comprendere la forte attrazione che il Far West ha esercitato nel corso dei secoli, nonostante la fine della vita di frontiera. In Red Dead Redempion 2, ci aspettiamo di vivere un’avventura da ultimi romantici, proprio come fece Theodore Roosevelt, mentre osserviamo i mutamenti delle città, delle strade e, soprattutto, degli uomini.

Le aspettative sono davvero alte per questo atteso seguito, e lo dimostra il fatto che il terzo trailer rilasciato sia ancora una volta incentrato sulla trama. Quel 1899 mette subito in chiaro che vivremo la fine di un’epopea. E noi, eroi solitari, saremo pronti a concluderla nel migliore dei modi.

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