Siamo i personaggi che creiamo nei videogiochi

Quanto un personaggio creato da zero può dire di noi?

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a cura di Silvio Mazzitelli

Redattore

I videogiochi, nel corso della loro storia, hanno sempre puntato a essere un’esperienza il più coinvolgente possibile. Tra i diversi media legati all’intrattenimento sono infatti l’unica tipologia che coinvolge in prima persona il fruitore, cosa che non accade invece nel caso di un film o di un fumetto, dove si è solo spettatori degli eventi. In molti videogiochi è possibile ormai anche creare i propri personaggi secondo i propri gusti, personalizzandoli notevolmente.

Quanti di voi hanno perso ore nel delineare i tratti somatici del proprio alter ego virtuale, analizzando nel dettaglio 20 tipi di nasi e 40 di sopracciglia e stando attenti che il labbro superiore fosse perfettamente allineato con il mento quadrato perché è così che vi immaginate il vostro eroe? Magari questo anche in un gioco come Dark Souls, dove il vostro personaggio indosserà per il 90% del tempo un elmo. E se la fase di creazione di un personaggio passa in secondo piano, molti giocatori spendono comunque intere ore per scegliere un nome che li soddisfi. Questo perché in quel personaggio mettiamo una parte di noi stessi e non ce la sentiamo di utilizzarne uno costruito casualmente tanto per giocare il prima possibile, perché non lo sentiremmo davvero come il nostro avatar virtuale, pronto ad affrontare per noi un’epica avventura.

Pensate allo storico di tutti i personaggi da voi creati. Probabilmente non tutti ci hanno fatto caso, ma se si partisse dal vostro primo eroe creato da zero e si arrivasse al più recente, si otterrebbe una storia che un po’ vi descrive, che riflette le vostre influenze e passioni di un tempo fino ad arrivare a quello che siete oggi. I nostri personaggi sono, in un modo o nell’altro, sempre una parte di noi stessi.

L’evoluzione degli editor

La fase di creazione di un personaggio deriva principalmente dai giochi di ruolo cartacei come Dungeons & Dragons. E i primi titoli videoludici a utilizzare un rudimentale sistema di creazione furono proprio titoli del genere RPG, come ad esempio le storiche saghe di Wizardry e Ultima, senza contare i titoli tratti direttamente da D&D e da altri giochi di ruolo simili.

In realtà la personalizzazione era ben poca all’epoca: si poteva al massimo scegliere la classe, il sesso e distribuire i punti nelle statistiche. Gli RPG giapponesi invece, nella maggior parte dei casi, ci mettevano nei panni di un protagonista predefinito a cui potevamo soltanto dare il nome che volevamo. Questo personaggio sarebbe però rimasto muto per tutto il gioco, per una precisa scelta basata sul fatto che l’assenza di una caratterizzazione prominente avrebbe fatto immedesimare maggiormente il giocatore con l’eroe principale. Dragon Quest, l’RPG giapponese per eccellenza, adotta ancora oggi questa formula, che negli anni ’90 era diffusissima nel genere.

Il migliorare della tecnologia portò alla creazione di personaggi molto più dettagliati, specialmente con l’avvento del 3D. La fisionomia di un viso era più chiara rispetto all’epoca del 2D, quando ogni personaggio era definito da pochi pixel. Da questo momento in poi anche la fase di creazione si è evoluta sempre più, passando dalla scelta di set predefiniti di alcuni volti fino alla completa personalizzazione di ogni parte del corpo, con gli editor più evoluti che permettono oggi di gestire in maniera millimetrica ogni dettaglio, come ad esempio la posizione di un tatuaggio sul corpo e persino la sua dimensione.

Il recente Cyberpunk 2077, ambientato in un futuro distopico dove è possibile modificare il corpo in qualunque maniera si voglia, permette persino di personalizzare i propri genitali, decidendone non solo la grandezza, ma anche la tipologia, maschile o femminile, indipendentemente dal corpo scelto dal giocatore per il suo protagonista. L’editor del personaggio non è rimasto limitato soltanto ai giochi di ruolo; in molti altri generi si è usufruito di quest’importante feature, ad esempio in diversi giochi sportivi come FIFA e NBA 2K, che nella modalità carriera permettono di creare il proprio giocatore personalizzato e di guidarlo dai campi di periferia fino ai tornei più prestigiosi del mondo.

Anche alcuni picchiaduro hanno aggiunto la possibilità di realizzare un proprio lottatore da zero. Soul Calibur di Bandai Namco è stato uno dei primi, seguito poi da diversi titoli ispirati a famosi anime, come ad esempio Dragon Ball Xenoverse, che ci permetteva di creare la nostra versione saiyan o namecciana e di farla combattere insieme a Goku, Vegeta e molti altri personaggi.

Grazie a questi passi avanti della tecnologia, i giocatori sono stati in grado di esprimere sempre più loro stessi, sentendosi coinvolti maggiormente per merito dell’esistenza di un personaggio che sentono soltanto loro e di nessun altro. Ogni gioco però ha ambientazioni e atmosfere diverse, senza contare lo stile grafico, un aspetto che spinge lo stesso giocatore a reinventarsi ogni volta, spesso senza nemmeno accorgersi di quanto è cambiato dall’ultimo avatar creato.

Dimmi che personaggi crei e ti dirò chi sei

Nel corso del tempo abbiamo creato decine di personaggi per svariati giochi. Ognuno di questi incarna una fase della vita del giocatore, sintetizzata spesso in pensieri e passioni che prendono vita in un alter ego ideale in tre dimensioni. Un esempio banale, ma ricorrente, sono ad esempio i personaggi creati in età adolescenziale: spesso ispirati alle passioni del momento, saranno probabilmente avatar il più simili possibile al proprio eroe preferito dei fumetti, dei film o di una serie TV. Basta entrare in qualsiasi MMORPG e siamo certi che prima o poi incontrerete un personaggio somigliante a un Goku, un Naruto oppure a un Batman e così via.

Questa scelta potrebbe sembrare distante dal proprio Io, ma in realtà non è affatto così: se si è creato un personaggio con le fattezze del proprio eroe preferito, allora vuol dire che questo in un certo periodo della vita è stato molto importante per chiunque lo abbia creato. Anche i personaggi pensati e accessoriati in maniera umoristica, tanto per farsi una bella risata durante le cutscene in cui compariranno stonando con il resto del cast, non sono semplicemente il frutto di scelte casuali. Inconsciamente si inseriscono caratteristiche che ci fanno ridere, magari qualcosa che ci ricorda un particolare meme o una battuta che ci è rimasta impressa.

Qualsiasi personaggio creato, anche superficialmente, se analizzato avrà almeno un piccolo riferimento a noi stessi. Senza contare poi chi crea una propria versione virtuale il più possibile fedele al suo aspetto reale. Perfino quando si prova a creare un personaggio diverso dal solito, sia per aspetto che per caratteristiche, si entra in una fase di sperimentazione che denota magari un cambiamento nei propri gusti personali o un nuovo modo di vedere le cose.

Quanti ad esempio a un certo punto della vita, dopo aver creato sempre e solo personaggi guerrieri, hanno deciso di provare ad essere un mago per la prima volta? Un esempio molto generale e semplificato ai minimi termini, ma è certo che i gusti cambiano e si evolvono nel tempo, e la creazione di un personaggio diverso dal solito è un po’ il simbolo di questi cambiamenti.

Ognuno di noi, tramite i videogiochi, può vivere innumerevoli vite, potendo essere chi vuole essere in quel momento specifico. Ci sono infatti molte testimonianze di come tanti giocatori e giocatrici abbiano ricevuto un grande aiuto nell’esprimere la propria identità di genere dai videogiochi, che li hanno aiutati a capire meglio loro stessi.

Per dirla in maniera romantica: ogni personaggio da noi creato è la cristallizzazione di una parte del nostro Io in uno specifico punto nel tempo, che resterà per sempre lì a ricordarci come eravamo in quel momento della nostra vita.

A ciascuno il suo carattere

A partire da grandi RPG, come ad esempio i Baldur’s Gate, per poi passare ai capolavori della BioWare dei tempi d’oro, è entrata in scena una nuova componente nella personalizzazione dei propri personaggi. Oltre all’aspetto si è introdotta anche la possibilità di deciderne il carattere. Certo, il sistema ha ancora molti limiti, ma negli anni trascorsi dalla sua introduzione ci sono stati diversi passi avanti e, indubbiamente, in futuro sarà una delle meccaniche con maggior margine di evoluzione. Alcune grandi saghe videoludiche, come ad esempio Mass Effect o i Dragon Age (specialmente Origins), ci permettevano di decidere non soltanto se essere paladini della giustizia o signori del male, ma anche se avere una personalità fredda, sarcastica, benevola e così via.

Interpretare sia nell’aspetto che nel carattere un personaggio proprio offre livelli d’immersione nel videogioco molto diversi da quelli dipendenti dall'interpretazione di qualsiasi altro eroe prestabilito. In questo secondo caso infatti siamo compagni di viaggio pronti ad assistere l’eroe che abbiamo scelto di seguire, ma quando l’eroe lo creiamo noi il livello di coinvolgimento è completamente diverso e molto più personale. Non troverete due soli Comandanti Shepard uguali nelle innumerevoli avventure intraprese dai giocatori di Mass Effect di tutto il mondo – anzi, anche se avete rigiocato il gioco più di una volta siamo sicuri che ci saranno delle grandi differenze fra i vostri stessi Shepard.

Una delle tante direzioni in cui il videogioco si sta evolvendo è proprio quella legata all’ampliamento dell’interattività, che alla fine è l’aspetto che rende il medium unico rispetto a tutti gli altri del mondo dell’intrattenimento. In futuro probabilmente avremo veramente possibilità di scelta su ogni singolo aspetto fisico e caratteriale di un personaggio, in maniera realistica e con poche limitazioni. In realtà esiste già un genere dove è possibile fare qualcosa di simile almeno a livello caratteriale, ossia alcuni titoli con una forte componente online.

Ultimamente, ad esempio, stanno avendo un certo successo server dedicati a GTA V con una mod chiamata Roleplay, che permette ai giocatori di interpretare un personaggio giocando con altre persone. Un vero e proprio gioco di ruolo virtuale con grande libertà interpretativa data dall’interazione con altri giocatori. In realtà il gioco di Rockstar non è certo il primo a fare una cosa del genere, ma i primi titoli a creare dei server GDR only erano stati il capostipite dei MMORPG Ultima Online e poi Neverwinter Nights di BioWare.

Chi vi scrive porta ancora nel cuore anni di gioco in un server RPG di Neverwinter Nights, dove si interpretava un personaggio con background scritto di proprio pugno e dove dei Dungeon Master creavano quest per i giocatori che spesso mandavano avanti la storia del mondo di gioco. Un’esperienza simile è impossibile da replicare in un MMORPG à la World of Warcraft, perché può essere gestito solo con limitate quantità di giocatori, ma è strano che in quasi 20 anni dall’uscita del primo Neverwinter nessuno abbia mai pensato di riproporre una formula simile, che ai tempi ebbe un successo molto maggiore della campagna in singolo del gioco.

Divinity: Original Sin 2 ha una modalità simile che permette a un giocatore di essere una sorta di Dungeon Master, ma è comunque impostato in maniera diversa rispetto a quella di Neverwinter, che consentiva di creare dei veri e propri server privati in cui gestire una sorta di MMORPG in miniatura. Chissà, in futuro potrebbe davvero arrivare un successore spirituale della modalità multiplayer del vecchio RPG di BioWare, ma ricco di tutte le ultime evoluzioni tecnologiche. In attesa che le avventure in single player donino una maggior libertà di creazione e interpretazione del personaggio, questa potrebbe essere l’esperienza di immedesimazione più avanzata.

Comunque andrà, il medium videoludico è attualmente l’unico in grado di farci diventare, sia nell’aspetto che nel carattere, degli eroi, dei signori del male, degli elfi o degli orchi, degli alieni, dei semplici mercanti e molto altro ancora. L’unico limite a cosa vogliamo essere in un mondo virtuale è legato solamente alla nostra fantasia.

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