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Recensione

Life is Strange 2 Episodio 4, Faith è semplice ma profondo

Life is Strange 2 riprende fiato in vista del finale con Faith, il quarto episodio.

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Avatar di Valentino Cinefra

a cura di Valentino Cinefra

Staff Writer

Pubblicato il 28/08/2019 alle 10:03
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  • Pro
    • Dialoghi e regia sempre più competenti e coinvolgenti
    • Nuove idee di gameplay, inedite
  • Contro
    • Episodio di transizione, più che altro
    • Alcuni espedienti narrativi un po’ forzati

Il Verdetto di SpazioGames

7
Faith riprende fiato e si concede il tempo di preparare l’umore per il finale di Life is Strange 2 del quale, curiosamente, è difficile anticiparne lo svolgimento. Non c’è quindi la grande sorpresa del finale, né uno svolgimento che lasci il giocatore in punta di sedia, ma invece una grande attenzione per dialoghi, approfondimento di alcuni personaggi ed inserimento di alcuni nuovi. Un episodio di passaggio, che non vuole sconvolgere lo status quo della narrazione, ma invece arricchirlo con nuove sfumature di racconti e scene, alcune delle quali valgono da sole il prezzo del biglietto.

Dopo il clamoroso terzo episodio di Life is Strange 2, chiamato Wastelands, era difficile riuscire a bissare quella potenza narrativa che vi avevamo raccontato all’epoca. Infatti il quarto episodio, Faith, non ci riesce, ma questo non significa che Dontnod abbia confezionato questa preparazione al finale con poca cura, anzi. Lo continuiamo a ribadire perché, complici i tanti mesi di distanza ed il fatto che si viene bombardati di uscite mensili in quantità considerevole: Life is Strange 2 è un’avventura sempre più sorprendente ad ogni capitolo.

I ragazzi dello studio francofono riescono, incredibilmente, a dimostrare episodio dopo episodio quanto siano abili nel raccontare quelle tematiche che, generalmente, non hanno spazio nelle avventure videoludiche. E nel farlo ci mettono il cuore, la passione, ma anche molta intelligenza e delicatezza. Questo è un episodio meno eclettico del precedente, più lineare e proiettato verso la costruzione del finale. Ma quello che Faith perde in possibilità ludiche (che pure ci sono, anche inedite), o nella diramazione delle possibilità degli eventi che in questo caso sono molto inferiori all’episodio precedente, lo guadagna in calore umano, scrittura, ed una riflessione sul concetto di fede che non può lasciare indifferenti.

Il Dio che gli uomini hanno creato

Due mesi dopo l’incidente nella piantagione di marijuana in cui Daniel e Sean lavoravano, e vivevano insieme al nuovo branco, il maggiore dei fratelli è in ospedale, ferito in maniera permanente dopo il disastroso evento causato dalla furia del piccolo Daniel, e dei suoi poteri. Lì, nella gabbia dorata di un ospedale e delle cure del pur simpatico ed affabile infermiere Joey, Sean è perso, senza suo fratello, pronto a finire in riformatorio per il resto dei suoi giorni. Così si apre Faith, con un umore pessimistico che non può non fare il paio incredibilmente con il titolo dell’episodio.

Dopo un inizio in cui apprendiamo delle condizioni di Sean anche attraverso dei minigiochi, che per via dell’occhio ferito fa fatica a disegnare perché ha ovviamente perso la percezione della profondità, la speranza: nel diario di viaggio c’è una nota in cui Jacob, uno dei ragazzi del branco di cui sopra, dice di aver portato con sé Daniel in Nevada. Così, dopo una rocambolesca fuga dall’ospedale, che è effettivamente una sequenza per cui bisogna fare parecchio ricorso alla sospensione dell’incredulità per l’esecuzione, inizia l’ennesimo viaggio di Sean.

Ribadiamo ancora una volta la grande capacità dei Dontnod di costruire una regia che non ha niente di invidiare al buon cinema, quello che spesso i cinefili usano come argine per contrastare la straripante e, a loro dire, fastidiosa inondazione del cinema d’intrattenimento. Con l’usuale amalgama di montaggi delicati e musiche atmosferiche, carrellate e ricorsi a panoramiche che spaziano dalle rigogliose foreste autunnali all’infernale deserto del Nevada, c’è una bellissima sequenza che racconta il silenzioso viaggio di Sean, che entra di diritto tra le più belle dell’intera stagione.

E ancora una volta, di nuovo, Life is Strange 2 non si tira indietro nel dare la sua lettura del mondo d’oggi. C’è una scena, straziante quanto illuminante rispetto a ciò che succede ogni giorno, in cui Sean è costretto a confrontarsi con la sua etnia, l’essere figlio di messicani in un Paese che fa sempre più fatica ad accettare e rispettare le culture altrui. Una sequenza che sembra essere messa lì tanto per, ma che in realtà è propedeutica a sorreggere il pensiero del sentirsi fuori posto in continuazione, o costretti in una vita che non si è scelta.

Chi vorrebbe vivere in fuga per un omicidio che non si è commesso? Chi si sognerebbe di scegliere di camminare nel deserto a piedi nella vaga speranza di ritrovare un fratello? E cosa succede quando, pur amando la tua famiglia, ti guardi allo specchio e ti rendi conto che non è la vita che volevi?

Queste sono le domande, solo alcune, che i personaggi di questo episodio di Life is Strange 2 si pongono. Ecco, a parte un nuovo personaggio fondamentale per la storia che è scritto in maniera eccelsa (di cui vorremo tanto parlare, ma è uno spoiler troppo importante), le new entry non sono memorabili. Negli episodi passati Dontnod era riuscita a tratteggiare in maniera corposa anche personaggi che apparivano per un solo episodio, o meno. In questo caso si cede un po’ alla costruzione di una narrazione forse prevedibile, ma non per questo poco emozionante, anzi.

Il tema della fede, e della fiducia che è il proverbiale rovescio della stessa medaglia, viene introdotto quando scopriamo che Daniel è stato adottato da una piccola comunità cristiana locale che, visti i suoi poteri, lo ha eletto a dono del Signore. Tra giusto un paio di risvolti stucchevoli, e invece delle riflessioni molto potenti su chi, cosa, o come dovrebbe essere la fede di una persona, la seconda parte dell’episodio ruota intorno alla risoluzione di questo empasse. Con un Daniel che è tutto sommato a suo agio nella comunità, e la volontà di Sean di continuare il suo viaggio e portarlo con sé.

Una risoluzione che non vuole essere sorprendente o mozzafiato, e di cui è importante determinare ancora una volta il metodo più che il risultato. Ma si arriva alla fine di Faith con la stessa soddisfazione che ogni episodio di questa seconda stagione è in grado di regalare. Perché anche in questa puntata ci sono tanti momenti pensati con il cuore e scritti con l’anima. Come, tra i tanti, una struggente sequenza in cui Sean immagina di parlare con suo padre mentre sono in macchina, un dialogo che sarebbe potuto essere ma che invece non sarà perché, ormai l’abbiamo capito, la vita sa essere molto strana.

+ Dialoghi e regia sempre più competenti e coinvolgenti

+ Nuove idee di gameplay, inedite

- Episodio di transizione, più che altro

- Alcuni espedienti narrativi un po’ forzati

7.0

Faith riprende fiato e si concede il tempo di preparare l’umore per il finale di Life is Strange 2 del quale, curiosamente, è difficile anticiparne lo svolgimento. Non c’è quindi la grande sorpresa del finale, né uno svolgimento che lasci il giocatore in punta di sedia, ma invece una grande attenzione per dialoghi, approfondimento di alcuni personaggi ed inserimento di alcuni nuovi. Un episodio di passaggio, che non vuole sconvolgere lo status quo della narrazione, ma invece arricchirlo con nuove sfumature di racconti e scene, alcune delle quali valgono da sole il prezzo del biglietto.

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