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Blades of Fire | Recensione - Altro centro per MercurySteam?

Blades of Fire dimostra che in questa industria c'è ancora spazio per grandi giochi che non cedono alla logica dei budget esagerati. La nostra recensione.

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

In sintesi

  • Sistema di combattimento molto profondo e vario.
  • Una via di mezzo tra l'impostazione di God of War e le dinamiche da soulslike.
  • Grezzo e imperfetto, ma anche molto solido.
  • Pro
    • Sistema di combattimento molto profondo e vario.
    • La via di mezzo tra l'impostazione di God of War e le dinamiche da soulslike funziona piuttosto bene.
    • Molto solido e appagante...
  • Contro
    • ... Nonostante sia comunque un gioco talvolta grezzo e imperfetto.
    • Qualche problema di bilanciamento e gestione del numero dei nemici in alcune zone.

Il Verdetto di SpazioGames

8
Blades of Fire è in definitiva un’opera che parla a chi sa apprezzare il bello oltre l'estetica, a chi cerca nel videogioco non solo l’intrattenimento, ma anche la possibilità di attraversare, comprendere e, in un certo senso, forgiare se stesso. Imperfetto e un po' grezzo a un primo sguardo, ma incredibilmente solido e profondo, il nuovo progetto di MercurySteam è l'ennesimo esempio di come non servano budget faraonici per creare un gran bel gioco.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Blades of Fire
Blades of Fire
  • Sviluppatore: MercurySteam
  • Produttore: 505 Games
  • Distributore: 505 Games
  • Testato su: PS5
  • Piattaforme: PC , XSX , PS5
  • Generi: Action Adventure
  • Data di uscita: 22/05/2025

Blades of Fire si inserisce in quel filone di action RPG che, sulla scia di un’eredità ormai consolidata da FromSoftware, tenta di coniugare una narrazione stratificata, un gameplay tecnico e reattivo e una struttura ludica profondamente interconnessa.

Rispetto a molti epigoni senz’anima, il titolo di MercurySteam — già noti per aver portato nella modernità la saga di Castlevania e per l'ottima gestione di Metroid Dread — dimostra fin dai primi minuti di avere un’identità ben precisa, fondata su un impianto ludico molto solido e su una costruzione del mondo di gioco che rifiuta l’astrazione decorativa per restituire un mondo coerente, tangibile, narrativamente denso.

Nonostante Blades of Fire possa non colpire sin da subito, lasciando l'erronea sensazione di essere rimasto un po' nelle retrovie rispetto agli standard moderni, è proprio durante la progressione di gioco che riesce a conquistare la fiducia del giocatore, dimostrando come MercurySteam abbia ancora una volta dato i natali a un gioco degno di nota.

Blades of Fire tra passato e contaminazioni da soulslike

La trama di Blades of Fire si sviluppa attorno alla figura di Aran de Lira, guerriero dotato di una particolarissima affinità con l’acciaio, in un’epoca in cui la regina Nerea ha condannato il metallo stesso a tramutarsi in pietra, in un’oscura metafora della stagnazione, del potere fossilizzato e della negazione della tecnologia intesa come estensione dell’individuo. 

Questo assunto narrativo, apparentemente semplice, diventa un prisma attraverso cui leggere le scelte ludiche fondamentali del titolo: la necessità di forgiare le armi, la centralità della preparazione, la vulnerabilità dell’acciaio come segno della caducità umana e della tensione verso il superamento dei propri limiti.

Narrativamente, il titolo abbraccia la linearità senza rinunciare però ad alcune logiche legate alla frammentazione del racconto, che comunque non si avvicina mai a quell'ermetismo tipico dei soulslike più criptici. I documenti sparsi, i dialoghi col compagno di avventure Adso, gli echi ambientali e le iscrizioni antiche compongono un mosaico interpretativo che a volte illustra, altre suggerisce. 

Il giocatore è chiamato talvolta a decifrare, non a subire la narrazione. In questo senso, l’interazione con il mondo è parte integrante della costruzione narrativa. Gli NPC, rari ma densamente caratterizzati, funzionano come vettori di conoscenza e specchi morali: le loro storie, i loro fallimenti e i loro obiettivi contribuiscono a rafforzare la coerenza tematica del mondo. Il tema ricorrente del ferro pietrificato assume così un valore allegorico, simbolico, che parla di immobilismo, di perdita del fuoco interiore, di decadimento della tecnica.

Gli NPC sono come come vettori di conoscenza e specchi morali: le loro storie, i loro fallimenti e i loro obiettivi contribuiscono a rafforzare la coerenza tematica del mondo.

L’ambientazione di Blades of Fire è strutturalmente semi-aperta, con macro-aree ben suddivise entro cui ci si muove con discreta libertà. Immaginate una sorta di sandbox che alla fine converge in un'unica strada, configurandosi tramite hub interconnessi che rifiutano la dispersione del mondo completamente aperto e sposano un design meticolosamente cesellato.

L’estetica richiama un immaginario gotico e solenne, con influenze che oscillano tra la pittura medievale e il barocco oscuro, tradotte in ambientazioni dai marcati dettagli visivi che non risultano mai ridondanti. Ogni area è pensata per essere esplorata verticalmente e orizzontalmente, spesso con percorsi nascosti, segreti ben sorvegliati da nemici coriacei, e un level design che si ispira apertamente alla scuola dei Metroidvania.

I tempi di caricamento sono ben mascherati da transizioni ambientali, i checkpoint sono distribuiti con parsimonia e intelligenza, e l’accessibilità è mediata da un sistema di “codici runici” che consente una sorta di teletrasporto selettivo, ma solo dopo aver scoperto le sequenze giuste, incentivando una mappatura mentale coerente.

In Blades of Fire, al posto degli iconici falò troveremo delle incudini, veri e propri punti di snodo che fungono da punti di controllo e che rimettono al mondo i nemici sconfitti in precedenza.

Sistema di combattimento e versante tecnico

Il sistema di combattimento, pilastro strutturale dell’opera, è figlio di una tradizione che guarda evidentemente agli schemi consolidati dei soulslike, ma riesce a emanciparsene grazie a una gestione della fisicità e del tempismo che, più che premiare il riflesso, enfatizzano l’adattabilità e la lettura tattica.

La presenza di un sistema di targeting avanzato, che consente di colpire parti specifiche del corpo del nemico con attacchi di taglio, percussione o affondo, costruisce un pattern di apprendimento e adattamento che premia il giocatore metodico. Le hitbox sono precise, il feedback visivo e sonoro è calibrato con intelligenza, e la risposta ai comandi è asciutta, reattiva, mai eccessivamente permissiva.

A ciascuno dei quattro tasti principali del pad corrisponde una direzione verso cui dirigere l'attacco, coi nemici che mostrano, attraverso tre colori (verde, giallo e rosso) dove sono le reali vulnerabilità. Ecco dunque che bisognerà cambiare al volo i punti dove affondare il colpo a seconda dell'avversario e delle armature con cui si abbiglia, ma anche valutare con rapidità quale arma usare per sfondare le difese.

Ogni arma è un’estensione delle scelte  del giocatore: forgiare un’arma pesante ma letale, dotata di una lega fragile ma affilatissima, significa abbracciare un’idea di combattimento fatta di precisione, calcolo e rischio. Il sistema di crafting, centrale e stratificato, permette la combinazione di lame, impugnature, metalli e rune, ognuno con effetti diretti sulla fisica dell’arma e sull’ergonomia del colpo.

La gestione della durabilità, ben lontana dall’essere un artifizio punitivo, si inserisce in questa visione sistemica, obbligando il giocatore a pianificare, risparmiare, scegliere e a interiorizzare il peso dell’usura come concetto ludico e narrativo.

La progressione del personaggio rifiuta i dogmi numerici classici per un modello più organico, in cui la crescita non si basa sulla pura quantità di esperienza accumulata, ma sulla comprensione del mondo di gioco.

Aran de Lira non evolve secondo parametri quantitativi, ma attraverso la scoperta, l’interazione con Adso — figura ibrida tra mentore e archivista, costantemente coinvolto nello sviluppo della lore — e la padronanza del sistema di combattimento.

La crescita non si basa sulla pura quantità di esperienza accumulata, ma sulla comprensione profonda del mondo di gioco.

Questa scelta apre a una dimensione metanarrativa interessante: il giocatore non è incentivato a grindare per aumentare il livello, ma a esplorare, a comprendere, a fare esperienza nel senso pieno del termine. L’intelligenza artificiale dei nemici, lungi dall’essere uno spartito ripetitivo, costruisce scontri in cui la varietà delle risposte e la capacità di lettura del contesto impongono un’attitudine riflessiva.

Nemici dotati di stili di combattimento unici, con equipaggiamenti variabili, animazioni ben realizzate e routine comportamentali differenti rendono ogni scontro sempre diverso, un duello continuo che sa sempre come ricompensare.

Sul piano tecnico, Blades of Fire si distingue per una direzione artistica non fotorealistica, ma coerentemente stilizzata. L’engine proprietario gestisce con disinvoltura ambientazioni complesse, illuminazione dinamica e fisica contestuale, con un frame rate generalmente stabile anche nei momenti più affollati.

Certo, non siamo di fronte a un titolo che può competere coi giganti dell'industria, e il colpo d'occhio generale mostra come sia un prodotto per certi versi anche un po' grezzo e da smussare.

La durata dell’avventura principale supera agevolmente le trenta ore (ed è localizzato in italiano), ma con i contenuti opzionali — che includono arene, duelli contro maestri forgiatori, misteri legati a ordini segreti e cacce a creature leggendarie — si va ben oltre senza percepire alcuna sensazione di riempitivo artificiale.

Blades of Fire non offre alcuna componente multiplayer, né cooperativa né competitiva, scelta che appare coerente con la visione autoriale e introspettiva dell’opera, che valorizza l’intimità del percorso individuale. E anche il prezzo, in linea con gli ultimi baluardi del buon senso come Clair Obscur e il prossimo Mafia, lascia intendere che c'è ancora spazio per costi ragionevoli in questa industria.

In ultima analisi, Blades of Fire rappresenta una delle rare incursioni nel genere action RPG capaci di coniugare profondità di gameplay, rigore estetico e visione autoriale. Lungi dall’essere una semplice iterazione su modelli preesistenti, l’opera di MercurySteam dimostra che è ancora possibile proporre qualcosa di diverso all’interno di un genere apparentemente saturo, a patto di avere il coraggio di scegliere, di sottrarre, di costruire attorno a un’idea forte.

Il gioco, imperfetto in alcuni dettagli secondari — come la gestione talvolta ambigua della telecamera negli spazi ristretti o una certa ridondanza nei dungeon minori — riesce tuttavia a offrire un’esperienza coesa, densa, capace di mettere alla prova non solo l’abilità tecnica, ma anche la capacità interpretativa del giocatore. 

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