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Recensione

Atari 2600+ | Recensione - Quarantacinque anni e non sentirli... o quasi

La riproposizione di Atari2600, la storica console casalinga che creò un pubblico dal nulla, arriva sugli scaffali. Solo nostalgia o c'è dell'altro?

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

In sintesi

  • Una console retro che si rivela molto fedele all'originale.
  • Buona qualità costruttiva generale.
  • Prezzo più elevato del dovuto.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Atari2600+
Atari2600+
  • Sviluppatore: Atari
  • Produttore: Atari
  • Distributore: Atari
  • Data di uscita: Novembre 2023

C'è ancora spazio nell'ormai affollato mondo delle mini console da salotto? Dove finisce l'effetto nostalgia e comincia il reale bisogno di questi dispositivi?

Perlopiù ignorate dalle nuove leve videoludiche, queste riproposizioni si sono rivelate spesso un grosso successo commerciale, diventando sold out in pochissime settimane per poi ascendere al ruolo di oggetti di culto, per la gioia dei bagarini che popolano la rete.

Atari, una delle pioniere dell'intrattenimento casalingo, non aveva ancora detto la sua, ed era quindi con grande trepidazione che la community attendeva la pubblicazione dell'Atari 2600+, che prova a far riscoprire un'epoca di grandi classici.

L'abbiamo provato per voi e siamo pronti a dirvi tutto a riguardo.

Rock like it's 1981

Di dimensioni ridotte rispetto all'originale – che, lo ricordiamo, era una bella bestia – Atari 2600+ ne mantiene però le linee stilizzate e nette, e quell'aspetto a metà tra la console di videogiochi ed il soprammobile country anni '70, più a suo agio in una roulotte parcheggiata in un paesino dell'Oklahoma che nel salotto moderno di un videogiocatore.

La parte frontale presenta lo slot per le cartucce, i selettori metallici per il Game Reset ed il Game Select, l'interruttore di accensione e quello per la selezione dei colori.
L'impressione immediata è quella di essere entrati dentro una macchina del tempo come Marty McFly e, per rinforzarla ulteriormente, l'azienda californiana, attualmente guidata da Wade Rosen, ha scelto di privilegiare i possessori di cartucce originali dell'Atari 2600 e del suo successore, il 7800.

Atari 2600+ non è allora solo il tentativo di monetizzare sulla nostalgia degli ultraquarantenni di oggi, ma anche quello, assai più romantico, di riportare indietro le lancette del tempo fino alla seconda metà degli anni '70, quando la società fondata da Nolan Bushnell e Allan Alcorn era pioniera di un mercato ancora tutto da scoprire, quello dell'intrattenimento casalingo di tipo videoludico, ed ogni sua proposta commerciale aveva l'alone della genialità.

Atari 2600 ebbe il merito di realizzare l'idea di una console casalinga con cartucce intercambiabili.
Pubblicato nel 1977 (e giunto qualche mese dopo anche in Italia), l'Atari 2600 rappresentò non solo un enorme successo commerciale, come testimoniato anche da un ciclo vitale di innaturale lunghezza, che terminò solo quindici anni dopo, ma anche la realizzazione dell'idea originaria del duo di talentuosi sviluppatori americani: una console casalinga a cartucce intercambiabili, capace di intrattenere per migliaia di ore con le tipologie più disparate di videogiochi e non solo con il pure divertentissimo Pong.

Dalle pubblicità d'epoca all'apertura ai videogiochi da parte di un Paese tradizionalista come il nostro, i fatti di rilevanza storica e la crescita del neonato medium videoludico si intrecciarono e contribuirono a fare dell'Atari VCS (questo era infatti il suo nome originario, acronimo per Video Computer System) un mito anche oltre i suoi reali meriti, trasformandolo in oggetto del desiderio per moltissimi giovani dell'epoca, in Italia e nel mondo.

Per quanto ci riguarda, è impossibile pensare all'enorme successo che la prima console casalinga di Nintendo, il NES (e, in misura minore, il Master System II di Sega), riscosse a tutte le latitudini senza ricondurne almeno una parte al pubblico che Atari aveva creato con la sua invenzione.

Fedele a se stessa, incurante dei rischi

La strada percorsa dall'Atari di oggi, pur così diversa da quella che ha fatto la storia del videogioco casalingo, è comunque particolarmente virtuosa, anche se forse non particolarmente lungimirante dal punto di vista meramente commerciale: oltre ad optare per controller cablati, che si connettono alla macchina tramite un connettore a 9 pin identico a quello originale, la compagnia ha scelto di includere un slot funzionante per le cartucce, che garantisce, come anticipato, un buon livello di compatibilità anche con il modello successivo di Atari, il 7800.

Questo vuol dire che chi possedesse ancora delle cartucce funzionanti dello storico sistema, magari in soffitta o come delle reliquie sulla mensola dello studio, potrà soffiarci dentro, inserirle nella console ed iniziare immediatamente a giocarci, come se il tempo si fosse fermato al 1981.

Questa scelta, mutuata dal recente Evercade, recensito su queste pagine nelle sue varie iterazioni, si traduce nell'impossibilità per quanti non posseggano una o più di queste cartucce a giocare ad altro che non sia uno dei dieci giochi inseriti nella cartuccia che accompagna il packaging in vendita, assai più scarno di quello dedicato alla stampa che abbiamo ricevuto noi, che comprende invece quattro differenti cartucce.

Per quanto abbiamo visto, allora, la riproduzione dell'esperienza di gioco reale è rigorosa e senza eccezioni, e non consente di caricare rom da scheda SD, in assenza di uno slot apposito: per giocare necessiterete sempre della cartuccia originale – e, come per un gioco PS5 su disco, essa dovrà essere sempre inserita per poterne usufruire.

Chi possiede ancora le cartucce originali potrà recuperarle in soffitta, soffiarci dentro e iniziare a giocarci su Atari 2600+.
E questo nonostante i giochi siano dumpati ed emulati, sfruttando la discreta potenza del chip SoC Rockchip 3128 che Atari 2600+ ha sotto il cofano, che durante le nostre prove non ha mai mostrato alcun tipo di incertezza, facilitato dalla scarsa prestanza grafica di tutti i titoli riprodotti.

Su tutti i principali canali di acquisto fisici ed online sono disponibili tanto il secondo controller quanto le cartucce con una selezione di giochi, ma i prezzi non sono dei più economici (circa 25 euro per il primo e 35 mediamente per le seconde) e questo rafforza l'impressione che Atari 2600+ sia stata pensata come una console per pochi.

Certo, Combat e Missile Command, quasi da soli, valgono il prezzo del biglietto, ma la mancanza di un secondo controller nel pacchetto iniziale rappresenta un'occasione persa, se è vero che la gran parte degli oltre cinquecento titoli pubblicati su Atari 2600 durante il suo ciclo vitale consentiva partite in cooperativa.

Si può accedere ai singoli giochi nelle cartucce che ne raccolgono diversi modificando il codice numerico sul retro della cartuccia, con una trovata che profuma di analogico e di nostalgia, perfettamente in linea con lo spirito del prodotto.

Prestazioni nella norma

L'output video a 720p sgrana brutalmente su televisori di ultima generazione dalla diagonale particolarmente generosa, ma appare più che adeguato per visualizzare titoli come quelli che girano su Atari 2600, e alla fine l'effetto a video non è poi così straniante come si potrebbe pensare, soprattutto se il fruitore ha passato i quaranta e ha giocato in bassa definizione per la gran parte della sua vita da videogiocatore.

Ovviamente questa versione miniaturizzata dell'originale non presenta parti in legno, ma la plastica utilizzata non è di bassa qualità e la sensazione, tanto visiva quanto tattile, è buona, grazie anche agli inserti in metallo e alla solidità restituita dai controller, tanto quello in dotazione con la console quanto i Paddle CX 30+, da acquistare a parte.

Avremmo gradito, visto anche il prezzo richiesto, che nella confezione fosse incluso anche un adattatore per la rete elettrica, la cui assenza costringe a riadattarne uno che potreste avere già in casa o ad occupare una delle preziose porte USB del vostro televisore.

La console presenta poi diversi selettori meccanici, tra cui quello per la difficoltà, quello per selezionare la ratio di visualizzazione (l'opzione 4:3 farà a pugni con il vostro televisore, ma preserva le dimensioni originali) e quello che consente persino di visualizzare i contenuti in bianco e nero – fanservice puro per chi videogiocava già all'epoca del debutto sul mercato della console.

Siamo rimasti soddisfatti, come anticipato, dalla solidità costruttiva dei materiali tanto del corpo macchina quanto dei controller inclusi nella versione da noi testata, e comunque la già menzionata possibilità di usare quelli originali dovrebbe consentire ai più navigati di rimettere mano ai loro vecchi, amatissimi pezzi di antiquariato, purché ben conservati nel tempo: la polvere e la trascuratezza, purtroppo, possono giocare brutti scherzi.

Voto Finale

Conclusioni Finali di SpazioGames

Pro

  • Solidamente costruita

  • Permette di rivivere emozioni a lungo sopite...

Contro

  • ... ma a quale prezzo?

  • Pensata e realizzata solo per una nicchia ristretta di giocatori

  • Appeal dei giochi abbastanza discutibile, quarant'anni dopo

Commento

Con una scelta estremamente coraggiosa ma altrettanto rischiosa, Atari decide di proporre sul mercato, a costi non esattamente concorrenziali, una console indirizzata quasi esclusivamente ai cultori d'epoca, che hanno saputo custodire come un tesoro le loro cartucce ed i loro controller originali per più di quarant'anni.
Complici una buona qualità costruttiva e diverse strizzate d'occhio ai più nostalgici, Atari 2600+ potrà sicuramente concorrere a diventare il regalo di Natale più ambito per i bambini dei primi anni ottanta, quarantenni di oggi.
Per tutti gli altri videogiocatori, ovvero la stragrande maggioranza, però, il progetto nostalgia messo in piedi da Atari è troppo rigoroso e troppo costoso per essere davvero appetibile, a causa della scarsa reperibilità delle cartucce originali e dell'altrettanto scarso appeal grafico dei giochi in esse contenuti.
Le sensazioni controller alla mano sono positive, a patto che le si sia già provate una vita fa o di scendere a compromessi con titoli che hanno sì fatto la storia del medium ma che accusano inevitabilmente il peso dei quattro decenni intercorsi dal loro debutto sul mercato.
Se appartenete alla nicchia che era evidentemente l'obiettivo del publisher americano, potreste trovare pane per i vostri denti qui (e tante, nostalgiche gioie), ma in tutti gli altri casi il gioco, probabilmente, non vale la candela. Quantomeno non ai centoventi euro richiesti al lancio del prodotto.