Recensione

Total War Saga: Thrones of Britannia - Recensione

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Avvisaglie di futuri disastri toccarono la terra dei Northumbri e atterrirono profondamente la popolazione. Ci furono grandi tornadi e lampi di luce e fieri dragoni furono visti volare nell’aria. A ciò seguì una grande carestia e in quello stesso anno alle VI Idi di Gennaio un’incursione di pagani distrusse la casa di Dio a Lindisfarne con saccheggi e uccisioni. Sige morì alle VIII Calende di Marzo“. Con queste parole, la Cronaca Anglosassone – una lunga raccolta sul basso medioevo delle isole britanniche – narra l’inizio dell’invasione dei vichinghi, nel tragico giorno in cui i veloci drakkar approdarono sulle sponde dell’Isola Santa e si compì la distruzione dell’abbazia di Lindisfarne e il massacro di monaci, donne e bambini. Il 793 rappresenta un punto di svolta per l’Europa tutta ma, in modo particolare, per le isole britanniche, che da quel 8 giugno rappresentarono il terreno della lotta senza quartiere tra i popoli del nord e gli anglosassoni, da sempre a loro volta scossi al proprio interno da faide e scontri con i clan gaelici. Questo è lo scenario in cui è ambientato Total War Saga: Thrones of Britannia, il primo capitolo di una serie di titoli che, sotto l’etichetta comune per l’appunto di Total War Saga, andrà ad esplorare scenari più ristretti, analizzando contesti storici limitati da un breve arco temporale, dove si sono contraddistinti alcuni nomi celebri rimasti impressi a caratteri cubitali sul grande libro della Storia. 
878 a.D
Chiedete ad uno storico di spiegarvi cosa sia stato l’Alto Medioevo e, da esperto in materia, partirà subito mettendo in evidenza la pochezza delle fonti scritti, una scarsità che ha lasciato parecchi punti in sospeso, gettando ancor più nell’ombra un periodo da sempre visto come oscuro e difficile, per lo più segnato da invasioni e massacri. Strano a dirsi, ma una delle poche regioni su cui si hanno più informazioni sono le isole britanniche, grazie alle numerose cronache raccolte nei monasteri e stilate dai segretari delle corti dei singoli regni. Fra le più celebri spiccano la Historia ecclesiastica gentis Anglorum, scritta da Beda il Venerabile, la Cronaca anglosassone, gli Annales Cambriae e gli Annali di Ulster ma, soprattutto, la lunga testimonianza tramandata da Asser Thorkilsson. Il vescovo di Lund è infatti la principale fonte di notizie su Alfredo il Grande, venerato come santo dalla chiesa cattolica e forse il più grande re della storia degli anglosassoni, l’ultimo baluardo che riuscì a respingere l’invasione dei razziatori provenienti dalla Scandinavia, in due battaglie che segnarono l’arresto dell’espansione vichinga. Il primo scontro, ad Ashdown, segnò l’inizio dell’ascesa di Alfredo, che da lì a breve diverrà re del Wessex dopo la morte di suo fratello Etelredo, ma fu con la battaglia di Ethandun che gli anglosassoni riuscirono a sconfiggere in maniera decisiva i vichinghi che, sotto la guida di re Guthrum, si attestarono nel Danelaw, lungo le coste orientali dell’odierna Inghilterra. Proprio nel 878 d.C, dopo la pace di Edmor che sancì la divisione dei territori di buona parte dell’isola, è ambientato Total War Saga: Thrones of Britannia (d’ora in poi solo Thrones of Britannia), un ritorno alle ambientazioni storiche in grande stile per Creative Assembly, la quale, grazie allo scenario più contenuto e grazie all’ausilio di figure accademiche come Neil McGuigan, docente dell’università di St.Andrews, ha fornito un’accurata diapositiva del contesto storico-culturale, adottando ad esempio i nomi in lingua originale per le fazioni, per i personaggi e per i territori, questi ultimi con una conformazione morfologica studiata in profondità: sono piccoli dettagli, ma sono questi a fare la differenza e a soddisfare i fan più fedeli. Inoltre, è giusto rassicurare tutti i giocatori sulle dimensioni della mappa, per nulla ridotta nonostante comprenda solo i territori delle due isole britanniche principali e che è paragonabile per estensione a quella di Total War: Attila. Alfredo il Grande e Guthrum, West Saexe e Danelaw, sono alcuni dei protagonisti principali della campagna in sigleplayer di Thrones of Britannia, ma non sono affatto gli unici. Le fazioni sono infatti ben dieci, raggruppate in cinque culture differenti: i regni anglosassoni, i regni del Galles, i regni gaelici – situati in Irlanda e Scozia – i regni vichinghi e gli altri clan scandinavi frammentati lungo le coste. Ciascuna fazione è estremamente caratterizzata e, in questo senso, si nota l’influsso dei due recenti Total War: Warhammer, dato il focus sugli “eroi”, attorno a cui ruota un aspetto narrativo determinato da numerosi missioni ed incarichi che scandiscono la campagna. Inoltre, ciascuna potenza ha delle condizioni di vittoria differenti, legate anche al loro background storico, sottolineato e valorizzato da filmati introduttivi creati ad hoc. 
Vecchio e nuovo
La caratterizzazione delle fazioni non è l’unico punto in comune tra Thrones of Britannia e i precedenti Total War, perché anche la gestione della fazione per alcuni tratti si avvicina a Shogun II e Attila, anche se è stata ampliata e valorizzata la distribuzione delle provincie a governatori e comandanti. Per simulare le lotte intestine e le frequenti defezioni fra i clan che componevano i Petty Kingdom – nome con cui si identificano i frammentati regni dell’Inghilterra del IX secolo – o i territori dell’Irlanda sono state implementate molte opzioni legate alla fedeltà e all’influenza dei governatori e comandanti, sempre pronti a voltare le spalle e a far sorgere una guerra civile. L’accento posto su questo aspetto valorizza la componente gestionale, sottolineando come il pericolo possa venire sia da fuori come da dentro, tra assassinii, matrimoni, complotti e province da dare in affidamento ai vari capi clan, un lato che spesso nella serie ideata da Creative Assembly aveva sempre trovato poco spazio e che, seppur da lontano, inizia ad avvicinarsi alle dinamiche presenti in Crusader Kings. I parametri da tenere sotto controllo sono decisamente aumentati, come la lealtà e l’influenza, così come non manca un “sentimento popolare”, quel fervore di guerra che indica quanto i propri cittadini siano ancora disposti a proseguire le belligeranze. 
Anche la divisione della mappa è un connubio tra vecchio e nuovo: il sistema delle province è mutuato da quelle introdotto con Rome II, dove c’è un insediamento principale, con mura e guarnigioni, e una serie di villaggi secondari, questa volta però praticamente indifesi, un po’ come accadeva nei titoli precedenti a Medieval II. Questi sono però allo stesso tempo simili alle città minori di Empire Total War, con edifici già prestabiliti e dagli slot molto limitati e sono necessari per garantirsi entrate economiche, le adeguate risorse di cibo e per l’ordine pubblico del regno. Questi insediamenti secondari hanno un’importante valenza strategica, perché occuparli con le proprie truppe significa minare dalle fondamenta la stabilità della potenza nemica, causando una carestia o una ribellione. Ovviamente c’è il rovescio della medaglia, perché la difesa delle proprie fattorie o miniere diviene un elemento necessario alla sopravvivenza del proprio regno. L’assenza di difese per questi villaggi spinge il giocatore a trovare vie strategiche in un sistema di attacco e difesa continuo, fatto anche di razzie e rapide incursioni, che ben simula il modo di fare la guerra nell’Alto Medioevo. La facilità con cui vengono occupati tali territori, data l’assenza di guarnigioni, priva però le offensive di quel fattore risk & rewards, che dovrebbe essere alla base di qualsiasi strategico. Tale scelta di design riduce anche il numero di battaglie, in particolar modo quelle d’assedio, oramai sempre più spesso sacrificate nei vari Total War. Questa scelta risulta comunque giustificabile se si tiene conto dell’accuratezza storica, perché i lunghi assedi a città e castelli erano più una rarità che una consuetudine nell’Alto Medioevo. Per correttezza occorre però aggiungere che gli insediamenti principali sono stati costruiti con perizia e correggendo molti degli errori del passato: assaltare una città è una vera impresa ma, cosa più importante, la battaglia non si riduce a tanti piccoli scontri isolati fra case di paglia e strette vie – Attila e Rome II da questo punto di vista sono stati davvero l’esempio negativo – ma esistono punti tattici in cui vi è maggiore ampiezza per le manovre e in cui gestire al meglio la ripartizione delle truppe. Inoltre, gli assedi hanno una durata maggiore, vista la presenza di più strutture difensive e di luoghi chiave in cui organizzare la resistenza, anche quando si è in evidente inferiorità numerica. 
Spending review
Thrones of Britannia vive costantemente in equilibrio tra passato e futuro e, in questo senso, i sistemi di reclutamento e le battaglie ne sono un perfetto esempio. A differenza dei precedenti capitoli, tutte le tipologie di truppe possono essere reclutare ovunque si trovi l’esercito, non più esclusivamente quando questo è al riparo delle mura amiche e con l’edificio necessario presente nell’insediamento. Per evitare che nuove schiere spuntino come funghi dopo una giornata di pioggia, Creative Assembly ha comunque posto alcuni freni. Innanzitutto, le forze appena reclutate non saranno a ranghi completi e per rinsaldare le fila occorrerà comunque sostare presso qualche proprio insediamento. In secondo ordine, le scorte di cibo pongono un freno al reclutamento indiscriminato di nuove truppe, che saranno sempre a disposizione anche quando i granai saranno esauriti, ma al costo di pesanti penalità e con il rischio di veder defezionare buona parte dell’esercito. Inoltre, i rinforzi sono ottenuti anche in seguito alle vittorie militari e tale meccanica ben simula il concetto di spedizione/incursione tipica di quel periodo storico. Nonostante questi limiti, è evidente come la scelta adottata dal team di sviluppo vada nella direzione di una maggiore velocizzazione dei turni, processo – deriva direbbe qualcuno – in corso da alcuni capitoli a questa parte e che Thrones of Britannia non fa nulla per fermare, anche a causa di altri piccoli accorgimenti. Le unità più potenti sul campo di battaglia non sono più “spezzettate” ad esempio tra diverse caserme e scuderie, da costruire tier dopo tier, ma sono legate solo ad alcune tecnologie: se prima occorreva studiare a fondo cosa e dove edificare, ora tale scelta viene praticamente azzerata, semplificando in modo netto la pianificazione del proprio regno. Con Thrones of Britannia si ha quindi l’impressione che la gestione della fazione sia stata legata non tanto all’oculato sviluppo territoriale e a fattori come igiene e ordine pubblico, quanto più alle correnti interne ai clan e alle continue lotte di potere, da sedare in ogni modo, una strada divisiva e che rischia di scontentare una fetta dei fan. Questa sensazione è inoltre confermata dall’assenza di spie, campioni e di tutte quelle unità singole che, in passato, venivano ad esempio sfruttate per migliorare l’ordine pubblico o per intaccare i piani nemici. In apparenza anche gli alberi delle tecnologie sono stati semplificati, ma in questo caso si tratta più di una scelta di design e non di una vera spending review: le nuove ricerche sono infatti distribuite in modo più lineare, ma la loro diversificazione e il legame con alcuni mini-obiettivi – come reclutare un certo numero di truppe o costruire un certo edificio – rende necessaria una pianificazione su cosa potenziare inizialmente e cosa invece lasciarsi alle spalle. Purtroppo però il percorso tecnologico segue gli stessi passi a prescindere dalla fazione, privando queste ultime di un ulteriore spinta in direzione di una profonda caratterizzazione. 
Sul campo di battaglia, come era del resto ovvio, Thrones of Britannia taglia i ponti con i due Total War: Warhammer, riportando in auge scontri meno spettacolari visivamente, ma sempre stratificati e in cui la tattica ritorna prepotentemente, anche grazie all’accurato studio delle tecniche realmente adottate dagli eserciti che insanguinarono le isole della Britannia nell’Alto Medioevo. Lo stesso Alfredo il Grande ebbe la meglio sulle schiere vichinghe lottando “alla romana”, sfruttando al meglio il muro di scudi innalzato dalla sua fanteria, mentre le armate gaeliche guidate da Flann Sinna riuscirono ad imporsi nell’isola irlandese grazie all’abilità dei propri arcieri. Tutte queste tattiche di guerra e le caratterizzazione degli eserciti sono ben presenti in Thrones of Britannia: pur senza arrivare agli estremi delle schiere fantasy del mondo di Games Workshop, tutte le fazioni sono ben differenziate e godono di alcuni punti di forza e di debolezza. Inoltre, le battaglie hanno subito alcuni piccoli ritocchi, che possono sembrare di poco conto, ma che in realtà modificano in profondità gli scontri: i singoli soldati ora, proprio per simulare la tattica di re Alfredo, sono meno distanziati all’interno di un’unità e gli assalti frontali della cavalleria vengono respinti in modo più credibile, con i cavalli che si arrestano ed indietreggiano davanti alle lance puntate verso di loro. Al contrario, le unità di cavalleria sono state “allargate” e questo accorgimento ha reso più realistici gli scontri tra queste tipologie di unità, con frequenti cariche e con un minore effetto bubbling (avete presente quando si crea quella nuvola indistinta di truppe che sembrano dei moscerini? Ecco, esattamente quello). Inoltre, nel menù delle opzioni è ora possibile attivare alcune impostazioni per l’esercito, attivando ad esempio di default la corsa  al posto della marcia o la modalità schermaglia: questa scelta, da un lato evita alcuni fastidi tipici del micromanagement, ma è forte lo scetticismo sul loro impiego da parte dei generali più navigati. 
Al di là di questi rinnovamenti, le battaglie si basano sulle dinamiche classiche della serie e sull’interazione tra cavalleria, picche, spade e unità da lancio, anche se, dopo Empire: Total War e Napoleon: Total War, le mappe risultano ancora una volta piuttosto ristrette e il tempo in cui viene deciso l’esito dello scontro difficilmente supera la mezzora. Qualche perplessità riguarda anche l’UI, con gli indicatori delle varie tipologie di unità poco chiari in prima battuta e con i loro stati – stabili, vacillanti o in ritirata – scarsamente evidenziati. Fanno un gradito ritorno anche le battaglie navali – anche nella versione “mista” con quelle di terra – anche se la loro presenza è stata castrata dall’assenza di varianti in termini di imbarcazioni ed è esclusivamente collegata ai normali eserciti in movimento sulle acque. Mettendo su una bilancia le novità introdotte e i sacrifici avvenuti, purtroppo la pesa di Thrones of Britannia scivola verso questi ultimi, ma la realtà è l’ultima fatica di Creative Assembly cerca di essere qualcosa di diverso, capace di distaccarsi dai suoi “fratelli maggiori” e anche il prezzo budget a cui viene venduto va letto in questa ottica. Sia ben chiaro, il primo capitolo di questa nuova Total War Saga non è affatto un gioco dimenticabile, presenta spunti interessanti, che si auspica verranno sfruttati anche in futuro, ma i fan di lunga data storceranno il naso davanti ad alcuni limiti. 
Fotografie dal Basso Impero
Thrones of Britannia sfrutta il medesimo motore di gioco impiegato in Total War: Attila, rivisto e rimodernizzato in un’ottica di miglioramento delle prestazioni, anche se, nonostante l’engine non sia più recentissimo, i requisiti di sistema sono molto più vicini a quelli di Total War: Warhammer e Total War: Warhammer II, due titoli dall’impatto visivo più accattivante e spettacolare. Considerazioni hardware a parte, il colpo d’occhio restituito, sia durante le fasi a turni che durante le battaglie in tempo reale, rimane sempre ottimo, con la mappa di gioco ricca di dettagli e impreziosita dai vari climi stagionali, mentre i terreni su cui si svolgono le battaglie sono stati valorizzati inserendo alcuni piccoli dettagli, come gli edifici di un insediamento nel caso in cui la lotta si svolga nei pressi del centro abitato. Anche i modelli delle unità sono decisamente validi e vari, le animazioni fluide e, nonostante gli scontri su larga scala, questi ultimi scivolano meno verso il caos, evitando il rischio di quelli assembramenti di corpi indefiniti.
Hardware
Requisiti minimi:
– Sistema operativo: Windows 7 64Bit
– Processore: Intel® Core™ 2 Duo 3.0Ghz
– Memoria: 5 GB di RAM
– Scheda video: NVIDIA GTX 460 1GB | AMD Radeon HD 5770 1GB | Intel HD4000 @720p
– Memoria: 30 GB di spazio disponibile
Requisiti consigliati:
– Sistema operativo: Windows 7 / 8 (8.1)/ 10 64Bit
– Processore: Intel® Core™ i5-4570 3.20GHz
– Memoria: 8 GB di RAM
– Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 770 4GB | AMD Radeon R9 290X 4GB @1080p
– Memoria: 30 GB di spazio disponibile

– Ottima ricostruzione storica

– Focus sulle dinamiche interne delle fazioni

– Ritornano le tattiche in battaglia per le singole unità

– Graficamente sempre valido

– Tornano le battaglie navali…

– Troppe semplificazioni nel lato gestionale

– Pochi edifici e poche scelte sui territori

– UI in battaglia poco chiara

– … Ma solo a metà

7.5

Lo scopo principale della nuova etichetta Total War Saga è quello di gettare luce su un periodo storico ristretto, focalizzando l’attenzione sui protagonisti che segnarono quel preciso momento e Thrones of Britannia riesce in pieno nel suo intento, ricreando in modo storicamente accurato le vicende che segnarono l’Alto Medioevo britannico, dopo le prime incursioni dei vichinghi. L’obiettivo è stato raggiunto accentuando le dinamiche interne alla fazione e valorizzandone i leader, con un sistema dinastico e di rapporti fra i clan ben contestualizzato all’interno del IX secolo delle isole britanniche. Purtroppo Thrones of Britannia è stato però privato di alcuni punti fermi oramai consolidati nella mente dei fan degli strategici firmati Creative Assembly e le semplificazioni in fatto di gestione dei territori sono piuttosto evidenti, con imposizioni strategiche che limitano la scelta del giocatore.

Voto Recensione di Total War Saga: Thrones of Britannia - Recensione - Recensione


7.5