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Recensione

The Guilt and the Shadow

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 06/04/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6

Il protagonista di The Guilt and the Shadow non sopporta più quell’odore. Sente il sudore degli altri sul divano dal quale osserva il soffitto, mentre le pale del ventilatore ruotano pigramente senza mai fermarsi. È dallo psichiatra, al quale racconta in modo confusionario e con frasi smozzicate ciò che lo tormenta ormai da tempo, qualcosa di non immediatamente comprensibile, di oscuro, di terribile. La sua priorità assoluta, adesso, è La Barca e il modo in cui raggiungerla. È lì, la vede con gli occhi della mente, ed è l’origine di ciò che sembra molto più opprimente di un’acuta disforia.
Lo struggimento del passato
La mancanza di equilibrio dell’uomo è pressoché la stessa che intercorre tra la storia e il gameplay, con quest’ultimo fortemente svantaggiato nei confronti della trama, che resta comunque criptica e appena suggerita fino ai titoli di coda. Sarebbe possibile accettare questo forte sbilanciamento tra le due parti solo quando una delle due componenti si presentasse talmente forte e ben strutturata da riuscire in qualche modo a sopperire alle mancanze dell’altra, ma non è purtroppo il caso di The Guilt and the Shadow, che cade vittima di un minimalismo capace di svilire quanto di buono viene presentato nella premessa. Bisogna innanzitutto dire che l’idea di fondo è senz’altro ottima: viene dipinto, con tinte molto fosche, il dramma personale di un uomo afflitto da un insormontabile senso di colpa che lo tormenta da tempo, impedendogli di condurre una vita sana e priva di tribolazioni. In questo ripetersi ossessivo di immagini cupe, lente, bigie e quasi tutte monocromatiche, la ricerca della barca come simbolo e causa primaria del male che ha sconvolto la vita del protagonista diventa per il giocatore una fonte di curiosità e mistero che lo avviluppa sin dall’inizio. In questo “corto” indie (dura appena un’ora) tutto ciò che vi verrà chiesto è un continuo spostamento da una zona all’altra all’interno dei pochi livelli messi a disposizione, con una lentezza a tratti esasperante; e di tanto in tanto, soprattutto nei punti nodali, bisognerà risolvere degli enigmi andando a tentativi, senza usare mai davvero la materia grigia. 
La colpa, l’ombra e la barca
Se di primo acchito sarete portati a pensare che il sistema di gioco si vada pian piano aprendo, e che avanzando lungo l’avventura il protagonista possa in effetti compiere azioni diverse dal solito passeggiare afflitto, vi sbagliate di grosso: The Guilt and the Shadow ha un grosso problema che risiede esattamente nel gameplay, sin troppo minimalista e asciutto per riuscire a coinvolgere anche il giocatore più paziente e appassionato, che si ritroverà per certi versi costretto ad arrivare ai titoli di coda e all’ottima rivelazione finale dovendo suo malgrado sopportare dei ritmi da bradipo. Il titolo sviluppato da Federico Machuca è completamente incentrato sul senso di colpa del protagonista, che “’deve tenersi in tutti i modi la testa impegnata’, ha detto lo psichiatra”; ed è esattamente ciò che fa, proiettando il proprio io in lugubri ambientazioni che sono gli antri del passato in cui risiedono i frammenti di verità che lo porteranno man mano a ricostruire la reale versione dei fatti che tanto lo angustiano. Non crediate però che la storia sia ben articolata, chiara o approfondita, perché in The Guilt and the Shadow viene fornito all’utente lo stretto necessario. E forse questo è un bene, soprattutto per via dell’esigua durata dell’avventura che non permette le intrusioni di grandi quantità di testi o filmati esplicativi. Tutto è basato sull’atmosfera, sul senso di vuoto e sull’ossessione di un uomo che non riesce più a riprendersi da uno shock. Ed è una costruzione narrativa sibillina, che si evolve in punta di piedi, senza fare nessun rumore.  
Mondo interiore
Il comparto tecnico del gioco è molto modesto e spartano, ma sono tutte carenze che vengono ben controbilanciate dal lato prettamente artistico, grazie a soluzioni visive mai elaborate ma certamente uniche e particolari. È il caso delle sezioni finali, dove vengono messe in scena delle scenografie che sembrano uscite fuori da un inquietante teatro per bambini. A esclusione di quest’ultime, anche qui c’è poco da rallegrarsi: lo stile grafico è piuttosto particolare e ricercato, ma la frequenza con cui si ricorda di esistere è sempre molto bassa, relegando tutta la costruzione degli ambienti e del game design a sporadici esercizi di sperimentazione ben riuscita. Ben orchestrate le musiche, sebbene non siano esattamente eccezionali: quando all’inizio vi viene chiesto di infilarvi un paio di auricolari e spegnere la luce, viene automatico pensare a brani avvolgenti o carichi di angoscia, ma la realtà dei fatti evidenzia un lavoro generale che è solo buono, senza essere mai superlativo. The Guilt and the Shadow va insomma considerato per ciò che è senza avere grosse pretese, soprattutto per quanto riguarda il puro intrattenimento “pad alla mano” (per modo di dire, visto che si può giocare solo con la tastiera).
Vorremmo davvero premiare in qualche modo una storia comunque buona, capace di inglobare al suo interno problematiche importanti senza svilirle o farle apparire banali o caricandole di cliché, ma le sue gravi mancanze demoliscono quel poco che rimane da salvare in questa mancata perla indie.

HARDWARE

MINIMUM: OS: Windows 7 and up Processor: 2.0ghz Memory: 2 GB RAM Graphics: 512MB Hard Drive: 700 MB available space Additional Notes: No controller support

– Storia originale, costruita attorno al senso di colpa del protagonista

– Buona colonna sonora, che arricchisce di molto l’atmosfera di gioco

– Gameplay noioso, lentissimo e per nulla stimolante

– Dura meno di un’ora

– I puzzle sono insoddisfacenti

6.0

The Guilt and the Shadow offre troppo poco a qualunque tipo di giocatore, sia in termini di durata, sia da un punto di vista puramente ludico. C’è qualche discreta trovata, un lato artistico buono e poco altro che meriterebbe di essere menzionato, ma per il resto, l’opera di Federico Machuca è solo una buona storia costretta ad arrancare, perché ha deciso inspiegabilmente di ancorarsi alla caviglia un peso pachidermico: il suo soporifero gameplay. Oltretutto, dieci euro ci sembrano francamente eccessivi.

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