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Recensione

The Binding of Isaac

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Avatar di musehead

a cura di musehead

Pubblicato il 04/11/2011 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7.5

«Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò» Genesi, capitolo 22 della Bibbia. 

Un indie game griffato 
Una delle meraviglie dell’universo degli sviluppatori indipendenti è che non c’è bisogno di sponsorizzazioni per ottenere visibilità, dato che i prodotti che sono arrivati seguendo questa via si sono rivelati estremamente efficaci nel riproporre meccaniche di gioco prevalentemente abbandonate dai publisher di primo piano.Uno dei nomi eccellenti con il quale abbiamo familiarizzato recentemente è quello di Edmund McMillen, coder da sempre molto attivo sulla scena Flash che ha conosciuto il suo picco di popolarità durante lo scorso anno, tutto per merito di Super Meat Boy, platform game dalla difficoltà estremamente punitiva che ha fatto la felicità degli acrobati del pad (e della tastiera), senza dimenticare, però, il decisivo contributo artistico fornito all’acclamatissimo Braid, forse la più rilevante avanguardia dello scalpitante movimento indipendente. Il portale di distribuzione digitale Steam intuì la bontà di Super Meat Boy e si preoccupò di distribuirlo alla massa tramite i suoi generosi mezzi e di certo non si è lasciato sfuggire l’opportunità di pubblicare in esclusiva questa nuova opera di McMillen, appartenente ad un genere diverso e consapevole di abbracciare temi verso i quali l’opinione pubblica si è dimostrata puntualmente molto sensibile: religione e follia, ma soprattutto quella terribile linea di transizione che le divide. 
Infanzia interrotta 
Richard Dawkins diceva che gli uomini non si fanno problemi a definire un bambino musulmano o cristiano, mentre non si permetterebbero mai di apostrofarlo keynesiano o marxista, quando invece è semplicemente troppo giovane per comprendere argomenti di questa complessità. Immaginiamo pure cosa possa importare al piccolo Isaac delle convinzioni religiose della propria madre. Bambino sensibile, dolce ma rancoroso verso i suoi compagni che approfittano della sua mitezza per bersagliarlo dei peggiori scherzi che minano ogni attimo o gesto di intimità di Isaac. La sua casa è una sorta di zona franca, un recinto nel quale rilassarsi con i giocattoli preferiti ed i cartoni trasmessi in TV, con una mamma che lo cresce secondo i principi cristiani. La fragilità dell’animo umano, però, può essere vittima di allucinazioni e la realtà diventa preda della percezione: la mamma del ragazzo si convince di parlare con Dio (oppure è davvero così?), il quale la mette in guardia sulla corruzione del mondo che rischia di piegare l’animo del fanciullo. L’unica salvezza è privare Isaac della comunicazione televisiva e dell’inconsistenza dei suoi giocattoli, lasciandolo nella protezione delle quattro mura della sua stanza solo con sé stesso. Detto fatto, non si disubbidisce al potere divino. Ma nuove parole giungono dal Cielo, secondo le quali la donna, per dimostrare la sua fede, deve offrire suo figlio in sacrificio. Senza tentennamenti, la madre di Isaac impugna un coltello di cucina e si dirige verso la stanza di suo figlio, che la vede armata dirigersi a passo svelto verso di lui. E’ già arrivata la sua fine? Al culmine della sua disperazione, nota una botola sotto il suo letto. Isaac fugge. 
Le infinite stanze del dolore 
Non c’è un semplice scantinato sotto la camera del bambino, ma cosa sia quel dungeon pullulante di mostri lo capiremo strada facendo. Il gameplay si distribuisce in livelli costruiti tramite la successione di schermate rettangolari, delle stanze all’interno delle quali si aggirano mostri di varia natura. Per ottenere l’accesso a quella successiva sarà necessario liberare l’area da ogni nemico tramite una modalità di fuoco indipendente dalla direzione di movimento. Deja-vu? Assolutamente sì. E’ il principio di ogni dual stick shooter, categoria ludica che affonda le radici in un passato remoto che ci porta al 1982, anno in cui la Williams lanciò nelle sale giochi Robotron: 2084, in cui dovevamo sbarazzarci di travolgenti ondate di nemici impugnando due joystick, uno per muoversi e l’altro per sparare. E’ uno schema di gioco che se ha trovato fortuna in sala con Smash TV e Total Carnage, ha avuto qualche difficoltà in più nei salotti di casa, dove le periferiche di controllo non erano sempre molto adatte, con risultati migliori che si sono visti sul Super Nintendo che utilizzava i quattro tasti laterali per simulare le quattro direzioni del secondo joystick. Questo problema si è risolto con l’avvento del Dual Shock e dei suoi due stick analogici, seguito da molti altri produttori e che ha posto le basi per la rinascita di questo particolare filone di shooter che ormai ne ha viste di cotte e di crude. Paradossalmente, però, The Binding of Isaac non supporta il gamepad e ci chiede di affidarci a specifici programmi che simulano su di esso la pressione dei tasti per ovviare ad una limitazione non del programmatore ma del Flash con il quale il gioco è stato portato avanti. 
L’ “arma” di Isaac sono le sue lacrime che possono essere potenziate con gadget disseminati sulle mappe che gli permetteranno di aumentare la gittata come la potenza o persino di munirsi di una sorta di pod, ovvero di un piccolo supporto di fuoco. Esistono, tuttavia, power-up di vario genere per migliorare la velocità quanto la quantità di energia e molti accessori potranno essere acquistati in specifici negozi, ma un ruolo molto importante è costituito da bombe per distruggere lo scenario e da chiavi per aprire vari tipi di porte. La grande intuizione di McMillan è stata quella di rendere il gioco diverso ad ogni partita: i dungeon, infatti, verranno generati in maniera sempre diversa, con una variabilità che abbraccia non soltanto la disposizione delle stanze ma anche la locazione di segreti e nemici, fino a stravolgere ogni volta la successione dei boss. La quantità di armi, potenziamenti ed avversari è ragguardevole e molto ben differenziata al punto che al giocatore spetta adattare l’approccio allo scontro a seconda delle qualità acquisite strada facendo fino al termine dei sei livelli di cui ogni walkthrough completo è composto che rubano al massimo una mezzora di tempo. 
Arte ed angoscia 
Le capacità grafiche di Edmond McMillan non hanno bisogno di promotori migliori dei suoi precedenti lavori e The Binding of Isaac riparte esattamente dalla pulizia di geometrie che caratterizzava Super Meat Boy. Rispetto ad esso, però, quest’ultimo lavoro è meno debitore verso la corrente della pixel art e si muove verso curve più morbide, con cerchi ed ellissi a farla da padroni, guadagnandosi una personalità distinta che, tuttavia, si mantiene un gradino più in basso rispetto a quella del predecessore pur rimanendo su un livello molto apprezzabile. Le animazioni sono essenziali ma ben fatte e, come al solito, McMillan centra l’obiettivo di conferire una spiccata espressività agli sprite e una buona caratterizzazione ai nemici, che qui possono fare leva sulle suggestive ispirazioni religiose, che spesso sfociano nel demoniaco, per sfoggiare una creatività molto distinta. Purtroppo, ma per una precisa scelta di design, il fondale è sempre lo stesso, sul quale per fortuna danzano una serie impressionante di variabili costituite tanto dai nemici quanto da elementi decorativi che finiscono con il disegnare comunque il sentiero percorribile.Lo stile artistico scelto per The Binding of Isaac mira all’enfatizzazione del senso di oppressione e depressione, con personaggi che trasudano malignità e dolore che vengono supportati da musiche ed effetti sonori molto ben fatti e persino appassionanti che, purtroppo, nella loro estenuante rincorsa alla drammaticità rischiano di risultare prima o poi fastidiosi proprio a causa del loro carico emotivo. Il reparto audio è curato da Danny Baranowsky, compagno di lungo corso di McMillan, che mostra quanto sia maturo lo sforzo sinergico prodotto dai due, con una colonna sonora aderente al gameplay che si è guadagnata addirittura la possibilità di essere acquistata separatamente su Steam, anche se il suo peso all’interno dell’esperienza di gioco è così rilevante che sarà dura avvertire la voglia di riascoltare le sue angoscianti sinfonie in situazioni extra-ludiche. 
I vecchi tempi… non passano mai! 
Forse è giunta l’ora di riconoscere la graniticità della dottrina dei videogiochi di ogni tempo. Non esiste un genere scomparso, al massimo qualcuno è andato in difficoltà quando i costi di distribuzione diventavano impegnativi, ma la penetrazione del digital delivery ha risolto tutto. The Binding of Isaac è una prova inconfutabile della tonicità dello sparatutto come lo era Super Meat Boy per i platform game. E’ chiaro che all’interno di una categoria militino campioni e schiappe, ma per fortuna il nuovo lavoro di McMillan riesce a divertire a dovere. La freccia migliore nella sua faretra è indiscutibilmente l’imprevedibilità avanzata delle partite, che mai come in questo caso riesce a mescolare gli ingredienti rimanendo fedele ad un fattore di bilanciamento appassionante che ci costringerà a soppesare per bene molte mosse, consigliandoci parsimonia nell’uso di bombe e chiavi, la cui ristrettissima disponibilità ci imporrà delle rinunce. Ragguardevole anche la quantità di contenuti sbloccabili, che non si limiteranno alla consueta dose di accessori e potenziamenti, ma si spingeranno a nuovi personaggi controllabili e persino boss inediti. 
Nella sua inappuntabile esecuzione delle buone regole del gioco d’azione e nell’apprezzabile tratto stilistico bisogna anche trovare una dimensione per la principale ragione di esistere di un videogioco: il divertimento. Per quanto godibile sia questo prodotto, non si raggiungono momenti di particolare esaltazione, pur nella bontà dei singoli aspetti del tutto. L’effetto collaterale delle misure prese per garantire una rigiocabilità virtualmente infinita è quello di far crollare anche alcuni tratti distintivi che hanno decretato la popolarità dello shoot’em up, in particolare il “trial and error” che portava alla memorizzazione di ogni pericolo alla ricerca della partita perfetta, mentre The Binding of Isaac fa totalmente leva sull’improvvisazione, rinunciando quasi completamente ai vantaggi dello script. Ne viene fuori un gameplay solido che garantisce un’esperienza costantemente di buon livello, malauguratamente anche senza straordinari acuti. 
Gli unici difetti oggettivi del prodotto sono il mancato supporto nativo al pad e le richieste hardware sorprendentemente esose: se pensate che una grafica così pulita sia anche facile da gestire, avrete di che ricredervi, dato che un’esperienza fluida anche a tutto schermo sarà ad appannaggio delle CPU più performanti o delle risoluzioni meno spinte. 
The Binding of Isaac rimane un’esperienza consigliata che vi coinvolgerà finché scoprirete se l’epilogo del gioco coinciderà con quello del racconto originale. Il finale è sicuramente riuscito.

HARDWARE

Sistema Operativo: Windows XP, Vista, 7Processore: 2.5 GHzMemoria: 1GBHard Disk: 50MBScheda Video Scheda Compatibile Direct X9.0cDirectX®: DirectX® 9.0c

– Audio e video ispirati

– Livelli tutti nuovi ad ogni partita

– Molti contenuti sbloccabili

– Giocabilità buona, ma non straordinaria

– Atmosfera fin troppo straziante

– Pad non ufficialmente supportato

7.5

Ingegnoso e riuscito, The Binding of Isaac porta sugli scudi la sua capacità di rigenerarsi ad ogni partita, proponendo ogni volta nuovi dungeon con boss, nemici e segreti mescolati in maniera sempre diversa. Godibile la grafica ed orecchiabilissima la musica, ma l’atmosfera che di concerto definiscono è talmente straziante e sofferta che rischia di risultare invadente e pesante in un prodotto che mira alla rigiocabilità a lungo termine. La nuova opera di McMillan è perfetta per chi ama partite veloci ed intense, ma nella generale bontà dei suoi singoli aspetti difetta degli acuti tipici di un capolavoro.

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