Recensione

Splatterhouse

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a cura di andymonza

Gli anni ’90 vantano tra le loro icone quella del Parental Advisory: il celebre loghetto, che invitava all’attenzione i premurosi genitori e rendeva film, videogiochi e CD così affascinanti per gli adolescenti, trovava tuttavia la sua origine diversi anni prima. Correva il 1988 quando l’originale Splatterhouse fu rilasciato da Namco, primo videogioco della storia a sfoggiare un logo di cautela parentale sulla copertina. Erano anni in cui il sangue faceva ancora scalpore, eoni prima che Hostel e Saw consacrassero la pornografia della violenza a genere campione d’incassi. All’alba del 2011 Namco Bandai riporta sugli scaffali le sanguinolente avventure di Rick, come se quindici anni non fossero passati.

True bloodUna felice storia d’amore bruscamente interrotta, una ragazza rapita da ritrovare, un supercattivo e centinaia di mostriciattoli da sbudellare a mani nude: non si può certo dire che Splatterhouse offra granché in termini narrativi. In pochi secondi e senza troppi convenevoli vi troverete nei panni del protagonista Rick, il quale, grazie al fortuito rinvenimento di una maschera maledetta, guadagna straordinari poteri (ma non la simpatia di Jim Carrey, purtroppo). Il fulcro dell’intera esperienza, sia dal punto visivo che da quello pratico del gameplay, è il sangue. Esso sgorgherà copioso dalle pareti, dagli arti strappati, coprirà lo schermo durante le finishing move, sarà persino richiesto per risolvere alcuni rudimentali enigmi e sbloccare porte altrimenti sigillate. A parte questa interessante caratteristica, il titolo Namco non propone altro se non un continuo massacro protratto attraverso livelli rigorosamente lineari, il cui design si abbandona spesso e volentieri ad espedienti arcaici: quasi sempre le porte rimarranno chiuse fino a quando non avrete eliminato tutti i nemici presenti in una stanza. Gli appassionati dell’action vecchio stile potrebbero anche gioire, se un set di controlli decisamente approssimativo e meccaniche di combattimento piatte e ripetitive non rovinassero ulteriormente il gameplay. Gli attacchi standard si basano sulla consueta dicotomia rapido/potente, proponendo una lunga serie di combo ampliabile grazie al sistema di potenziamento, che naturalmente richiederà un pegno in sangue accumulato sul campo di battaglia per sbloccare nuove letali tecniche. Per quanto la schermata degli upgrade presenti un buon numero di opzioni, i controlli si rivelano macchinosi e poco rifiniti: è evidente ad esempio l’incapacità di valorizzare uno degli elementi più pubblicizzati del sistema di combattimento sin dall’annuncio del titolo, ovvero le cruente finishing move. Queste sono da attivare alla pressione di un tasto in prossimità di un avversario sufficientemente indebolito dai colpi standard, eppure l’impossibilità di interrompere le combo vi vedrà spesso e volentieri finire i nemici a pugni, incapaci di attivare la mossa finale. Questo genere di incuria si ripercuote sul salto, del tutto impreciso, sull’attivazione di certe combo, macchinose e difficili da memorizzare, sul platforming, davvero di bassa qualità. L’unica meccanica interessante e degna di nota è legata all’energia vitale, la quale potrà essere recuperata spendendo una parte del sangue solitamente utilizzato per lo mosse speciali: decisamente più originale della salute rigenerativa che ormai caratterizza la maggior parte delle produzioni d’azione, riesce quantomeno a distinguersi dalla massa. Più banale invece la forma demoniaca di cui Rick potrà disporre da un certo punto in avanti: accumulato un certo quantitativo di sangue potrete per qualche secondo fare a fette i nemici grazie a taglienti escrescenze ossee e ad una forza decisamente aumentata, il tutto accompagnato da una classica desaturazione dei colori a schermo.

Variazioni sul temaA spezzare il ritmo dell’azione, che vive di un curioso paradosso tra la frenesia dell’incedere e la noia che ben presto ne scaturisce, sono le immancabili boss fight e le decantate sequenze in 2D. Le prime non sono in grado di offrire grandi brividi: si tratterà perlopiù di prendere a pugni il colosso di turno, per poi completare una sequenza più o meno lunga di quick time event conclusivi: attenzione a non compiere errori o sarete rispediti all’ultimo checkpoint, esperienza decisamente punitiva per via degli interminabili caricamenti e dei punti di salvataggio spesso lontani tra loro. Decisamente meglio le sequenze in 2D: potrebbe trattarsi del gusto vintage più che delle meccaniche in sé, le quali continuano a soffrire dei controlli imprecisi, eppure questi brevi interludi funzionano meglio dei massacri a tre dimensioni. Dedicate a tutti gli appassionati della serie classica, esse sono affiancate dalla possibilità di sbloccare i tre titoli originali completando la modalità storia, un valore aggiunto che renderà la confezione senza dubbio appetibile per gli irriducibili del coin op. Portare a termine la breve campagna non richiederà più di sette, otto ore, valore solo leggermente aumentato dai collezionabili (frammenti di foto osé della compagna di Rick e grammofoni con registrazioni audio) e dalle stanze sfida dove completare brevi obbiettivi.

Comparto tecnicoPer quanto ad una prima occhiata questo remake sembri aver ricevuto un trattamento cel shading, quest’ultimo riguarda solo le texture, i cui colori si presentano volutamente “piatti” ed opachi. La struttura poligonale sottostante non è malvagia, così come le animazioni, anche se il concatenamento di queste ultime non sempre si presenti curato. Il design si rivela perlopiù monotono, sia per quanto riguarda le ambientazioni, sia per i nemici, i cui modelli non riescono a far breccia nella memoria del videogiocatore navigato. Musiche hard rock ossessive e un doppiaggio discreto chiudono il cerchio, senza infamia e senza lode anche per le orecchie.

– Contiene i tre capitoli originali

– Sequenze in 2D ben realizzate

– Combattimento banale e ripetitivo

– Design dei livelli grezzo

– Molti momenti frustranti

5.5

Splatterhouse giunge sugli scaffali fuori tempo massimo, puntando tutto su una cruenza che oggi come oggi non fa più scalpore, incapace di supportarla con un gameplay divertente o qualche trovata originale. E’ curioso che le sezioni migliori rimangano quelle in 2D, confermando l’impressione che il brand avrebbe meritato di rimanere indisturbato in un’epoca antecedente alla nostra; i fan della serie apprezzeranno la riproposizione delle atmosfere, e forse saranno disposti a sopportare le mancanze del gameplay pur di sbloccare i tre capitoli originali. A tutti gli altri appassionati di splatter è consigliata perlomeno una prova prima dell’acquisto, considerata la lista di difetti tanto copiosa quanto il sangue virtuale versato.

Voto Recensione di Splatterhouse - Recensione


5.5