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Recensione

Outlast 2

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 25/04/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Il merito più grande del primo Outlast non è stato aver dato vigore alla nuova ondata di survival horror in cui i protagonisti sono disarmati, indifesi e possono solo fuggire o nascondersi; è stato piuttosto il coraggio di aver presentato al pubblico un prodotto senza compromessi, senza censure, crudo, diretto e mai edulcorato. La visione artistica di Red Barrels non poteva piegarsi alle logiche della morigeratezza che avrebbe traviato in maniera irrimediabile l’idea alla base dell’opera, ma doveva essere sviluppata in totale libertà, raccontando gli orrori del manicomio criminale di Mount Massive in modo esplicito ed esaltando le barbarie di chi nella follia ci sguazza. Outlast 2, in tal senso, porta avanti questa tradizione e continua a indagare la perversione umana da un altro punto di vista: quello della pseudo-religione e delle sue derive più oscene, celebrando il male che alberga nell’animo oscuro dell’uomo, dove devianze sessuali, divinizzazione dell’io e crudeltà si fondono in una terribile ma perfetta istantanea che scandalizza ma non mente.
Il Villaggio dei Dannati
In questo nuovo capitolo impersonerete Blake Langermann, cameraman e marito di Lynn, una giornalista investigativa che vuole indagare sul possibile omicidio di una ragazza incinta dall’identità sconosciuta. Mentre girano un servizio sorvolando un’area nei pressi del deserto dell’Arizona a bordo di un elicottero, il velivolo va in avaria e precipita. Lynn è dispersa e Blake si ritrova da solo sul luogo del disastro, che coincide con l’entrata di un villaggio apparentemente abbandonato e immerso nel buio della notte. È l’inizio di un incubo a occhi aperti che coinvolgerà i due, testimoni di un orrore radicato e impossibile da estirpare, capace di coinvolgere un’intera comunità di disperati allo sbando, plagiati dalle devianze di un falso profeta. Ve ne accorgerete man mano nel corso dell’avventura, in grado di mantenere toni maturi dall’inizio alla fine senza aver mai paura di raccontare senza filtri una storia di abusi, indicibili violenze e anti-religione. I file di testo reperibili lungo le aree di gioco includono farneticazioni, racconti dai tratti surreali, richieste d’aiuto e stralci di documenti provenienti da quello che sembra un Vangelo nero. Il giocatore viene dunque calato in un’atmosfera da brivido, che Outlast 2 rafforza con la rappresentazione di un mondo di gioco che alterna scene splatter, luoghi dove la sacralità è stata violata e sezioni all’interno di un incubo ricorrente ambientato in una scuola. Quest’ultima, oltre a rappresentare una dimensione differente, funge anche da filo conduttore per una trama che viaggia su due binari: quello del presente, che racconta le vicende di Blake, della moglie e di quel luogo di dannazione; e quello del tormentoso passato del protagonista, in qualche modo artefice – all’epoca poco consapevole – di un dramma consumatosi tra le mura d’un istituto cattolico. Sebbene si alternino senza soluzione di continuità, i due filoni narrativi rimangono tutto sommato separati fino al momento in cui il giocatore si rende conto di avere tutti gli elementi utili a delineare la personalità e il vissuto del protagonista, a sua volta vittima delle proprie scelte.
La storia di Outlast 2 funziona ed è di grande impatto, ma rimangono dei punti oscuri e non tutti i personaggi sono sufficientemente approfonditi; tuttavia, sono ben amalgamati all’interno del racconto, che tratteggia con precisione un mondo dove ogni speranza è perduta, la vita delle persone dipende da falsi déi e la malattia ha consumato corpo e coscienze di una comunità fuori dal tempo.
Run, hide or die
Le meccaniche di gioco di Outlast 2 ricalcano per filo e per segno quelle del capostipite. Blake Langermann è un cameraman, un uomo comune dall’infausto destino che si ritrova invischiato in una vicenda fuori dall’ordinario; non sa difendersi e gli unici modi che ha per sopravvivere sono determinati dalla fuga o da qualche nascondiglio di fortuna. Le aree di Outlast 2 sono più ampie rispetto al precedente capitolo, e questo concede al giocatore un maggiore spazio di manovra, ma va specificato che il gioco non ha alcun bivio ed è – a eccezione di un paio di scorciatoie di poco conto – sempre molto lineare. La struttura è insomma la medesima, così come le azioni da compiere, ma la varietà delle ambientazioni e il ritmo della storia riescono a tenere alto l’interesse fino alla fine. Il lavoro di ampliamento degli scenari è molto buono, ma è talvolta parzialmente vanificato da alcune forzature durante le sezioni di fuga, spesso poco convincenti. Queste fasi sono costruite secondo la logica del “trial and error”, e prima di superarle vi ritroverete a imboccare almeno un paio di direzioni sbagliate, prima di trovare quella giusta e mettervi in salvo. Questa scelta di game design, le prime volte può forse concorrere a costruire un buon senso di tensione, ma quando aumenta il numero di tentativi ci si rende conto di come qualcosa si guasti, facendo scemare il coinvolgimento emotivo.
La telecamera a infrarossi sarà ancora una volta la vostra unica alleata: potrete attivare il microfono incorporato per ascoltare i suoni ambientali o i rumori dietro a una porta, dovrete gestire al meglio le batterie e in automatico potrete registrare dei brevi filmati quando inquadrerete degli obiettivi sensibili. Riguardarli significa anche poter ascoltare i commenti di Blake e avere dunque un approfondimento maggiore su ciò che sta accadendo. 
Graficamente Outlast 2 rappresenta un moderato passo in avanti rispetto al predecessore, e sebbene i nemici di base siano modellati in maniera più approssimativa rispetto a quelli più di rilievo, si nota una cura generale maggiore, che mostra il fianco solo su alcuni elementi di contorno degli scenari. Artisticamente il lavoro di Red Barrels è di alto livello e riesce a colpire allo stomaco: le musiche sono da brivido e il sound design è attento e preciso, mentre la rappresentazione del mondo di gioco è terrorizzante e non cede mai il passo a semplificazioni. Uomini e donne col cervello divorato dalla sifilide che vagano senza meta, corpi martoriati ed esposti come statue bloccate nella loro eterna sofferenza, predicatori che hanno perso il senno, lo sfogo degli istinti primordiali e della nequizia umana che trovano una giustificazione: sono tutti elementi di cui gli sviluppatori non si sono voluti privare per rendere ancora più esplicito Outlast 2. 
Si tratta insomma di un survival horror puro, maturo e truce, capace nell’arco di circa dieci ore di raccontare una storia articolata e sconvolgente.

– Storia ispirata e ben narrata, che viaggia su due binari paralleli

– Esplicito, violento, osceno e senza censure

– Grande atmosfera

– Il Trial and error nelle fasi di fuga non convince e smorza la tensione

– Qualche punto oscuro nella trama

8.0

Al di là di una parte di gioco ben diversa rispetto al solito, Outlast 2 sceglie di non distanziarsi eccessivamente dai canoni della serie; pertanto, chi ha amato le atmosfere malate del primo e l’ultra violenza del DLC sarà soddisfatto da questo nuovo capitolo, che osa qualcosa in più a livello narrativo. Poche e trascurabili invece le novità di gameplay, il quale rimane ancorato all’essenzialità e a delle fasi di fuga non sembre ben gestite, che spezzano un po’ l’ottima atmosfera.

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