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Recensione

Message from the king, recensione del film con Chadwick Boseman

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Avatar di TheIappi

a cura di TheIappi

Pubblicato il 27/09/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6.5

Netflix pesca ancora dai festival internazionali, attingendo questa volta dal Toronto International Film Festival del 2016, aggiundicandosi “Message From The King”, pellicola trasmessa in esclusiva aggiunta al catalogo il 4 Agosto. 
Il film diretto da Fabrice Du Welz, già regista tra gli altri di Alleluia, è titolare di un cast di tutto rispetto, tra cui spiccano Chadwick Boseman ( Black Panther del MCU ), Luke Evans, Teresa Palmer e Alfred Molina.
Occhio per occhio
Jacob King, un ragazzo sudafricano, decide di viaggiare fino agli Stati Uniti, precisamente a Los Angeles, con l’obbiettivo di ritrovare la sorella scomparsa. Dopo un interrogatorio svolto all’interno dell’aeroporto ( senza un motivo specifico per la verità ) in cui scopriamo qualche informazione in più sul nostro protagonista, il ragazzo si mette subito alla ricerca della sorella.
Purtroppo le indagini di Bianca, sorella di Jacob, non sembra portare a nulla di buono. Fin da subito capiamo che frequentava ambienti e persone pericolose, lasciando presagire guai e difficoltà.
La ricerca non dura molto, ben presto Jacob ottiene quello che tanto cercava, ma nel modo e con risultati peggiori possibili, ovvero racandosi in obitorio per verificare se fosse presente tra le persone scomparse non riconosciute. Ed proprio li che si ricongiungerà a lei, la troverà senza un piede e cieca. Prima torturata e poi uccisa, risucchiata dal vortice del degrado della città, comandata di fatto da spacciatori ( tra cui anche un Tom Felton direttamente da Harry Potter ) e persone molto ricche con le mani invinschiate in malaffari.
Da qui comincia l’indagine di Jacob, un viaggio a ritroso nella vita oscura della sorella, una storia di violenza, sangue e combattimenti, una caccia alla feccia della città, una battaglia condotta senza paure.
Ad aiutarlo nel suo percorso troverà una giovane mamma in difficoltà, Kelly, e tra i due si instaurerà un rapporto di fiducia reciproca. 
Il finale darà risposta ad un interrogativo che aleggia nella mente dello spettatore lungo tutto il film, rendendo di fatto coerenti i fatti visti durante le due ore scarse di riproduzione. Una risposta, però, che avrebbe meritato un approfondimento maggiore.
L’importanza del background
La pellicola cerca spesso la drammaticità, una ricerca dichiarata sin dalle prime battute: la location è Los Angeles, ma ovviamente non quella dei grattacieli e dello Staples Center, bensì i bassifondi oscuri e pericolosi. Una città degli angeli dai toni decisamente dark, un manifesto degrado che non fa semplicemente da contorno, ma ha un ruolo attivo nella vicenda. Il taglio intepretativo scelto da Boseman è orientato in questa direzione, con l’obbiettivo di dare enfasi e intensità ai toni drammatici, riuscendo a centrare il bersaglio.
La sensazione di maggior rilievo però è quella di un tentativo di orientare il film verso tematiche impegnate, ma che invece cade un po’ nei clichè del genere, non approfondendo nessuno di questi aspetti. Vengono buttati dento un grosso calderone droga, prostituzione, degrado sociale quasi come a volersi rivolgere allo spettatore dicendo “ok, hai tutti gli elementi, ora commuoviti”. 
Sono temi forti che se tirati in ballo vanno approfonditi e dotati della loro giusta importanza, altrimenti si scade nella banalità. 
La figura di Kelly, una madre dolce e in difficoltà, va a confermare un po’ le sensazioni provate durante la prima ora di film, una necessità di rafforzare il contesto, rendendolo più drammatico possibile: salva un paio di volte Jacob da situazioni diffilici ma ai fini della trama non ha veramente niente da dire.
In produzioni del genere, la parte iniziale è fondamentale. Esattamente come in un film romantico: se non lo spettatore non si affeziona alla coppia di innamorati, non sarà toccato emotivamente se successivamente quella stessa coppia si romperà. 
Non riuscendo ad coinvolgere lo spettatore fino in fondo, probabilmente per la mancanza di background del rapporto tra Jacob e la sorella, la seconda parte di pellicola in cui si passa all’azione perde leggeremente in termini di potenza emotiva, esattamente come la coppia di innamorati.
Si passa all’azione
La ricerca dei propri nemici, fatta di appostamenti, pedinamenti, strategie e infine di violenza manifesta, rendono godibile la pellicola, dotata di un buon ritmo e di un incedere interessante, anche con qualche colpo di scena, nonostante la scontatezza della trama di fondo, che risulta essere simile in tutti i film di questo genere. 
Come detto in precedenza, il mancato coinvolgimento emotivo totale e viscerale, impedisce – in parte – che lo spettatore senta davvero propria la rabbia di Jacob, che emerge in modo violento, ma non impedisce la godibilità delle scene di combattimento comunque ispirate e apprezzabili. Curiosa la scelta dell’arma con cui decide di armarsi Jacob per compiere la sua vendetta: una catena di una bicicletta comprata in un discount. Uno di quei piccoli aspetti che quando differiscono dalla norma risultano essere una gradevole sorpresa. 

ottima performance generale del cast

storia nel complesso interessante

– coinvolgimento non completamente riuscito

– trama un po’ superficiale

– assenza di background dei personaggi principali

6.5

La pellicola si rivela essere un mediocre revenge thriller, senza grossi elementi di spicco. Il film non si dimostra efficace come vorrebbe sul piano della drammaticità: si spinge ad un livello più che sufficiente, senza però riuscire a conquistare lo spettatore nel profondo. Tuttavia recupera nelle scene action di combattimento, riuscite e violente come impone il contesto.

Nel complesso risulta un film godibile, aiutato anche dal cast, titolare una performance generale di ottimo livello.

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