Recensione

Magrunner: Dark Pulse

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a cura di Shiryo

Il Verdetto di SpazioGames

7.5

Gli indie games sono una realtà consolidata: tanti sono i titoli di buona qualità, tantissimi quelli pessimi, pochi quelli superlativi. Magrunner: Dark Pulse nasce con l’intento di poter diventare uno di questi pochi, grazie anche alla volontà dichiarata dai developers di far uscire il gioco solo quando sarebbe stato “esattamente come voi videogiocatori lo volete”.
Eccoci pronti, quindi, alla review del titolo, disponibile già dal momento in cui vi scriviamo per PC e, da settembre 2013, anche su PSN e Xbox Live Arcade. Saranno riusciti i ragazzi di Frogwares a mantenere la promessa fatta? 
Una storia che vi… attirerà.
Magrunner: Dark Pulse porta il videogiocatore in un futuro prossimo, anno 2050, in uno scenario dominato dal contrasto tra la tecnologia e il mito di Cthulhu, cosi come immaginato dallo scrittore H.P. Lovecraft. Protagonista della storia è Dax Ward, un personaggio del quale, quantomeno inizialmente, verrà spiegato ben poco, se non il suo far parte di una squadra di sette Magrunner, selezionati tra i migliori per atleticità e stato di salute, per partecipare al programma di addestramento della MagTech.
Ambientato, quantomeno inizialmente, in una base spaziale articolata, asettica ed estremamente tecnologica, il gioco vede la presenza, a fianco del protagonista, di personaggi carismatici ed interessanti, primo dei quali l’intrigante Gamaji, uno scienziato mutante dotato di sei braccia, che più volte tenterà di aiutare il ragazzo nello scoprire i misteri che stanno dietro a quello che, da subito, sembra essere un misto tra un test per mettere alla prova le abilità fisiche ed intellettive di Dax e uno strano esperimento, con elementi che si andranno a dipanare mentre, pian piano, tutto inizia andare in rovina…
Abbiamo volutamente dato solo una vaga idea della trama, per non svelare troppo: pur essendo principalmente un puzzle game, infatti, il titolo di Focus Home Interactive si fregia di una storia tutt’altro che monotona, che ben si integra con le fasi rompicapo, senza distogliere eccessivamente l’attenzione del giocatore dalla soluzione degli enigmi. La trama si prende, non a caso, solo lo spazio necessario per la sua narrazione: grazie alla capacità del guanto tecnologico made in MagTech in dotazione, il protagonista interagisce brevemente con gli altri personaggi tramite proiezioni tridimensionali emesse dal guanto stesso, normalmente subito all’inizio di un livello o immediatamente prima della fine, riservando dialoghi più lunghi, ma mai eccessivi o stancanti, alle fasi di spostamento in ascensore.
L’ascensore è, di fatto, la stanza principale del gioco per una buona parte del gameplay iniziale, che fa da perno tra le varie aree costituenti la base, al cui interno si svela, con ritmo serrato, una storyline narrata da ologrammi e filmati proiettati su schermi giganti. Durante il viaggio verso una destinazione misteriosa, lo scenario cambia costantemente, diventando sempre più inquietante e, certamente, facendo perdere alla location generale, quelle caratteristiche di pulizia ed asetticità che colpiscono inizialmente. I quaranta livelli a disposizione del giocatore sono piuttosto equamente distribuiti tra quadri a tema spaziale ben diversificati tra loro, passando per scenari estremamente hi-tech, altri industriali, naturali e persino all’aperto. Rischiamo realmente di rovinare qualche sorpresa addentrandoci troppo nella loro descrizione, quindi ci limitiamo a questo elenco, che rappresenta quanto avreste potuto vedere osservando un qualsiasi trailer ufficiale.
Grazie a queste idee in merito a stile di narrazione e cambiamento di ambientazione, il prodotto sembra avere le carte in regola per riuscire ad interessare sia chi  in un videogioco cerca suspense e narrazione, sia chi fosse meno interessato a questi elementi, in favore del puro e semplice gameplay. A nostro parere, Magrunner riesce a proporre sia puzzle dalla difficoltà bilanciata, sia scenari e trama interessante, pertanto riteniamo che cercare di immedesimarsi nello sperduto protagonista, magari con il volume delle casse alzato per godere al meglio delle musiche, sempre azzeccate tra puro accompagnamento generico e colonna sonora nei momenti più tesi, sia il modo migliore di godere un’avventura capace di regalare al giocatore un’esperienza senz’altro divertente, cervellotica e coinvolgente.
Poli opposti NON si attraggono
In un contesto visivo generale che può facilmente ricordare quello del più celebre Portal, in Magrunner il giocatore si trova ad assecondare elementi come il magnetismo e gravità, allo scopo di risolvere i puzzle che lo separano dal livello successivo.
Il gioco basa il suo gameplay sugli elementi tipici degli FPS, ma con particolare enfasi sulla fisica e non ponendo davanti al giocatore nemici da uccidere. Lo spostamento e la visuale rispettano i canoni dei classici sparatutto: mouse e tastiera, quindi, oppure i due analogici del Gamepad, se decidete di usarne uno. Salto, interazione con oggetti o interruttori e lo zoom della visuale, sono altresì presenti ed utili al gameplay, cosi come lo è lo sparo, anche se, in questo caso, lo scopo non saranno gli headshot ad alieni o soldati.
Come già accennato, Dax è in possesso sin da subito di un particolare guanto magnetico che, oltre a consentirgli di parlare in conferenza con uno o più interlocutori olografici, è principalmente in grado di emettere raggi energetici bicolore, rispettivamente con i tasti dorsali del GamePad.
Ciascun colore permette di polarizzare positivamente o negativamente alcuni oggetti chiave dello scenario, generando forze di attrazione o respinta. Al fine di spostare i blocchi in luoghi più propensi alla risoluzione dello scenario, il giocatore è anche in grado di afferrare fisicamente i blocchi più leggeri, spostarsi e ricollocarli per terra o su altri blocchi, piattaforme e basi magnetizzabili, ma non di lanciarli o imporvi direttamente qualunque altro tipo di spinta. Grazie a questa semplice logica, il giocatore si trova già dai primissimi livelli, in maniera estremamente naturale, a collocare blocchi l’uno sull’altro e a creare rampe o “catapulte” magnetiche senza la necessità di un vero e proprio tutorial. 
Nel prosieguo del gioco la situazione si complica grazie a particolari quadri nei quali, oltre ad una ottima capacità di studiare gli oggetti coinvolti e le loro reazioni fisiche, viene richiesta anche una buona abilità nel coordinare i movimenti del protagonista, tra corse al limite del secondo e salti millimetrici.
Il sistema funziona, e alla grande. Dietro ad ogni puzzle si nasconde un meccanismo di causa-effetto geniale, ben studiato e collaudato, che sembra essere stato poi scombussolato per far si che, tramite processo inverso, fosse il giocatore a ingegnerizzarne il funzionamento. Nel giro di pochissimi livelli passerete da due semplici cubi da far avvicinare, a complessi sistemi dettagliatamente articolati: vi troverete, ad esempio, a dover portare un cubo magnetico dal pavimento di una stanza fino al soffitto, usando il potere polarizzante del guanto in modo da spostare rampe metalliche e usarle come bracci meccanici nei confronti dell’oggetto da trasportare, per poi cambiare il magnetismo del cubo stesso, tentando di “spararlo”, a tutti gli effetti, verso dei campi magnetici distanti, cosicché questo ne venga attratto e, avvicinandosi a tali fonti di attrazione, attiri a sua volta altri cubi magnetici a sé, rendendoli disponibili al protagonista per ulteriori fantasiosi utilizzi. 
La difficoltà nella soluzione dei puzzle tende ad impennare abbastanza rapidamente già nei primi cinque o sei livelli e, nella quarantina di scenari disponibili, ve ne saranno sicuramente alcuni capaci di bloccare anche un giocatore provetto per qualche minuto, ma in generale la soluzione degli stessi è diretta conseguenza di ragionamento e osservazione degli elementi e non vi sono, da parte dei designer, sgambetti al buonsenso o mancato fair-play nei confronti del videogiocatore. Il fair-play, in questo senso, è preteso anche dal gioco stesso, che se da parte sua non vi porrà mai davanti a puzzle dalla soluzione irragionevole, allo stesso tempo non vi darà mai, in alcun modo, alcun aiuto o sconto, quindi dimenticate linee luminose che mostrano dove andare, oggetti fluorescenti per indicare le interazioni o consigli e suggerimenti: la sfida è solamente tra giocatore e puzzle, a carte scoperte.
Curiosa, come accennavamo nel titolo, la scelta dei game designer di far sì che siano gli oggetti polarizzati dello stesso colore ad attrarsi e, viceversa, quelli colorati diversamente a respingersi, quando nella fisica reale avviene l’esatto opposto. Una caratteristica abbastanza straniante e che più volte ci ha tratti in inganno, facendoci sbagliare puzzle complessi nei momenti più concitati. Sebbene la scelta sia stata fatta evidentemente per semplificare il concept di gioco -stesso colore corrisponde ad attrazione- avremmo preferito che venisse mantenuto il principio “poli opposti si attraggono”, al fine di rendere ancora più naturale l’interazione tra oggetti, resa già comunque superlativa grazie alla fisica alla base dell’Unreal Engine 3. Considerata la dichiarata volontà degli sviluppatori di rendere il gioco quanto più vicino a quello che i giocatori desiderano, cogliamo l’occasione per suggerire l’inserimento di un’opzione che ripristini le normali leggi della fisica, una finezza a vantaggio di chi preferisca un approccio più realistico.
Mutamento fisico
Nonostante inizialmente si possa essere traditi dall’aspetto della location di Magrunner, costituita principalmente da scenari hi-tech estremamente vuoti e identici tra loro nei i primi livelli, lo scenario va via via alterandosi, come già accennato in precedenza, lasciando spazio ad aree più vissute, pericolose, persino inquietanti e animate da esseri poco cordiali. Ogni diversa topologia di scenario è ben curata, e riesce a convincere il giocatore di trovarsi in una realtà credibile. Tanto è pulita e organizzata la base spaziale, con i suoi estetismi (quali teche di coltivazione di piante con tanto di frutti che cadono e statistiche della pianta in vista sui display),  tanto più sono credibili gli scenari in degrado con attrezzi e strutture arrugginite, o quelli in esterna ricchi di sculture e incisioni, sebbene in generale gli elementi estetici siano ridotti al necessario, probabilmente per evitare eccessiva confusione nel giocatore.
Degnamente ottimizzato il comparto grafico in generale: settando Antialiasing e qualità al massimo, il titolo resta fluido e godibile anche su PC con tre o quattro anni d’età alle spalle, rendendolo abbordabile da una ampia fascia di budget, cosi com’è buona la qualità delle texture, semplici ma pulite, sicuramente apprezzabili sui pochi elementi decorativi e soprattutto sui personaggi, umani e non. Molto ben realizzati, appunto, i personaggi, sia fisici che sotto forma di ologramma: essendo questi la principale fonte di dialogo tra il protagonista e il resto dello staff, non ci saremmo mai potuti aspettare il contrario e, per fortuna, non ne siamo rimasti delusi.
La colonna sonora accompagna in maniera intelligente la trama, con brani in sottofondo non invasivi che seguono rispettosamente il giocatore, prendendo il sopravvento solo nelle scene più concitate, in modo da regalare un boost emozionale aggiuntivo.
Intelligente la possibilità di attivare o disattivare la visualizzazione dei campi magnetici. Quando mostrati, questi riempiono lo schermo di aure colorate che potrebbero infastidire alla lunga, anche per via dello sfarfallio, voluto e gradevole se in giuste dosi, degli oggetti e delle texture se osservate attraverso tali sfere luminose. Avremmo invece gradito poter osservare i piedi del protagonista, o quantomeno avere un’indicazione grafica della loro presenza, dato che spesso nell’arco dell’intero gioco, vi è la necessità di salire su cubi striminziti e restarvi sopra immobili fino al termine del viaggio, cosa che, senza poter osservare il punto d’appoggio, può portare a cadute involontarie piuttosto irritanti.

– Gameplay semplice da padroneggiare

– Trama ed atmosfera interessanti

– Ottima qualità dei puzzle: difficili, non impossibili.

– Qualità a costi accettabili

– Potreste restare bloccati a lungo in alcuni puzzle

– Qualche potere in più avrebbe dato più varietà

– Avremmo voluto vedere i nostri piedi

7.5

Nonostante al primo sguardo, sia impossibile non associare Magrunner: Dark Pulse al rinomato Portal, capolavoro difficilmente equiparabile, il titolo riesce a prendersi il suo spazio grazie ad un equilibrato misto tra puzzle game con protagonista il magnetismo e una trama sci-fi dai lati oscuri e preoccupanti.

Forte di un comparto grafico semplice ma d’effetto, in grado di sfruttare bene le possibilità dell’Unreal Engine 3 sul versante simulativo della fisica, e grazie all’uso intelligente di una colonna sonora non straordinaria ma ben equilibrata, il titolo riesce a coinvolgere senza distrarre dalla sua principale attrattiva, ovvero la soluzione degli enigmi.

Anche il videogiocatore normalmente meno interessato a risolvere quadri cervellotici, può comunque trovare motivo di interesse in una trama intrigante, narrata da personaggi altrettanto capaci di incuriosire, che viene svelata quasi a capitoli, con la nuova puntata disponibile come premio per la soluzione dell’ennesimo enigma.

Non siamo certi che Magrunner: Dark Pulse rientri nell’olimpo degli indie game “superlativi” cui accennavamo in apertura, per via di aspetti soggettivamente valutabili, ma è senza dubbio un prodotto valido, interessante e divertente, grazie a tutti gli elementi elencati sinora e, diciamola tutta, anche per via del prezzo piuttosto contenuto al fronte di un’ottima qualità generale.

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